Notti notturne

venerdì 24 maggio 2013

Segmenti residuati tarantiniani


Gargantuesco
come un
Black      Mamba

di Matteo Tassinari
A Ellen piace copiosamente far uso dell'aggettivo “gargantuesco” per chiosare una circostanza bizzarra o inusuale e che travalica ogni stato d'animo possibile in natura umana. E siccome imbrigliare in una sola parola "Kill Bill" volume 2° è pratica da archiviare per chi vuole bene al cinema e non lo vuole ridurre a stereotipate griglie precostituite (spaghetti western, rifacimenti musicali alla Ennio Morricone, la filosofia nipponica del Samurai, le logiche della vendetta orientale e pugnette bizantine nipponiche varie) anch'io scriverò che è un film smisuratamente Gargantuesco. Fico, no!
Yes, tighten the scope
La bimba     è sana

In realtà non esiste un modo convenzionale per raccontare "Kill Bill", specialmente se parliamo del 2° volume, più tarantiniano del primo, perché il penchant di Mister Q.T. così volle. Può esistere una sua nemesi, ma non un modo per parlarne. Non per colpa del copione, ma perché anche le parole hanno i loro limiti, pur essendo potenti per natura.
Ma vediamo di azzardare, senza mai dire più del dovuto, ma anche senza non alludere, per insipida incertezza espositiva, al magnifico sproloquio di un virtuoso gigante in tutti sensi, sia filmici che fisici, visto che pesa un quintale e mezzo ed è alto 1.90 ed è volto da Mandilan. Dicevo, che mi successe, una decina d'anni fa, quando scrivevo per il Mucchio selvaggio rivista musicale, scrissi un pezzo su Frank Zappa.
Come lo iniziavo,
a metà
lo cestinavo, per poi ripartire. Così per almeno 10 volte. Non ne potevo più. Sono uscito di casa. Ho scopato. Bevuto. Lasciato passare qualche oretta. Un joint.
Into the wild
E ho scritto senza inibizione di sorta. Il Mucchio era rinomato, perché era quasi certo che chi scriveva lì, era uno che con le parole se la cavava al di sopra del sindacato. Asserisco subito che ero un semplice corrispondente dalla Riviera romagnola, e non un redattore centrale che stava in redazione dieci ore al giorno e mettere a posto tutto il materiale proveniente dai vari collaboratori. E infatti, l'ottimo Andrea Rui Scanzi, ormai fisso dalla Gruber e Piazza Pulita di Formigli, è al Fatto passato per la Stampa, ma partì da quelle colonne "selvagge" con una rubrica personale sul calcio. E' un forte tifoso della Fiorentina e quel "Rui" derivava dal fatto che era rapito poeticamente da quel fantasista stile Van Basten, ma meno offensivo e più regista e quindi più totale dell'indimenticabile olandese.
Il Mito "Rui"

Manuel Rui Costa
     Calciatore di
raffinata caratura, Manuel Rui Costa, per anni il simbolo dei gigliati e che nel gioco ricordava il genio di Marco Van Basten, altro poeta in movimento. Da qui "Andrea Rui Scanzi", proprio come si firmava dovunque scrivesse con nobile "arte", un bel leggere. Dicevo che Daniela, caporedattrice del "Mucchio", mi telefonò a casa per farmi i complimenti per il pezzo su Zappa, chiedendomi informazioni su come l'avevo costruito e quali erano le mie basi informative, con mio notevole stupore. Il bimbo era nato, ed era sano. E io, compiaciuto, per come avevo ribasato il principio chimico attivo per fare un buon pezzo su Zappa viaggiavo sulle nuvole. Come quando Rui Costa recitava versi di poesia correndo dietro un pallone in un campo attorniato da 70mila spettatori vogliosi di un gol, solo un gol. Non che Rui Costa sia un poeta strettamente legato al suo significato, è che coi suoi movimenti fisici e geometrie calcistiche, creava bellezza e questo lo rendeva stupendo. 

Beatrix: la Sposa
"Dunque, ciò che accadde alla cappella nuziale Due Pini, e che diede inizio a questa storia cruenta, è ormai leggenda. Massacro ai Due Pini, così titolarono i giornali. Le tv locali lo chiamarono Il massacro della cappella nuziale di El Paso, Texas. Come andò esattamente, chi era presente, quante persone furono uccise, chi le uccise, sono particolari che cambiano a seconda di chi racconta la storia. Ad essere precisi, il massacro non avvenne durante il matrimonio. Si facevano le prove del matrimonio".
(Voce fuori campo di Beatrix)

