Notti notturne

domenica 16 febbraio 2014

Il decennio lungo del secolo breve

Revival 
anni '70
Antidoto alla noia gelida
della seconda decade del terzo Millennio
Tutto il resto
è       noia




C'è chi non ne può più di dinamiche chic parigine, di questo schizofrenico aplomb britannico o punk alla Vicious, di paranoie da yuppismo newyorchese e residuati vari. Così si rispolverano accessori, ciò che era stato gettato nel cestino, oggetti di culto e motivi musicali nel più puro stile anni '70, invece di creare nuovi modelli, ma si sa, è meno faticoso restaurare che inventare. I Coen sono anni che ce lo ricordano che la chiave di volta sta lì. Anche con l'ultimo e solito capolavoro minimalista, "A proposito di David", ma che vedrete, farà una brutta fine agli Oscar il prossimo 3 marzo, la notte in cui ci troveremo tutti davanti alla Tivì a tifare Sorrentino.
Come se l'Italia giocasse la finale dei prossimi mondiali di calcio contro il Brasile, per giunta in Brasile, e se la vince? Che orgasmo lacrimoso, felicità da tutti i pori, gioia che spruzza e sprizza? Un momento di felicità gratuita per tutti, ricchi poveri, brutti belli, stronzi amici, colpevoli e non. Una gargantuesca esplosione di stati d'animo, liberazioni mentali, libertà e forse qualcosa inppiù per chi è più devastato degli altri. Che stia tornando l'impegno? No. Figurati. E' solo un modo come un altro per combattere la noia di questa freddissima seconda decade di terzo millennio. Si parte nel fiordo dell'ultima Thule, quello dei ricordi. (m.t.)

Tornano in
"Settanta"

 di Matteo Tassinari
Impossibile. I grandi movimenti giovanili e sindacali, la voglia di rivoluzione, il femminismo duro, l'insubordinazione generale, il poco valore dato all'ostentazione economica, insomma tutto un mood generale che è passato e non credo ritorni. Ti sbagli. Sono molti i cortei a vario titolo tornati sulla strada, anche studentesco, qualche slogan, perfino qualche anniversario fa gridare a grandi titoli sui giornali, a metà strada fra la paura e il rimpianto. Vi ricordate per esempio “i ragazzi del 1986”, che protestavano contro la situazione scandalosa dell'edilizia scolastica e grazie anche al gioco delle cifre 86/68 ebbero a subire un’attenzione un pò perversa, del resto che vuoi aspettarti, dai mezzi di comunicazione di massa? Abbiamo Internet che ci ha già devastato la vita.
 Anni 70, teste di punk contro il sistema
The Seventies
of course
Si, va bene il passato (soprattutto quello prossimo) non ritorna, le partite chiuse non si riaprono. Ma un revival, un gioco sono più facili da ripristinare, da riconsiderare in molte parti, ed è questo che sta accadendo con gli anni Settanta, lo assicurano acutissimi osservatori del trend. Obiezione accolta. Non solo perché, come diceva qualcuno, la realtà si presenta sempre due volte, la prima in forma di tragedia, la seconda come farsa. Ma soprattutto perché il meccanismo delle mode ha bisogno di alimentarsi continuamente di cazzate. E allora come buttar via un decennio come quello che sembra proprio il contrario del nostro? Inventiamoci dunque un’etichetta, inglese naturalmente che fa più fighi e goffi: the Seventies, of course. Anzi, dato che ci va sempre un aggettivo, “the hard and pure Seventies”, “the bursting Seventies”, “the rebelling Seventies”.
Incazzati in

quegli anni!
Se invece preferite lo slogan italiano, lo trovò Mario Capanna che quegli anni li "visse", per come suona il titolo del suo best-seller: “Formidabili quegli anni", Rizzoli 1988. Finora lo si è letto come una rievocazione del Sessantotto e dintorni e infatti lo è, ma si tratta anche di un "manuale" arrembante e corsaro degli anni Settanta, da studiare con attenzione in vista del revival, giusto per mantener fede alla nostra nature di inguaribili festivalieri sanremesi
Steeplejack, notizie liquide, brevi e veloci
Un    caldo
invernale
Naturalmente sto scherzando. Ma anzichenò. Con tutta la bella roba che c'è in giro, sprecare il nostro tempo con altri titoli, più meritevoli delle nostre ore, sarebbe forse il caso. Ma il libro di Capanna ci richiama ad una cosa importante. I decenni, i secoli e gli anni, sono una misura - troppo - esattamente astratta.
Chissà, oggi siamo entrati,
senza saperlo, nella seconda decade del 3 Millennio e magari questo Terzo Millennio non è ancora entrato in noi come invece ci riuscirono gli anni ‘70. Per esempio il deterioramento del clima o l'inquinamento o il problema del razzismo che viviamo nel 2014, sono solo un anticipo di grandi questioni future che ci esploderanno in mano e in faccia senza ritegno, facendo parecchio male a chi non conosce la vera disperazione. Solo in quel momento la gente capirà che milioni di persone non possono essere sottomesse alle regole e logiche dei mercati finanziari. E allora esplodono le bombe demografiche. Pensare che è almeno un ventennio che abbiamo tutti gli elementi e i segnali di un impazzimento generale degli stati sociali, da 20 anni ci gongolano davanti alle occhiaia pesanti. Ma anche lì, ci siamo abituati a non vedere, non sentire e lasciar perdere. E tirare a campare. Il contrario di quello che negli anni '70 i giovani urlavano. 
Almirante insieme ai suoi picchiatori.
Il cerchio sovrastrutturale tra il 68 e il 70: Dc, Pci, Msi, Sifar
Ci sono uomini eterosessuali,
uomini bisessuali
e altri che non pensano al sesso,
e allora fanno gli avvocati



