Notti notturne

sabato 8 dicembre 2012

Kubrick, scorbutico di primo fregio


Il terzo occhio di Manitou

C’è    chi l'ha definito così. Chi invece sostiene che incarnava alla perfezione l'essenza esasperata del tecnicismo registico. Chi invece era persuaso - e intimorito - dal suo talento visionario, quella capacità di vedere le cose oltre le cose e fra le cose. Altri l’hanno bollato col marchio a dardi neri come "paranoico lisergico". Era capace di girare una scena anche 200 volte. Chiedetelo a Malcom McDowald, interprete di “Arancia Meccanica”, che con la febbre a 38 ha dovuto ripetere la scena 21 volte, proprio quando veniva bagnato e malmenato dai suoi ex amici Drughi, per volere del regista. "Perfezionismo patologico", lo chiamo io, per la sua impeccabile pulizia narrativa e scenografica.
Drughi al Milkova Bar bevono Latte più o "migliorato" con Perfettina, sostanza allucinogena che stimola l'input della violenza nell'uomo. Una scena di "Arancia meccanica".

Perfezionismo patologico"
Sty.KuB.

Kubrick era      questo
e tanto altro, penso molto più di quello che abbiamo capito di lui. Ho sempre rifiutato l’idea balzana e pseudo romantica dell’artista che appartiene ad un altro pianeta, chimerico, epico, fantastico e inaccessibile. L’ho sempre rifiutata perché mi pare fosse una gran cagata, oltre che un luogo comune insopportabilmente triste e cerebro labile. Ma se dovessi fare un’eccezione e frantumare per un attimo questa mia “regolina”, penso che il regista più isolato per scelta e che navigava davvero in un mondo inesplorato e senza mappa, era proprio Kubrick. In questo senso il labirinto di “Shining” diviene la conferma di questa segregazione sospirata quanto bramata e bagnata di Lsd 25, per sua stessa ammissione. Anche sul set di Arancia Meccanica (e si vede) ha fatto ampio uso di Lsd, rumoreggiava lo stesso McDowald che appena poteva si vendicava del regista padre-padrone, anche parlandone male. Per lui era prassi regolare vivere nel castello St. Alban's, a due ore di macchina da Londra e vivere il suo spazio interiore immerso in questo edificio immenso e isolato.
Addio
alle scene?

Dopo 3 Premi Oscar,
7 Golden Globe e un David di Donatello, l’attore americano Jack Nicholson, a 76 anni, “potrebbe decidere di ritirarsi”. Secondo il sito web RadarOnline, che cita una fonte di Hollywood, “la sua memoria non e’ piu’ quella di una volta: non riesce piu’ a ricordarsi le battute da recitare”. Tornando a quel labirinto di gelo all’esterno dell’albergo Overlook in Colorado in "Shining", dove Jack Nicholson alcolista, sperduto tra le montagne e distante ore di viaggio da qualunque centro abitato, vuole fare a pezzetti con un ascia la sua famiglia, bimbo compreso, perché glielo hanno detto due bambine morte un secolo prima con la conferma di un maggiordomo nel bagno. Il tutto è vissuto solo ed esclusivamente nella mente di Torrance. La distanza siderale, le luci color argento, offrono la percezione dell’ossessione folle dell’eremo fatto bozzolo. Solo neve, freddo e cielo sidereo. E’ il distacco dal mondo fisico, ma a questo punto anche da quello mentale di un uomo smarrito nei dedali tortuosi della sua psiche arroventata di Jack Torrance, il personaggio interpretato da Nicholson ("il mattino ha l'oro in bocca").
Stili
 diametralmente opposti
Nel bellissimo, accorato, cerebrale "Barry Lindon", invece, il “terzo occhio di dio” trasforma quella stessa luce di crepuscolo in bellezza ed esercizi d’estetica allo stato puro. La macchina da presa diventa un gioco che registri e memorizzi la capacità versatile del burattinaio cineasta. Un autodidatta che disse giovanissimo: “Non imparai nulla a scuola d’arte drammatica. Ho imparato di più vedendo un film che leggendo pesanti e noiosi toni sull’estetica del cinema. La migliore educazione al fare film, è farne uno. I fondamenti tecnici in fondo sono semplici, mi viene naturale interessarmi di loro, e con essi scavare a fondo in un soggetto, scoprendo fatti e dettagli, mi fa piacere e mi diverte”. Un manierista ossessivo, razionale, che girava la pellicola come Messi fa rullare il pallone. Stessa poesia. Stili opposti e similari nell'atto dell'intuizione, il fulmineo barlume del genio, l'inaspettata risposta ad ogni domanda. Il 1964 è l’anno de “Il dottor Stranamore", Ovvero: "come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba”, prima black comedy nella storia del cinema. La consacrazione totale all’Olimpo giunge quattro anni dopo, con il sudatissimo “2001: Odissea nello spazio” (1968), che riceve numerosissime nomination agli Oscar, pur vincendo solo quello per gli effetti speciali. Il film è, oggi, come molti altri di Kubrick, materia di studio nelle antologie delle scuole di cinema.