  Nel cratere di Guadalupe
Tornando a Kill Bill, la storia è nota. Beatrix Kiddo (Uma Thurman, la quale è stata omaggiato da Tarantino  con il ruolo della "Sposa" come regalo per il suo 30esimo compleanno, anche se penso che l'avrebbe scritturata lo stesso) ha alle spalle un cimitero municipale di corpi massacrati da lei stesso al ritmo della danza tribale Tulana Papete (animista e vorticosissima della Costa D'Avorio del Corno d'Africa) con la spada di Attori Hanzo, una Katana affilata come la "lingua del diavolo". Indubbiamente uno dei valori aggiunti di Kill Bill 2 è proprio Bill, cioè quel David Carradine, per il quale il tempo sembra essersi fermato. La realtà pochi mesi fa ci smentì in una notizia: David Carradine è morto durante la pratica insana di giochi sessuali estremi, dove si rischia davvero di rimanerci per repentini sbalzi di pressione o blocchi della circolazione sanguigna con conseguente infarto o collasso.
Al suo     posto
volevano piazzarci il catartico Warren Beatty e ogni amante del cinema di qualità non può che ringraziare "San Quentin" per la scelta di lasciare il ruolo al mito anni '70 delle arti marziali, qui in forma smagliante, impeccabile, capace di rubare la scena alla sempre eccellente Uma, che da sempre è la donna più bella del mondo. La sceneggiatura, specie nelle originalissime forme con le quali elimina i personaggi dalla storia, si attesta come una delle migliori mai scritte da Tarantino che si autocita in almeno una mezza dozzina di occasioni. Tanto l'ego di Quentin Jerome Tarantino, per sua stessa ammissione, si sa che ha dimensione galattiche e la ricerca affannosa di sorprendere (riuscendoci alla grande) il suo pubblico è solo una maniera per far soldi senza far rapine e lenire quella pulsione acuta e roboante che gli fluttua nelle vene e nelle Iene: "Se non avessi sfondato nel cinema, sarei stato sicuramente un delinquente". L'avrà pure detto per colpire ulteriormente il suo pubblico, però io ci credo. Conosce troppo bene quegli escamotage. 
La lista dove è buona vida non esserci
        L'ora di Ellen

Uma ha un  taccuino black, dove annota chi manca all'appello delle questioni irrisolte. Per Ellen, Budd (Michael Madsen) e Bill (David Carradine, morto nel frattempo in seguito a maldestre pratiche di giochi erotici orientali) gli unici rimasti, è questione di minuti. La più sacerdotessa samurai è più pericolosa di un Black Mamba e sta per arrivare. Nell'aria si respira vendetta, la in quel cratere di Guadalupe, casa di Budd in un camper dove un Black Mamba lo pizzicherà in fronte per farlo schiattare in 30 secondi di folle agonia ultimativa e complessiva.

I suoi occhi
non vedono perdono
Non ha i capelli della compassione Beatrix, e neppure il volto della pietà, tanto meno i suoi occhi non narrano perdono, semmai sono iniettati di sangue inacidito da anni di assoluta attesa che più pesante di essa, c'è solo la morte. Budd, come una iena selvatica, avverte con il linguaggio dell'istinto, la vicinanza di una carogna da spiluccare ossa per ossa. Annusa la misteriosa presenza della Sacerdotessa instradata da Tai-Pei, sparsa nell’aria. "Quella donna merita la sua vendetta e noi meritiamo di morire". E' la nemesi.



Nella voragine del
cratere     El       Paso
L'epilogo di una storia che ha per teatro una lunare El Paso, nella fattispecie inquietante come poche altre zone più o meno desertificate del mondo, brulla come la desolazione che ti consuma. Ma in quel cratere di mondo, tra Texas, Guadalupe e Messico, sta arrivando con passo dall'incedere incalzante la donna dai piedi più belli del mondo (l'ha scritto Variety americano), sempre più determinata a toccare quanto basta con le sue unghie il cuore di Bill. Più del volume 1°, Kill Bill 2° è esagerato, sopra le righe, verboso, mai noioso, e cosa importante andrebbe rivisto più e più volte per apprezzarne ogni dettaglio, ogni sfumatura. Ma è anche vero che uno fa quel che può.
Face to face finale con Bill
Face to Face
Face to     Face
Ma prima del Face to Face finale, alla Cower-Girl con Katana si dischiuderanno tanti saperi preclusi alla maggior parte degli umani grazie al maestro Taipei, fino a diventare la guerriera americana in salsa giapponese. Il lungometraggio è una cascata in piena di perle d'autore, citazione rubate, ma questo per Tarantino non è una novitò senza nulla togliere al fascino del geniale regista. A cominciare dal combattimento tra Ellen e Beatrix, (Thurman-Hannah, con la benda pirata nell'occhio destro, ma ancora per poco, perché dopo anche quello sinistro avrà qualche problema, dopo che la Sposa glielo toglierà dall'orbita. La scena iniziale in bianco e nero tra Uma e David, la paranoica, irritante e claustrofobica sequenza dove la Thurman viene chiusa con chiodi in una bara e poi sepolta e nulla è più tosto di un chiodo da bara.

Ecco   gli elementi  
del cocktail:
esplosione del cuore con la punta delle cinque dita secondo Tai-Pei, il Black Mamba, il serpente più velenoso al mondo comprato da Ellen su Internet sotto la Lemma Black-Mamba, siringhe al Sodio-Penthotal, Katane forgiate da Hattori Hanzo (Sonny Chiba), occhi snervati dalle orbite e schiacciati fra le dita dei piedi spray al peperonicino da spruzzare nelle pupille e monologhi che non si sentivano dai tempi di "Una vita al massimo", copione scritto da Quentin Jerome Tarantino e venduto per 40mila dollari alla Miramax per la regia di Tony Scott. Era il 1990 circa, e colui che era il ragazzo terribile, per poi divenire la "Iena di Hollywood", come recita la spumeggiante biografia di un tizio, tal Matteo Tassinari, per i tipi della "Bevivino editori Milano", che tipi!
Quentin Jerome

nell'Olimpo Lumière
Oggi direi che è giunta l'ora di fare stop con le mezze parole, i mezzi apprezzamenti e dare la stura a quel che Q.T. si merita. Il giovane regista nato a Knoxville il 27 marzo del 1963, ha ampiamente superato De Palma, Scorsese, Von Trier, Coppola, Kubrick, Parker, Forman e compagnia direi proprio bella e variegata, con narrazioni ben distinte le une dalle altre e generi filmici che si sovrappongono a strutture personalissime ma sempre miscelate, filtrate e rielaborate. Non è arte semplice, il "copiare", non pensiate. Tutti i grandi geni, da Freud a Lutero, da Leonardo a Tesla, hanno percorso strade che portavano su di loro molte altre impronte. Di chi? Boh?