Formidabili

 Seventies 
Non possiamo saperlo, quindi. Ma una cosa è certa. I “formidabili Seventies” non sono iniziati il primo gennaio 1971, come narrano i calendari, ma un paio d’anni prima, verso il fatidico Sessantotto. Le rivolte studentesche, o forse un anno più tardi, con l'“autunno caldo” delle rivendicazioni operaie, la musica come grande veicolatore di idee e contagiosa come mai era avvenuto. E, già che ci siamo, non sono finiti, secondo la cronologia banale, il 31 dicembre 1980, ma ancora un paio d'anni prima, ai tempi del sequestro Moro in un periodo pesante, cavernoso, lugubre e fatale per molti. Col passare dei mesi e non degli anni, gli inevitabili scontri con la polizia trasformarono i cortei sempre più in assembramenti di carne e corpi compatti e militareschi, prima che le armi da fuoco modernizzassero il look floreale per dare il tocco finale, quello dell'artista, del Lirico.
Dalla Von Trotta 
   a Tarantino
Gli anni degli studenti e degli operai, gli anni del terrorismo e delle stragi, quel periodo che un film fortunato e molto emotivo di Margarethe von Trotta chiamava già da subito “Gli anni di piombo”. Vogliamo far tornare gli anni di piombo, le P38, le sirene della polizia, i posti di blocco, gli scoppi secchi delle armi da fuoco, le fiamme delle bottiglie molotov? Ma no, l'abbiamo già detto, questo non è proprio possibile, anche se qualcuno avesse voglia di ricominciare quei giochi.
Omar Calabrese, semiologo, morto nel 2012
       Omar Calabrese
ha scritto che il nostro è un tempo neobarocco. Forse gli anni Settanta sono stati un pezzetto di Medioevo piovuto fra di noi. C'era del resto un libro molto fortunato di Roberto Vacca, in quegli anni, a parlare di “Medioevo prossimo venturo” e anche Umberto Eco si occupava di questa ipotesi, prima di formalizzare la cazzata più delirante oltre che stordito ed esoso parallelismo fra anni Settanta e Tredicesimo nel suo secolo “Il nome della Rosa”, la prima volta che un film superò il libro, forse perché il regista era Jean Jaques Annaud, un regista francese che ha dedicato tutta la sua carriera artistica nel rappresentare il tentativo di realizzare grande cinema spettacolare d'intrattenimento all'europea, alternativo al cinema industriale hollywoodiano o quello "raffinato" alla Woody Allen.
Mettiamola così, così salviamo anche l'assessore alla Cultura Umberto Eco. Ecco perché il nostro possibile ritorno ai Seventies è forse un revival di un revival. Pensandoci meglio poi non è così peregrina l’idea che forse ogni tempo è un intreccio inestricabile di revival di esperienze a tutto tondo riciclate. In mezzo a tanto caos chiassoso, una cosa s’agita con certezza. Come nell'immagine che abbiamo del Medioevo, durante gli anni Settanta, tutti si prendevano molto sul serio e l'autoironia del look non si nota.
Troubadour è il nome di un nightclub a Los Angelesun locale
stile Matrix san Francisco dove nel 1966 i Jefferson Airplayne si esibivano
Alla ricerca       del
 firm amento