Ma Hollywood è 

sempre stata contraria alla dipendenza proclamata dal regista stesso, denunciano le macchinose premiazioni che odoravano di pregiudizio. Per questo ha sempre pagato caro il conto con le Major, a causa delle sue intemperanze e dinamiche creative autonomiste e indipendenti da ogni intrusione di qualsiasi produzione. Anche se poi trovava sempre la grande casa che gli firmava in nero l'assegno per un film. Per la Major, era un incasso assicurato. Ma lo Star-system hollywoodiano lo scrisse per sempre nel libro nero in ricordo del maccartismo più bieco e oscurantista di ogni paranoica idea di cultura anticomunista e ossessivamente tradizionalista. Per questo motivo la scelta di andare via dagli Stati Uniti per vivere definitivamente in Inghilterra in un castello del 1700.


Scorbutico di
primo fregio
Kubrick rimane uno scontroso di primo fregio. Se Lebowski è l'uomo più pigro del mondo, Kubrick è senz'altro il più scostante, scorbutico e visionario oltre che grande consumatore di Lsd. Di questa sua riluttanza, ne sa qualcosa il regista giapponese Osamu Tezuka, considerato il padre o addirittura "il dio dei manga". Kubrick era un ammiratore del fumettista, tanto da averlo invitato a collaborare al progetto 2001: Odissea nello spazio, per la sezione elementi visivi e speciali. Tezuka avrebbe però cortesemente declinato per via del carattere spocchioso per il quale Kubrick era noto sul set e non solo. Si venne a sapere, per ammissione stessa di Tezuka, che era letteralmente terrorizzato dall'immagine pervenutagli di Kubrick.
Barry Lyndon
Lo spaventava la sua
stessa fama di uomo ingovernabile e anarchicamente perso. Non gli è mai stato agevole, effettivamente, affaticarsi in equipe essendo un solido quanto forte accentratore del set. Riassumendo la semantica poetica dell’opera kubrikiana, lo stesso regista, appare consapevole del fatto che la tragedia umana suprema di oggi su cui si sta dipanando il futuro stesso del creato, è quella della stupidità che può essere battuta solo dalla visione di altre possibilità. "Barry Lindon", opera museale solo per l'imponenza visionaria uscita nel 1975, è il tentativo di ripercorrere il tempo e creare un nuovo modello ambientale ripescato dal passato. Barry Lyndon è un film che assume un ruolo importante nella filmografia di Kubrick, perché costituisce il momento di maggiore libertà e distanza dai temi sociali, filosofici e politici che a Kubrick sono sempre stati attribuiti: violenza, politica, sesso. È un film fortemente visivo, un dedalo di immagini di 187 minuti ricco di immagini e riferimenti estetici (dovute alle vastissime ricerche condotte dall'autore) da farne la più ampia e rigorosa rappresentazione del Settecento che il cinema abbia mai prodotto. Una grande tessitura visiva iniziata in esterni, nella profondità di campi lunghissimi e nella fredda luce del nord, dove le figure si stagliano nette sugli orizzonti sconfinati o chiusi. Questa scelta implicò l'utilizzo di lenti rivoluzionarie, studiate dalla Zeiss per la NASA, oltre all'impiego di nuove macchine da presa messe a punto dalla Panavision Picture.
Il falò   delle banalità
Ma    Hollywood e le sue Major, tutte queste intemperanze non le gradiva affatto. Per questo gli fu sempre contro dedicandogli appena un paio di Oscar tecnici e non di sostanza. Certo non era un grande pulpito dal quale giungeva il diktat, ma proprio perché consumatore industriale di principi attivi conosceva meglio il potere delle "spezie". La tragedia della banalità di massa e individuale, quella un po’ frivola ma anche macha, è considerato detrito per il L’assenza di direzione che volge verso la ripetitività come esorcismo della nullità sparsa nelle città, diventa un deterrente ulteriore per fuggire da un mondo che non ha mai accettato ne cercato alternative a se stessi. Una tragedia di nuovo tipo, adiacente alla crisi identitaria di questo inizio di Millennio, che in Eyes Wide Shut viene ricordata non poco.