140 chili di
Cine-Show
Sul piano registico, QT è entrato di peso (è alto quasi due metri e pesa un quintale e mezzo circa) nell'Olimpo dei grandi registi, dove vi sono appena 3 o 4 nomi. Ampi dibattiti, soprattutto quando comparve ad Hollywood questo strano "animale", sbucato da un video film punto vendita in California frequentato da attori e registi, cinefili e sceneggiatori, un incrocio che pareva essere uscito da una jungla, ha parlato per 3 ore, sulla questione di quale sia il limite tra plagio e citazione.
Tarantino, da parte sua, non ha mai negato tutti i suoi riferimenti ad altre pellicole, anche movie di serie B, convinto che "I grandi artisti non copiano, rubano", riprendendo una frase del pittore Pablo Picasso. Per concludere, con "Kill Bill 2 volume", Tarantino non ha girato solo un grande film, ma ha spiegato la Storia più incredibile di tutte le vendette sanguinose capaci di raggiungere il suo apice con estrema perfidia e dolcezza. Ora la leonessa si è ricongiunta al suo cucciolo e il vento della jungla è calato definitivamente.
Ora la leonessa si è ricongiunta al suo cucciolo
e il vento della jungla si è posato
"A    Hollywood puoi venire da qualsiasi posto, non hai bisogno di un diploma. Nessun diploma mi ha fatto avere un ingaggio come attore o uno come regista. A loro non interessa chi sei e da dove vieni: devi riuscire ad avere il primo lavoro, è dura ma allora sei sulla buona strada. Il resto sta a te, qualunque cosa hai da offrire". 
Quentin, il campione la fa facile...

giovedì 23 maggio 2013

Arte, cultura, musica, poesia, Hitler

Premessa volante
Ho impiegato 2 mesi a pubblicare questo post. L'avevo lì, pronto da tempo sul desktop, solo da montare sul blog, ma non partiva, mancava il quid della convinzione. Non capivo se avesse senso o no il pubblicarlo. Pensavo che fosse materia troppo ampia, impossibile da restringere e condensare in un banale post, come pensavo ch'era un tema che la gente non avrebbe gradito, svagata in altre storie com'è. Poi, per rafforzare tutte queste mie ipocriti bachi mentali e conformisti dubbi retrò. A ciò aggiungevo che già tanto era stato scritto su questo dilemma, che il mio post pesava meno di uno iota. 
Quasi soggiogato e conquistato dall'idea di volerlo cestinare con un velocissimo clic, ho capito che del nazismo e del fascismo (che inquietante "consonantismo", come il cannibalismo ululante al licantropismo con tanto cinismo) il parlarne non sia mai abbastanza, affinché ogni residuo dubbio umano possa scemare in ogni suo gattopardismo. Vili revisionisti, spregevoli cattolici revisionisti tradizionalisti alla Lefebrvre o Messainlatino.it, in questa schiera di rozza qualità, sono i peggiori, i più pericolosi. Quindi, tutto ciò che segue, rifiuta il compiacimento della bella "letteratura giornalisticizzata", allocuzione incredibile, inventata da me di sana pianta e non m'interessa la sua derivazione etimologica, ammesso che una non ne ha. Ma vuole, molto più semplicemente, ricordare, ricordare e ricordare. Al costo di essere dei bastardi senza gloria. Con certi tedeschi non è proprio possibile discutere. Per chi non l'avesse capito. Lo si può osservare nell'atteggiamento "aggressivamente democratico" che ha l'Aquila Imperiale nell'ambito UE, verso Stati che mai e poi mai potranno essere al pari dei livelli imposti dall'Economy Deutsche Bundesbank. Ma nessuno, come con Hitler, ha il coraggio di dirlo. Che sia il peso della grande colpa di cui Levi narra nei suoi romanzi e che incombe, oggi, sulle istituzioni? Un cazzotto nel naso ad ogni revisionista paesano che si crede d'essere giudice della storia! Con grande gioia.

      Affinché, non, succeda, mai, più.                      (M.T.)
 La nenia d'autore
del Soverchiatore

          di Matteo Tassinari
“Scrivere una poesia dopo Auschwitz è una barbarie”. Adorno concludeva un saggio scritto alla fine della 2° guerra mondiale con queste parole. Sentenza lapidaria, un atto di provocazione dopo lo sterminio dei lager in cui s’è ritrovato immerso l’artista, il “faro” che esprime luce se scrive e irradia verità se parla. Secondo alcuni, se uno scherzo della natura come l’Olocausto ha trovato posto nella nostra storia, la ragione non ha più ambito, la civiltà latita, la liceità non ha competenza, la purezza e la tenerezza non hanno più senso. Anche  la poesia, dopo Auschwitz, fatica ad opporsi a quel mondo che ha accettato i forni crematori e l’arte si pose schizofrenicamente contro se stessa, dato che tutta la cultura è responsabile del declino del mondo voluto e ottenuto dal Fuhrer. Italiani brava gente, si dice per il mondo.
Giugno 2011, cripta di Mussolini a Predappio. Tutti ad onorare il Duce,
l'unico ad allearsi con chi volle i campi di sterminio. "Italiani, brava gente".