Tutti erano poeti liberi e aperti, artisti crucciati, cantanti alternativi, letterati trasgressivi, intellettuali di rottura facenti parte di un mondo underground, antidogmatico, cosmopolita, disinibito, tappabuchi ribelli e penosi. Chitarristi clamorosi e trionfalmente esplosivi, solo perché avevano imparato l’intro di “Cocaine”, brano musicale scritto e registrato da J.J. Cale nel 1976 sull'album “Troubadour”, ma più  conosciuta nella versione di Clapton nell'album Slowhand, quando con la Fender Stratocaster attacca inesorabile e tu come chi ne fa uso, rimanei lì a sentire la potenza di quell’inizio. Tuttavia, c’era molta ipocrisia.
Forse   era anche il periodo   che la
richiedeva, altrimenti eri come al solito il gramo miserando allineato alle notizie del telegiornale condotto da una Vespa ancora col grosso neo, e 40 anni dopo, col suo programma, è diventato la terza camera istituzionale, dove si sono gettate le basi per accomodamenti e nuove fiducie. Lo Zeitgeist (che tradotto dal tedesco significa "spirito del tempo", espressione che indica la tendenza culturale predominante in una determinato periodo) per lui non vale. Qualsiasi revival un po' ironico non potrà non tradire questo punto fondamentale e rendere ironiche e perfino ridicole cose che si volevano serissime e magari un po' tragiche. E questo, probabilmente, sarà il suo vantaggio principale.


Tutto torna
e ritorna
Le donne non "perfettamente" omologate al modello guerrigliero urbano smettevano i jeans e l'eskimo per vestire gonnoni a fiori e calzare zoccoli che al bisogno potevano essere considerate vere armi improprie. Al posto delle manifestazioni in ranghi serrati facevano girotondi (panta rei, Nanni) e invece dei “collettivi quadri” e “assemblee cittadine” organizzavano riunioni di autocoscienza e sedute d'ipnosi dove frammenti di pettegolezzo erano affondati in nebbie verbali ancora più noiose e nebulose, se possibile. In vacanza si andava alle Eolie, anche il Salento era meta premiata dalla presenza di Hippye nostrani, si mangiava panini e panzerotti, non si guardava la Tivì per principio e anche per convinzione perché considerata preistorica e pallosa, oltrechè volutamente fuorviante. La chitarra era pressoché obbligatoria saperla almeno strimpellare, il cinema solo d'essai. Fassbinder, Wenders, Bunuel, lavoravano già, ma non erano ancora arrivati da noi. Carmelo Bene e le cantine romane soddisfacevano i bisogni non troppo sentiti di teatro. Loro, menefreghista per natura, se ne fregavano del loro nulla e avanti proseguivano, indefessi come fessi.
Era dappertutto,
non se ne poteva più
Dario  Fo ripeteva costantemente e con pesante tenacia il suo “Mistero buffo”, carino, ma che palle dopo un pò! Cambiai. Testi d'attualità su Pinelli, Fanfani, gli “espropri proletari”, i lavori sporchi dei Servizi segreti, le stragi ancora senza risposte, a modo mio, le trovavo più interessanti. Nonostante qualche avventura estiva o di manifestazione finita alla “Porci con le ali” o le ammucchiate sudaticce alle feste di “Re Nudo”, le coppie reggevano ben chiuse e i gruppi politici erano famiglie molto moraliste, club autoritari, che imponevano "democraticamente" le loro idee malsane, altro che libertarie. Ma a chi volete far ridere, maestri delle fogne? Se la pensavi una virgola appena diversa, eri finito. Fuori! Fuori dal gruppo. Un po come il Movimento di Grillo.

      L'intellettuale aveva,
un pò come oggi in certi gruppetti quasi scomparsi o devastati, un potere del cazzo, ma prepotente facendo pesare la sua omnia cultura composta di citazioni, aforismi e lavori altrui assimilato, mai che si pensasse in proprio, novità create senza pensare a nessuno come riferimento culturale, e mai possibile? Come scrivevo, in questo senso, le cose sono, forse, peggiorate. Con la Rete sono saltati fuori dei pargoli che con nomi astrusi e parole squisite, ci rompono i coglioni, pensando d'essere l'ombelico del mondo. 
L'ombelico del mondo

“Impegno d'attivista”
All'epoca ti si richiedeva con prepotenza anche un “impegno d'attivista”, altrimenti eri bollato artista, qualunquista e poco raccomandabile, quando la stima su questi argomenti era l’asso di briscola per farsi delle chiavate stupende. Le “comuni” erano semplicemente grandi appartamenti o casolari in campagna condivisi, dove si litigava per la mozzarella ‘Mia’ scomparsa perché qualcuno furtivamente l'aveva presa dal frigo. Questo spirito chiuso e rispettabile diventava sempre più vigile con l’estremismo dei gruppi e la vita dei terroristi, come l’hanno raccontata in seguito, a scapito della spontaneità degli elementi singoli, e perché paradossalmente era modellata su di un’immagine piccolo borghese che loro stessi dicevano di combattere. La solita bieca demagogia, secondo cui da rivoluzionario a dittatore, la distanza è minima!