Portatore      di MidCult
Non     svettano più eroi come Edipo e Antigone, ed è un peccato ciò.  Ma si muore e si uccide in quanto portatori di Midcult, quella cultura di massa piccolo-borghese che come tale, a differenza di quella delle masse popolari, si nutre di prodotti che aspirano all'Alta Cultura, ai salotti. E’ ferma ancora al '700. L’occhio centrale scruta e s'accorge che agli uomini è vietato il soffio deistico, uomini non più parlati da dei, neppure da dei soltanto simbolici, ritornando alla polvere da cui erano nati. E non appare più tragedia, ma soltanto un bieco horror della serialità, che postula consuetudini in costume stilistici seriali.

D'ogni      demenza
il senso
Quando un regista entra nell'Olimpo dei grandi, non si può discutere su chi sia meglio di chi, anche considerando il fatto che una notevole parte dei più grandi registi attuali siano stati influenzati dalla grandezza di Stanley. Ma se pensiamo lo stesso di Scorsese o Brian De Palma, c’accorgiamo che almeno una 30 di registi hanno trafugato nel suo genio, a cominciare da Quentin Tarantino. Stanley Kubrick, moriva con il set di “Eyes Wide Shut” ancora in essere, tant’è che il finale, a mio avviso e non solo, non è stato girato da lui in quanto già morto.
Provate a farci caso
e    vedere attentamente quel film. Notate gli ultimi cinque minuti quanto siano diversi in luce, angolazioni della cinepresa, ritmo scenografico, sceneggiatura, rispetto a tutto il resto del lungometraggio, che rimane comunque e in ogni caso uno dei suoi lavori peggiori. “Preferisco non sapere come girerò una scena” diceva Kubrick “mi piace risolvere i problemi a percorso inoltrato, senza seguire una capillare disciplina di idee o qualcosa di prestabilito”. E infatti, chi ha lavorato con lui, come Matthew Modine, racconta che quando qualcosa non funzionava sul set, sospendeva tutto per mezzora e s’isolava con la sua macchina per scrivere e creare una variante rispetto al copione iniziale. E così si ripartiva. Con un poco di civetteria, fa dire a Malcom McDowald sempre in “Arancia meccanica”: “Gli idioti si affidano alla ragione, mentre i geni si abbandonano all’ispirazione”. Inevitabile leggere in quelle parole lo stile di Kubrick, vanesio per quanto misantropo. Si dice che “Arancia Meccanica” sia stato girato in grande parte sotto l’effetto di allucinogeni e verrebbe da dire complimenti, considerato il risultato ottenuto.
 Non era tipo da Fesbuc
Non è certo mai stato soggetto dedito alle feste mondane, sia per il suo carattere dark o noir, direbbero su Fesbuc, come del resto è sempre stato mal sopportato dall’establishment hollywoodiano per la troppa indipendenza e capacità di realizzare cult storici senza l’ausilio delle Major americane, perfetta metafora odierna della legge: “O con me o contro di me”. Per questo ha vinto un solo Oscar, per di più tecnico, quasi una presa in giro. Così anarcoide, era contro lo star system americano e il suo semplicistico modo di invadere ogni spazio vergine, distruggere ogni segmento naturale, ogni intenzione spontanea, e questo non gliel'hanno mai perdonato. Questo stallo idiosincratico, era la cifra dei rapporti fra un grande regista che otteneva tutto ma nessuno poi gli dava il compenso che gli spettava. Quasi una beffa, come a dire in 50 anni di grandi opere cinematografiche ad altissimo livello, vi attaccate agli effetti speciali di Odissea 2001.
Film Directors: martin scorsese / quentin tarantino/ alfred hitchcock /         
stanley kubrick / george lucas / tim burton
Disse Martin
"La gente pensa sia un peccato che Kubrick abbia girato così pochi film in vita sua. Io dico sempre che quelli che ha fatto bastano per dieci vite. Kubrick ha ampliato la nostra concezione di quello che è possibile mostrare in un film. E, secondo me, nel far questo è riuscito in realtà a espandere la coscienza che abbiamo di noi stessi. Le crudeltà di cui siamo capaci, il nostro struggerci per qualcosa a cui è impossibile dare un nome, le forze che ci spingono verso direzioni strane e perturbanti". 
 (Copy@interview N.Y.T., Martin Scorsese)