Notti notturne

venerdì 3 agosto 2012

De André, schiaffo e carezza

Piacere di non      piacere
per bellezza      propria



        di Matteo Tassinari

Uno schiaffo e una carezza, un ciuffo ribelle a coprire gli occhi chiassosi e una sfacciataggine unica. Uomo senza etichette, senza sponsor, cantava la verità come i fianchi delle donne o le foglie cadenti d'autunno. Un poeta con la chitarra, sulla bocca parole di tensione anarchica, populismo borghese, erotica tenerezza e Pietas cristiana. Intimista violento come Baudelarie e Verlaine che amava per attrazione simbiotica, copriva i suicidi di petali di rose, le prostitute di carezze e diceva spesso che quando si muore si muore soli. Chiedo scusa a Vossia, cari lettori, amiche e amici, per le impacciate ripetizioni su Faber, trovando in lui più di un amico o di un bravo cantautore, se non s'era capito or s'è chiarito.

P.P.P.
"Pasolini, non   lo meritavamo"
Ha scritto poco relativamente ai ritmi discografici del tempo che fu. Tantissimo invece in rapporto alla propria indole. La qualità, rarefatta nel tempo (un disco ogni lustro) è sempre rimasta altissima e, forse, cosa rara in ogni genere d'artista, ha raggiunto i suoi vertici proprio con le sue ultime opere. Ma ciò avvenne per nostra autentica incapacità nel non riuscirlo a capire, perché le canzoni più belle le scrisse negli anni '70, quando gli tremavano le vene ai polsi ogni volta che passeggiava sul soglio del palcoscenico. Il palcoscenico non riusciva proprio a domarlo. Diceva: "Anche la canzone più bella, cantata in un appuntamento preciso come può essere un concerto, diventa la meno sensata". O per chi pretende con l'affilata bontà (quella interessata, non gratuita) sopraffare il destino dei senza potere, di chi non ce la fa più per davvero e il 118 è l'ultimo Suv. I Soliti noti, niente di più, la solita stessa quantità di sempre di fetido odor e stridente musicar. Come ora, con le mani sulla testa e il cruccio sul volto, c'è chi si corrobora boffonchiando con aria sempre grave e sofferta: "Ah, Pasolini, non lo meritavamo". Tu lo dici!
Al ballo mascherato
Affetto della     Sindrome
di Stoccolma
Aveva un cuore grandissimo quello dei grandi poeti: "Ho perdonato i pastori che ci hanno sequestrato, perché potendo farci del male, ci hanno trattato bene. Vorrei che certi Catoni, certa gente che dice prima impiccare e poi perdonare, vivessero l'esperienza che io e Dori abbiamo vissuto e capire quanto sia importante, in quelle condizioni, essere trattati con umanità". Si dice che Fabrizio fosse stato colpito dalla cosiddetta sindrome di Stoccolma, una reale condizione psicologica nella quale una persona vittima di un sequestro può manifestare sentimenti positivi nei confronti dei propri sequestratori. Apertissimo al Cielo, alle Nuvole, alle Donne che amano come Jasmine ("sesso di carne dura") ai Soldati che muoiono, ai Potenti che comprano e fagocitano, ai delinquenti che pagano. Ma soprattutto Faber sapeva amare, una costante quella di cantare l'amore, quello che viene e quello che va.
E’ davvero difficile riuscire a descrivere la straordinarietà di un personaggio come Fabrizio “Faber” De André, la cui peculiare acutezza intellettuale, nonché artistica, ha segnato intimamente e ineluttabilmente lo spirito di chi vi scrive in questo momento, come quello di molte, moltissime persone, che, esattamente come me, hanno beneficiato della sua musica e della sua impressionante maturità e vivacità di pensiero espressa dai testi delle sue canzoni (e non solo) e che tramite tributi ed eventi organizzati in sua memoria continuano ad essere riconoscenti verso questa figura fuori dal tempo e sagacemente lontano dai canoni più convenzionali. E' vero, a volte, il rischio è quello di farne un santino, cosa che non vorrei e neppure lui vorrebbe, ma io Faber lo vedo così e come un cazzone genovese ma capo Indiano quale realmente era, sempre carismatico, geniale, anche nel pianto, anche nel riso.