Manifestazione a Milano, a sinistra Mario Capanna

La macchina

del     Tempo
E dunque il   revival sarà più superficiale. Riguarderà le uniformi, i tic, i modi di esprimersi di quegli anni, che ne hanno prodotti tanti. Qualche esempio. Proviamo. Se foste riportati con l’invenzione delle invenzioni, “la macchina del tempo” a vedere la famosa contestazione alla Scala guidata da Mario Capanna, per l'apertura della stagione lirica, la notte di Sant'Ambrogio del 1968 e voleste ignorare l'aspetto politico della faccenda, scoprireste tre tipi di vestiti: gli smoking e gli abiti lunghi di chi andava a teatro, i jeans e i maglioni dei contestatori (in parte figli di gente di prima categoria) e in mezzo la stoffa grigioverde, rozza dei poliziotti. Facile supporre che si trattava di una battaglia fra il casual americano e l’abbigliamento formale della tradizione europea, vinto facilmente e grande slancio emotivo dai giovani.
Grande gioia di vivere
“Eros,      civiltà, gnocca”
Dunque jeans, camicie militari o a quadri, maglioni possibilmente peruviani, scarpe Clark's o da tennis. Poi il classico eskimo verde. Naturalmente, barbe lunghe o un po’ a chiazze e volutamente non ben curate. La bieca memoria vorrebbe che tutti avessero in tasca il libretto rosso di Mao Tse Tung (che si poteva portare anche attaccato al maglione, in uno di quei distintivi a spilla tutti rossi e oro). Magari anche “Eros e civiltà” di Marcuse, che era davvero un bel libro o qualche opuscolo del Che che sorrideva con la barba un po’ troppo ben spettinata dai manifesti di migliaia di camere di studenti all’epoca pronti alle sassaiole oggi alcuni border line, molti trasformisti stile “straccio”.
Woodstock, nello Stato di New York, nei cui pressi si tenne nel 1969 l'omonimo Festival che vide la partecipazione di numerosi artisti rock. Senz'ombra di dubbio fu tra gli avvenimenti più influenti della cultura pop della seconda metà del XX secolo
Astrazione
   fatale   
Le musiche dei  Beatles e dei Rolling Stones, ancora, ma andavano anche le mondine e i vecchi partigiani del nuovo canzoniere italiano. Woodstock, “Easy Rider", “Linus”, “Cent’anni di solitudine” erano oggetti di affezione e di riconoscimento. Delle parole d’ordine che non sembrava interessare, ma in realtà erano le prime cose che si guardava se . Il mondo si divideva fra quelli che fumavano gli spinelli e quelli che facevano le assemblee (qualcuno faceva tutt'e due le cose, ma l'incrocio non era semplice). Fuori del mondo erano le scarpe a punta, vero obbrobrio culturale, un’offesa al pubblico gusto, gli occhiali Ray-Ban, le Volkswagen nere dei “fasci”. Un altro universo, che aveva solo contatti violenti con questo. Dire apertamente che gli anni '70 sono stati fondamentali, non si dice una sciocchezza.
Martin Scorsese
La guerra del Vietnam
aveva dato a tutti una coscienza e una partecipazione attiva alla politica, la musica di Elvis, la forza che ha sempre profuso James Brown. Vedevo e rivedevo Badlands di Terrence Malick, come forte è stata l'influenza di Marlon Brando, Dustin Hoffman, Scorsese, Brian De Palma e sopra a tutti quell'opera d'arte di "Apocalypse now" del visionario Coppola, gli scrittori come Flannery O'Connor del profondo Sud, di James M. Cain, Jim Thompson,  Hunter S. Thompson con conosciuto anche con lo pseudonimo di Raoul Duke in Paura e delirio a Las Vegas di Gilliams.
L'avvocato Gonzo con il suo cliente,
l'insegnante in giornalismo paraculo Duke
Verso     l'oblio     con
 l'adrenocromo
Poi la superstrada per Hollywood, dritta verso il frenetico oblio, sicurezza, oscurità. Solo un altro sballato, in un mondo di sballati, è la frase finale del film. Per questo a volte penso che bisogna trovare un fratello al Milite Ignoto, e una volta trovato, si potranno suonare le fanfare, sventolare le bandiere, camminare a braccetto di quello che ti è vicino nelle parate e manifestazioni. Uno stupido è uno stupido. Due stupidi sono due stupidi. Diecimila stupidi sono una forza storica. E' il nostro tempo. Quello che abbiamo tanto cercato. Io preferivo gli anni '70. E se ci sarà un Revival di quel decennio, so che non sarà mai onesto, fidato e spontaneo come lo furono i mitici, gli originali di allora. Tutto non è più come prima. Anche le latterie, c'avete fatto caso che non esistono più?