Si chiamava      Benito,
  dinerovestito
Eppure fummo gli unici ad allearci con la belva ariana, grazie ad un romagnolo rude dal petto nudo e villoso che rubò fedi matrimoniali alla sua gente per far pecunia e vide in Hitler la stella nascente a cui aggrapparsi. Si chiamava Benito, Benito Mussolini di Predappio in Romagna, a 20 minuti da dove scrivo in questo momento il seguente testo e che ancora oggi, ogni anno, mezzo milione di persone provenienti da tutte le parti del Bel Paese con pullman, camionette e Ducati, dove si canta allegramente Faccetta nera o la Canzone del Tiglio come liriche nostalgiche tipo Der Lindenbaum, si ritrovano nella sua cripta per ricordarlo, glorificarlo e venerarlo, in un modo che va al di là dell'uomo politico, abbracci e un'inspiegabile voglia di regressione, quasi una forma violenza decadente. Sissì, aveva ragione il poeta cieco ed anarchico Riccardo Mannerini: “Ardiamo d’inconsapevolezza, e lo facciamo sfacciatamente”. La nostalgia, talvolta, è un veleno nel proprio corpo sociale che non riesci proprio ad estirpare.
Pensate la dida che volete. Io scrivo che al calar del sole
diventava poeta anche il pelato. "I poeti, che strane creature" (De André)
Quel veleno    che
bastava    ascoltare


Ad Auschwitz si è rivelata la natura illusoria di qualsiasi teoria finalistica ed ottimistica. Ogni intellettuale a detto la sua, nessuna risposta è mai arrivata all’altezza di quella follia collettiva chiamata nazional-socialismo. Il razionalismo, come concetto filosofico asfittico a tutti al di fuori dei numeri, raggiunse il suo apice. Il totalitarismo avvolse tutto con cui entrava in contatto e la musica, la nenia del soverchiatore, sulle ali del canto maledetto, mutò la sua originale dimensione, che è quella di alleviare le persone dal dolore come un potente antidolorifico, in un veleno che non serviva berlo, bastava ascoltarlo. Così, nacque la nenia del soverchiatore, che dimostrò, senza volerlo e immaginarlo, che dove non c’è cibo per il corpo, c’è cibo per l’anima. E’ noto che Hitler aveva una personale e sterminata ammirazione per Wagner. Tuttavia, altre profonde ragioni, contribuirono a far si che i nazisti erigessero Wagner a fondatore dell’identità, non solo musicale tedesca.
Perché un pelato predappiese?
Il pelato predappiese
Hitler era 
sinceramente affezionato a Benito Mussolini e di lui scrisse: "Concepii profonda ammirazione per il grand'uomo a sud delle Alpi che, pieno di fervido amore per il suo popolo, così pieno di fervore, capace del sacrificio anche personale e del suo popolo, visionario fino al punto del massimo concetto di realtà, non venne mai, e sottolineo mai, a patti col nemico interno dell'Italia ma volle annientarlo con ogni mezzo, con ogni asprezza, con tutte le sue forza mentali, fisiche e tecnologiche. Ciò che farà annoverare Mussolini fra i grandi di questa Terra è la decisione di non spartirsi l'Italia col marxismo ma di salvare dal marxismo, distruggendolo, la sua patria. A petto di lui, quanto appaiono meschini i nostri statisti tedeschi! E da quale nausea si è colti al vedere queste nullità osar criticare chi è mille volte più grande di loro! Un alleato su cui posso contare".
(Adolf Hitler, Mein Kampf, cap.XV.)

Richard Wagner
Wagner 
I soggetti narrativi
delle sue opere e la magniloquenza della sua musica ben  si  adattavano  alle cerimonie e alla propaganda di Goebbels, tanto che i  congressi del partito ed altre ricorrenze ufficiali si aprivano con l’esecuzione di musiche di Wagner, soprattutto con l’ouverture dei Maestri cantori di Norimberga o di Rienzi. Egualmente venivano organizzati dal regime concerti nei luoghi di lavoro e di ricreazione in cui la musica di Wagner costituiva spesso l’unico repertorio eseguito. Bisogna inoltre ricordare che Wagner era amato dai nazisti per le sue idee radicalmente antisemite, avendo lui pubblicato un opuscolo contenente chiare idee razziste. Più sfumata fu invece la posizione del nazismo verso Beethoven, come per l’adagietto della V sinfonia di Mahler “Non solo lacrime”. Malato gravemente di cuore all'incirca dal 1907, Mahler fu più volte costretto a sottoporsi a delicate terapie mediche, e si rivolse invano a celeberrimi specialisti che, però, non poterono far altro che constatare la gravità del suo male, una endocardite maligna ed incurabile. Tra i vari specialisti in cardiologia a cui si rivolse, va ricordato il celebre batteriologo Andrè Chantemesse, il quale fu un pioniere della scienza ma anche un uomo assolutamente privo di tatto, che molto rudemente informò il suo paziente dello stato del suo male dicendo: "Non ho mai visto degli streptococchi svilupparsi in una maniera così meravigliosa, guardi questi filamenti, sembrano alghe marine!", lasciando letteralmente Mahler ammutolito per l'orrore.
Primo Levi
"Fantocci rigidi,

retti solo da ossa"