Rivoluzionari già vinti

Un amore che al compimento, torna per forza e per sempre, aiutandoci ad abitare questa vita, specie quando si è consapevoli di cos'è il mondo, ottuso e ostile, soprattutto con chi è più anemico, sguarnito, trascurabile secondo i più. Non è eloquenza facondia, sono i dati delle mense pranzo e cena delle Caritas sparse per il Paese. Le sue canzoni non si canticchiano con le braccia alzate, non si ballano tranne alcune, non si accompagnano con gli accendini accesi, si vive il brano individualmente. Si ascoltano sempre in spazi chiusi, intimi, densi, accoglienti, dove la bellezza è qualcosa di fruibile, di reale. Lo so, la rotondità della sua voce, cedevole appena nei passaggi più incerti, l'intelligenza delle citazioni colte, gli echi sonori delle culture, la religiosità arcaica dei suoi testi, gli scioglilingua da nenie infantili, il sapore di marcetta degli straccioni e di rivoluzionari già vinti, le girate in chiave di giava di allegre stanchezze o di agonica ilarità, ha sempre il primo posto. Poeta perché al contrario di tutti i suoi colleghi "impegnati" non conosceva la triviale retorica del messaggio. Per lui tutto era sempre e comunque elastico, non per mancanze di certezze, ma per comprensione di ciò che siamo. Miserandi autorizzati a sognare in un giardino incantato e che a forza di botte gli si dice cosa fare.
La domenica delle salme, l'unico video clip di Faber
girato da Gabriele Salvatores


Una storia perfetta
Certamente nessuno dei cantanti italiani ha saputo ai raccontare così civilmente l'odio per l'inciviltà dei tempi. Detestava le maggioranze e la loro naturale capacità di fagocitare i comportamenti individuali, anestetizzando i comportamenti dei singoli, anche i più balordi ma naturali. La voce profonda e fedele alle parole che pronunciava come se nella sua espressione ci fosse già il significato etimologico del loro senso. Voce dal suono levigato da anni di sigarette e il viso segnato da sventure alcoliche, lo rendeva un personaggio davvero unico, un capo indiano di cui tutti, colleghi stessi, avevano reverenza e taluni anche timore contraccambiato dal suo dilatato abbraccio visivo e culturale. Il suo carisma penetrante non lo abbandonò mai. Ritratto immortale di un poeta capace di comporre versi e favole come "Le nuvole" o "La Buona Novella", che i giovani oggi ascoltano volentieri e si chiedono ancora che fine abbia fatto quel principe innamorato di Marinella. E' stato un vero artista, rimasto sempre e volutamente appartato senza bisogno di nascondersi, senza mai dover restituire nulla, non avendo mai accettato nulla. Questa figura estremamente "Alta" e umana della cultura italiana che la scomparsa dell'artista s'è portata via di netto.  
Il conosciuto più sconosciuto
De André era lo sconosciuto più conosciuto d'Italia. Perché odiava andare in televisione a promuovere i propri dischi. Così come detestava i concerti: "La gente mi spaventa" diceva "e l'emozione mi chiude la gola". Se sceglieva di scendere nell'"arena", come la chiamava, lo faceva solo con i suoi amici e musicisti più fidati, come con il buon Pepi Morgia, il regista di tutti i suoi Tour, quasi a voler condividere con loro quell'immenso disagio di vivere che in un concerto sintetizzava tutte le asperità. Come un fiore pieno di polline s'imbatteva nelle scazzottate scoppiate per caso nell'Angiporto di Genova, uomo capace di viaggi lontani, per la sua abile capacità a non seguire il gruppo e trovare gente che va un poco più lontano degli altri. E oggi ci ritroviamo con la trasversalità di Faber che continua a 13 anni dalla sua morte. Ora è trasversale anche alle generazioni. Sono molti i giovani ragazzi che ascoltano le sue canzoni e qualcosa li colpisce senza capire subito cosa, nonostante gli anni passati, nonostante la realtà attuale sia "apparentemente" diversa da quella nella quale quel particolare testo è nato. E' una trasversalità che non fa comodo eppure fa breccia in noi. Per il tempo di un brano? Oppure ci lascia una traccia indelebile, maturandoci e migliorandoci un po' alla volta?                            
Se ti tagliassero a pezzetti
Rideva    dei suoi
grotteschi bersagli: re sudicioni, pavide beghine, giudici spietati e borghesucci ipocriti, comunisti più cattolici del Papa, esseri tutt'ora viventi, eccome!, ma tutto si trasformava in luce con la sua voce, quella mite ed eterna dello Stato dell'Arte. Non era in piano con gli uomini e con Dio, ma credeva in loro, e per questo si arrabbiava contro le carogne di regime, i gigolò dei talk-show che mettono sotto spirito le coscienze, i quiz, i Tg, l'assenza di figure intellettuali come Pasolini, per sputare in faccia al perbenismo piccolo borghese, quel che ti riduce un piccolo che con gli altri diventa imponente. Mentre esaltava la lirica e romantica quanto decadente vita dei perdenti o la vita delle prostitute dei carrugi di Genova di via del Campo. Uno dei più autentici traditori di più nobile linguaggio che si sia mai visto sotto il sole. Raccontava la verità Fabrizio De André, senza mai essere volgare e vile, sarebbe stato troppo facile, per lui che rifiutava le cose che venivano subito troppo bene: "Lui" disse Mauro Pagani per anni al suo fianco come arrangiatore musicale "certe volte cestinava i lavori venuti troppo facilmente. Voleva sudarli i versi come la musica, non voleva che le sue canzoni gli venissero facilmente".