Tutta l’attività musicale fu regolata attraverso la Reichmusikkammer, lunga mano del ministro Goebbels. Questa istituzione aveva il compito di dirigere, organizzare e dominare la vita musicale del Terzo Reich e di reprimere eventuali tendenze o intraprendenze non in linea con il regime tedesco. “Ed ecco apparire i drappelli dei nostri compagni che ritornano al lavoro. Camminano in colonna per cinque con un’andatura strana, innaturale, dura, fantocci rigidi, retti solo da ossa. Ma camminano seguendo scrupolosamente il tempo della fanfara”, scriveva Primo Levi. “Se questo è un uomo”, nasce dall’uomo stesso, dalle sue vicissitudini, non è un’opera della sua fantasia, del suo estro poetico, una suggestione per coprire le paure che di notte "arrivavano". Non potrebbe neppure essere recepito come tale, considerato l'intero complesso della circostanza e conseguente atmosfera ansimante. Scrivere queste pagine è costato sofferenza acuta e pare, in qualche modo, che lo scrittore pretenda da noi lettori uno sforzo analogo e disumano, come se Levi volesse far rivivere ciò che lui visse, ma questo lo sappiamo, non è possibile per quanto acuto sia il narratore in questione.
Deportato, costretto a cremare un ebreo
Lo stesso     patema,
nel    vuoto
Cancellarci come lettori, diventare protagonisti di quel disagio paralizzante, avvertire quella stessa sofferenza fisica, fatta di ore, giorni e anni, secondi, sentire nei nostri piedi quelle scarpe pesanti e lacerate dall’onnipresente pantano o, almeno, tentare di immaginare che qualcuno quelle sofferenze le ha provate davvero. Perché per me ciò che è lacerato è aperto, attraverso la sua lacerazione, per l’ingresso dell’Assoluto, dell’Infinito nato dalla consapevolezza del proprio nulla. E’ un aspetto che mi ha sempre sconvolto, quello dell’uso della musica a parte del terzo Reich, come tante altre cose non mi tornano. La musica è stata trasmessa anche nei lager, trasformandola da linguaggio universale a strumento di asservimento delle coscienze e dei corpi e volontà di evadere, come in un anelito di libertà.


 Gli “allegri

studenti tedeschi”


Altro aspetto che non torna è la cultura del tempo e il suo silenzio quasi assoluto, soprattutto sulle puttanate dell'esoterismo nazista e le varie corci uncinate a seconda delle interpretazioni allucinate del Fuhrer. Il genio malefico di Hoitler, fu quello di ridurre una nazione (e che nazione!) in una setta esoterica. Un esempio. Una sera calda di maggio del 1933, ebbe luogo a Berlino un rogo organizzato da Hitler in persona, di 20 mila libri. All'evento parteciparono migliaia di giovani nazisti che vivevano quel momento come la cosa più giusta al mondo. Molti di quei volumi vennero dati alle fiamme dagli “allegri studenti tedeschi”. Erano stati scritti da autori di fama mondiali come Thomas Mann, Erich Maria Remaque e altri. Il dottor Goebbels, ministro della Propaganda nazista parlò agli studenti allegri che gettavano i testi nel rogo con queste parole: “L’anima del popolo tedesco potrà manifestarsi nuovamente. Queste fiamme non solo illuminano la fine della vecchia era, ma gettano la loro luce oscura su quella nuova”. Un momento d'isteria popolare che grazie ad un terreno fertile bonificato dalle lucide illuminazioni malate di Adolf Hitler, divenne l'esempio per tutti. Heinrich Heine rispose con queste parole: “Là dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini”, come a dire che è un'antica storia che rimarrà sempre tragicamente presente.
“La dove si bruciano i libri

si finisce per bruciare anche gli uomini


Nel 1933 i nazisti bruciarono a Berlino le opere considerate non-tedesche, tra cui libri di scrittori ebrei, oppositori e opere ideologicamente non allineate
  Annientamento 


dell'anima


Dal campo di Mauthausen giunge un’altra terribile testimonianza nel frattempo. E’ il 1942 quando il detenuto Joseph Drexel, ripetutamente frustato e ridicolizzato, dovette cantare il corale “O testa ricoperta di sangue e ferite” dalla Passione secondo Matteo di Bach. L’obbiettivo di cantare divenne nelle mani delle SS, uno spietato strumento di annientamento dell’animo umano. Molti furono i canti popolari tedeschi che s’impregnarono, nei campi di sterminio, di nuovi inquietanti significati. La musica, per Gobbels, ma ancora più per Hitler, uno strumento perverso per mettere alla berlina e tormentare i detenuti, per aumentare il loro senso di smarrimento mentale soprattutto.
 L’odio aveva valicato ogni limite
Forno crematorio 
Trasformato l’arte per eccellenza, la musica, in un abominio denigratorio e violentatore. Un autentico angelo della morte, altro simbolo esoterico dei cimeli paranormali hitleriani. In una sua poesia del 1946, “Il tramonto di Fossoli”, Primo Levi si esprime in questi termini: “Io so cosa vuol dire non tornare, e attraverso il filo spinato ho visto il sole scendere e morire. Ho sentito lacerarmi la carne, le parole del vecchio profeta”. Sapere, dunque, per lo scrittore coincide con il vedere e con il sentire, con il vedere pensieri di morte e con il sentire nella propria carne le parole. Per chi non ha provato questa esperienza sulla propria pelle non è possibile comprendere. Ci si può fermare ad una più pacata intuizione, allo sdegno, alla commiserazione, ma il sapere è un’altra cosa.
Come si può dire che è tutta un'invenzione? E' diabolico!

Il branco
ha bisogno del    male

Fiumi d’inchiostro e sudore mentale sono stati versati a litri in questi anni sulla metastasi del secolo scorso che sorge inaspettata la domanda: ma a cosa serve parlarne ancora? Serve, serve eccome. Se ancora oggi migliaia di persone e “raffinati intellettuali”, uomini e donne di cultura, personaggi appartenenti alla chiesa danno quotidianamente origine alla cosiddetta “Critica al negazionismo scientifico", ossia attraverso una serie di menzogne negano la desolazione, l’odissea, lo spasimo, il patimento di milioni di persone.
Poche cose sono così dolorose come il non essere riconosciuti nel proprio dolore, non essere creduti in ciò che è il nostro tormento innocente, poche cose raggiungono un livello di cinismo uguale. L'argomento cardine del negazionismo è l'inesistenza delle camere a gas, la negazione di milioni di morti, con scusanti annesse a tutelare il Terzo Reich. Cominciò il medioevo tedesco. Faurisson e Leuchter, per primi sostennero questa teoria, cercando di dimostrare l'impossibilità tecnica di stermini di massa mediante gas velenosi. Teoria sorretta da tante altre teste d’uovo, perché il male non s'aggira mai da solo, troppo vigliacco per farlo, ha bisogno di compagnia, di un branco, perché da solo non ci sa stare. A tal scopo pubblicarono nel 1988 un rapporto, una perizia nella quale la dimostrazione dell'inesistenza di camere a gas sarebbe stata confermata dall'assenza di residui di cianuri nei resti delle camere a gas stesse ad Auschwitz. Accidenti, che prova probante. Questa è una pistola fumante.
La faccia da Torquemada di Richard Williamson, vescovo ordinato dal fanatico Lefebrve e sostenitore dell'"invenzione sionista" riguardo i lager
L'orrore ha una sola cosa
in comune con la felicità: la profondità
Fino ad arrivare all’inaccettabilità profuse dal reverendo Richard Williamson, uno dei sei vescovi consacrati senza mandato pontificio romano dall'arcivescovo Marcel Lefebvre, divenuto famoso nel 2009 per lo scandalo internazionale suscitato dalle sue posizioni revisioniste sull'Olocausto, quando in un'intervista al Catholic Herald disse di non essere antisemita ma di non gradire “i nemici di Nostro Signore Gesù Cristo” e che “se gli ebrei sono nemici di Nostro Signore Gesù Cristo, naturalmente non tutti gli ebrei, ma quelli che lo sono, allora non mi piacciono”. Non gli bastò.
La     vergogna del mondo è un vescovo

Poco tempo dopo,
non sazio del suo cannibalismo vampiresco, in un'intervista concessa e trasmessa dalla televisione di Stato svedese nel 2009, Williamson affermò che nei campi di concentramento nazisti fossero morti al massimo 2000mila ebrei, nessuno dei quali nelle camere a gas in quanto secondo lui non sono mai esistite. Oggi sappiamo che i morti superano i 10 milioni tra Ebrei, Omosessuali, Polacchi, Handicappati, Zingari, Armeni e i campi di concentramento con camere a gas erano 15.000, installati in stati d'Europa occupati dal Fuhrer. In Germania ebbe luogo il Golgota della sofferenza umana, al punto che la morte è la notte fresca, la vita, il giorno tormentoso, ma la morte diventa anche il punto di perfezione a tutta quella tragedia piovuta da chissà dove e inflitta 20 milioni di persone.
Lectio divinis
Il paradosso, e questo. E' veramente una lectio divinis, è che Hitler, nella sua malvagità, ha creato, non certamente volendolo, una schiera di santi e sante immensa. Un popolo di angeli nel vento, ma questo è lavoro dello Spirito santo, unica Entità capace per mezzo di Dio di trasformare il male in bene. 

venerdì 10 maggio 2013

Un dignitoso morir, la vita onora

"Ch’è la morte s’appressa e ‘l viver fugge"
(Francesco Petrarca)
 Stories in Art, codice di Petrarca al "The Walters Art Gallery" a Baltimora

Il signor    Buon Senso

               di Matteo Tassinari
La vita procede quatta quatta, disperatamente antidrammatica, sminuzza e sbriciola ogni cosa, lasciandola cadere dalla mano a poco a poco in un mondo ormai al crepuscolo e incapace d'inventarsi un calembour originale. La mattina. La notte. In mezzo pomeriggio e sera. Certezze da poco ci guidano, e noi ci lasciamo prendere dagli orari prestabiliti. Ma da chi poi? Mi parlano spesso dal signor Buon Senso, un tizio dal naso secco e gli occhi a mandorla come quelli mongoli. Ma dove abita il signor Buon Senso? Scoreggia ancora forte? Vorrei conoscerlo anch’io, davvero, ne parlano tutti così bene che magari mi aiuta. Signor Buon Senso, lancio un appello, se dovesse leggere questo post, mi chiami tranquillo al numero cabalistico telefonico di casa mia, il 41m58l902dt3, poi aspetta qualche secondo e fa il 23u601bg56ejaer4. Se non mi trova qui, allora provi al 38ty69j835y, qui ci sarò sicuramente perché non manco mai. Oppure lasci detto a Susanna, la mia segretaria muta, ma al telefono se la cava benissimo, una tipa che riesce sempre in ciò che le serve. Ricordate, Susanna Fiabeschi di Bologna, città senza fine e sentimenti intirizziti dall'addiaccio nell'attesa di un cliente che arriverà di notte fuori dal Mercatone oppure al Gros di Rimini o Lido di Classe per i più spudorati?
Cari saluti,   signor Buon     Senso