Anime salve
Mentre lui sosteneva che le canzoni servono a formare le coscienze, scrivere canzoni sta diventando una responsabilità sociale perché entrano a far parte della coscienza civile. Sono una piccola goccia dove servirebbero secchi d'acqua. Sono parte della coscienza. Credo che cantare sia diventato un grido di libertà. Ebbe a dirmi, come giornalista:  "Vedo bene Anime Salve, questa umanità che sembra galleggiare ai margini del benessere, dei privilegi, che sta all'estrema periferia di questi bisogni. Io penso che il bene sia proprio quello di galleggiare intorno, di muoversi ai margini, di affrontare le difficoltà giorno per giorno. Solo così si riesce ad "essere". La complessità sopraffina dei suoi testi musicali si nasconde, con pudore e vergogna, dietro l'immagine semplice e povera di un uomo con la chitarra in mano e la sigaretta in bocca. Dietro al tono di chi improvvisa una poesia accompagnandola con una tarantella o una favola che richiama il maitre-à-pensar George Brassens. Un articolo storico di James Bulssen, columnist maker dell'epoca di Variety scrisse: "Non si può ascoltare una canzone di De Andrè o di Cohen, se fuori splende il sole".
L'intonazione nel Dna di Mina
“Penso che Mina sia nata con la musica nel Dna, come se avesse avuto una memoria pre-natale della musica. Questo è il fenomeno tipico della genialità, quello di sapere prima di conoscere. E te ne accorgi quando la senti cantare, tutte le sue evoluzioni vocali, le picchiate, i glissati, i grappoli di note in brevissimi intervalli di tempo, le svisature della melodia, la difficoltà per gli strumentisti a stare dietro a quella voce libera, sono doni assolutamente gratuiti e spontanei, come noi quando parliamo. Anche quando parla e deve dire due o tre periodi, ho notato che le succede di cambiare tonalità senza volerlo cercando spontaneamente la migliore e la nuova tonalità in cui lei parla è compatibile con la tonalità precedente. Questa penso che sia la cristallina genialità di Mina”.             (Fabrizio De André)