     Tutti siti umani dove
la prostituzione è un modo di vivere, più che un piacere e in giro c'è tanta gente disperata vittime di mogli incapaci ad andare oltre ad un bacino sul prepuzio. Come le facesse schifo, ipocrita donna dalle virtù spiccate ma dalle voglie di una ravanata coi fiocchi che la riduca come uno straccio felice. Gli metterebbe attorno il tovagliolo, per non sporcarsi troppo. A me leccare la gnocca piace, nel senso che potessi rifarlo lo farei al momento oltre che all'impronta, subito, ma non posso e questi sono davvero cazzi miei. Tanti cari saluti al signor Buon Senso che ancora non ho capito da che parte abiti. Forse ad Arcore? No, lì c'abita il Buon Sesso, questione di una lettera, ma fatale. 
Tra pantofole e scarponi militari
Adesso che rimango a casa spesso e dormo fino alle 11 di mattina, avendo cani, mangiando focacce messicane con Tomato, facendo una vita tra scarponi militari e pantofole, dedicandomi ai divertimenti della natura. Vorrei stare "tranquillo" ancora per un po’. Vorrei evitare il più possibile le polemiche (quasi tutte inutili). Come preferisco passare per inaffidabile, anzi, più volte ho rimarcato la mia totale e assoluta inaffidabilità per questione chimico-biologiche e l'ammissione sbalordiva gli uomini per bene. Non mi piace la gente che per giudicare suoi simili sancisce a tutto tondo: “E’ morte!”, con una violenza inaudita, un atteggiamento ultimativo da Divo (leggi Andreotti).
Un modo di porsi da uomo di mondo, o forse da chi sa affilare perfettamente il suo supposto altruismo, come se lui, dalla Morte!, ne sia esente. Arriverà, per tutt@ e non parlo della morte fisica. Pasolini, oltre ad essere una delle menti più raffinate del secolo scorso, era una persona umile che diventava aggressiva quando andava in Tv e questa lo distruggeva perché alle dieci di sera andava in stazione Termini a Roma per ritrovare la sua dolcezza che abitava e di cui era proprietario di quel corpo maciullato a Lido di Ostia la notte del 2 novembre 1975, ricorrenza di tutti i morti, presagio che invece la dice tutta su PPP e sui Servi segreti dell'epoca? Anche per questa casualità penso che Pasolini vedesse quello che tanti ancora non hanno neppure intuito, neanche un'oncia: il coraggio della verità.
Una storia sbagliata

   P.P.P.
   Questo
passaggio, preciso, lo capirà solo una persona alquanto interessata a questo arringa draconiana, quindi se vi sfugge qualcosa, non preoccupatevi, vi mancano degli elementi che glisso e quindi non potete capire del tutto l'esposizione delle seguenti parole. Poeta, romanziere, drammaturgo, linguista, giornalista, cineasta, scrittore, poeta, pittore, cosa volete di più da questa vita, cos'altro vi serve, ora che il cielo al centro le ha colpite. "Per il segno che c'e' rimasto non ripeterci quanto ti spiace non ci chiedere più come e' andata tanto lo sai che è una storia sbagliata" suonava Fabrizio De André  in questa canzone
http://www.youtube.com/watch?v=RStwinB7cJw, fatelo per me, che non centro niente.

La complicata concentrazione dei ballerini di tango


Tango?    Mazurka?
Thumbler?    Paso Doble?
Ho sempre ammirato la concentrazione dei ballerini, per l'intensità. Magico e la sensualità, con movenze da paso doble e senza che nessuno stia pensando che stai facendo all'amore con quella cichita e ti lasci allora andare. Tango? Mazurka? Balalaika? Kuduro? Tumbler? Non importa. Ogni movimento si è preso uno spazio dentro di e non lo lascia, perché fare l'amore davanti a tutti senza che nessuno si scandalizzi non riesce a nessuno e a nient'altro. Precisione, eleganza, delicatezza, passione, equilibrio, grinta, amore, fierezza, determinazione, grazia, tecnica zigzagante e via che si vola in due. Il resto è Perù. Mi sarebbe piaciuto, se non fosse stato, ora, troppo tardi. Sarei andato in quella sala da ballo vicino all’Ipermercato "Le Befane" di Rimini. Un colosso di 3 piani, mastodontico da mettere paura al sol vederlo, dove la gente passa i week end ignorando definitivamente i prati. Tutto il dolore dobbiamo consumare, fino all’ultima cavità, all’ultimo territorio praticabile? Che faccio? Scrivo per una mia amica una lettera di bella presenza che vorrebbe spedire al suo ex amante che non la vuole più. Scrivo per riempire questo vuoto dalla pienezza del rimpianto dei bei tempi. Bruna, un trans di Belo Horizonte con casa a Lido di Savio, mi aveva dato arance, come per sdebitarsi della sua tenera amicizia. Provate a sentirvi come Bruna, provate a sentirvi come un moscerino in un occhio, provate a resistere stringendo i denti tanto da spaccarvi le mascelle, allora capirete l'umiliazione. Con la sveglia che ci fa aprire ancora gli occhi, quando è abbastanza giorno per aspettare la notte.




Si lascia poco
quando si parte


Come quando qualcuno muore, è come se morisse tutto il paese. Poi, quando l’ultima palata ha concluso la sequenza, il morto è veramente morto e con egli anche il ricordo per alcuni s'eclissa. Come quando il risultato ad ogni nostro calcolo ci risulta troppo preciso, troppo convincente per essere credibile, rimaniamo poco fidenti. E’ necessaria allora e talvolta, quel pizzico di contraddizione che dona alla disputa un tocco di realismo che la sovranità percepibile ha in se e l'odore non puzza d’inganno. Ciò che si lascia è poco.
Achab contro Moby Dick, secondo Herman Melville


L'arpione di Achab



Parole sospese senza senso, frasi che colmano i vuoti a perdere quali siamo come vele lontane tormentate dal vento, ma Moby Dick era sempre più irto e impaurito dall’arpione del capitano della baleniera Pequod, Achab. Il capitano non sopportavo di dover render conto a tutto il parentado di quel che succedeva. Era un suo segreto il suo silenzio come il vecchio passato, rimane sempre schiavo del futuro: "Io lascio un bianco e torbido solco, acque pallide, volti più pallidi, dovunque io navighi. Flutti gelosi si gonfiano lungo le fiancate per sommergere la mia traccia. Facciano pure, ma prima, io passo". (citato in un album di Andrea Pazienza, "La prima delle tre") ecchèvelodicoaffare, tanto la passione, anche quella più profonda, non richiede un proscenio sfarzoso, monumentale o stupefacente per recitare la sua parte. Un sorriso, molto spesso, è il mezzo scelto per ogni ambiguità.


Simboli vani


Un significato 
si nasconde di sicuro in tutte le cose, altrimenti tutte le cose varrebbero ben poco e il globo stesso del mondo non sarebbe che un simbolo vano, buono soltanto a vendersi a carrettate per colmare qualche palude della via Lattea. Achab ragionava così, per questo non ha mai preso una penna in mano, ma arpioni di ferro laccato (il più arcigno e tagliente) per cacciare Capidogli. Per questo mi è a cuore le fatiche letterarie e aborro le poesie fatte in cinque minuti da bottegai. Produrre un grande libro, bisogna scegliere un grande argomento e la cosa è assai complessa quando si tratta di svilupparlo. Non che io lo sappia fare, ma almeno lo riconosco! Nessun'opera grande e duratura potrà mai venire scritta sulla pulce, benché molti abbiano tentato. Soltanto, attraverso innumerevoli pericoli, a quello stesso punto dove si è partiti, dove quelli che abbiamo lasciato al sicuro sono stati avanti a noi tutto il tempo.

 
Octavio Paz, premio Nobel 1990 per la Letteratura

L'altro Paz
L’altro giorno leggevo un’intervista al poeta Octavio Paz, premio Nobel 1990 per la letteratura, dove sosteneva che: “la nostra società ha elevato i numeri al ruolo di idoli”. Forse, “per questo, per paura, s’inventò un volto e dietro ad esso, molte volte visse, morì e ritornò. Oggi il suo volto ha le rughe di quel volto e le sue rughe non hanno volto”, scriveva amaramente Paz, considerato il poeta sud americano più raffinato della seconda parte del secolo scorso. Capita di voler sparire, sopratutto a chi l'esistenza, dai 14 anni in poi (prima non ricordo, troppo complicato fare equazioni) l'ha lentissimamente portato all'angolo del limite. A 17 anni non è convenzionale rinchiudersi all'Hotel Marta in centro a Forlì con 10 grammi di eroina e uscire un'oretta per buttare già un capuccino 2 bomboloni e tre brioches in un sacchetto da portarmi nella mia bella camera d'albergo in totale solitudine. Mi trattavo bene, almeno cercavo di farlo, visto che la deriva non era così lontana. Ma questa può sembrare un'esperienza estrema (e lo è). Lo è meno la maschera perbenista che prendiamo per il prolungamento di se stessi, al punto di non riconoscere più chi siamo e senza saperlo facciamo uso dell’immagine posticcia, quella autentica, disorientati come siete, ormai l'avete persa.
Ci adagiamo all’altro di noi, a ciò che si è deciso sia opportuno dare agli altri anche se non lo si è, perdendoci porzioni del nostro autentico essere, lasciato solo, forse per sempre. L’apparenza può ingannare in modo così “veritiero”, a tal punto di non riconoscere il proprio io dalla sua proiezione da noi programmata per il gusto altrui per dirla con Francois Ozon, giovane regista francese. Chi è pertanto l’altro? Il nostro s'è trasformato nel mondo della parvenza, dell'apparenza e ci sguazziamo non valutando le conseguenze, credendo che il presente sia eterno. Ineluttabilmente arriverà il momento in cui dovremo fare i conti, tutt@. “Le sue rughe non hanno un più volto”. Così la vita di molti si divide in modo diseguale in due bucce, che col tempo sono diventati impossibili collegare. Chi è in grado di rimanere se stesso non si perderà, si guarderà allo specchio sicuro di riconoscersi senza fine. Le rughe che noterai, saranno le tue, non un'invenzione, non per celia. Tanto la morte è un'usanza che tutti, prima o poi, dobbiamo rispettare. I fatti sono cocciuti e la morte è il più cocciuto dei fatti, per una desolazione che può diventare il palcoscenico della felicità e l'alba di una nuova aurora sconosciuta.