Notti notturne

sabato 16 marzo 2013

Sostiene Nanni

Identico alla finzione
Nel cinema di Nanni Moretti 
è in gioco qualcosa che, se da un lato risponde all’emergere di esigenze reali, determinanti e attuali, dall’altro tira in ballo problemi di carattere “universale”, riassumibili nell’idea della continua, fragile, infinita, allo stesso tempo drammatica e comica, ricerca del senso esistenziale. Un rabdomante alla ricerca radicale del valore aggiunto, che mette in relazione, conflittuale piuttosto che armonica, l’Io e gli Altri. L’io e la società. E’ il dramma comico di una soggettività smarrita nelle forme della vita sociale, rispetto alle quali non sa stare dentro, ma non sa starne neanche fuori. Ne riesce ad isolarsi. Ma neppure ad adeguarsi. Da ciò sviluppa tutto il teatrino grottesco del continuo distinguersi attraverso il perenne riposizionamento rispetto a se stessi, agli altri, al mondo, dei suoi personaggi o ipse dixit, alcuni divenuti storici. “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Vengo, ci vediamo là. No, non mi va.
"Non vengo",
discute al telefono con un amico indeciso se andare ad una festa in “Ecce Bombo”. Il cult l'ha stampato per l'eternità in fronte a Massimino con quel: "D'Alema, dì qualcosa. Dì qualcosa di sinistra!", ("Aprile"). Oppure: "Con questi dirigenti non vinceremo mai" (sempre in "Aprile"). S'aprì la stagione dei girotondi, più un modo per stare insieme tra vecchi amici e fare bisboccia cinque minuti per essere ancora un poco freak, non fu certamente un atto politico, mi viene da ridere al solo pensarlo. Tanto valeva darsi un appuntamento in un bar del centro verso le 7 di sera e farsi un Camparino.
Il desolante monumento a Pier Paolo Pasolini ad Ostia,
zona Idroscalo, dove lo Stato gli cercarono l'anima a forza di botte
Matrice
pasoliniana
La stoffa dell'intellettuale pasoliniano non gli pecca, certamente ad un livello più basso, ma l'indirizzo mi pare il medesimo. Proprio in "Caro Diario", nel finale del primo episodio, si conclude con la vista malinconica e desolata di quel ricordo in disuso e senza cure dove l'intellettuale migliore del secolo scorso venne barbaramente ucciso da uomini dello Stato, in quanto dipendenti dai Servizi segreti italiani. Le eminenze grige chiamate solo in caso di concludere gli "affari sporchi". Gli uomini della Speciale, gli uomini del temutissimo De Tormentis, a capo delle zone più oscure e segrete dei Servizi segreti italiani. Quando un nome è nel tuo destino, altro non potevi essere. 
"Uno splendido quarantenne", 20 anni fa 
 E  l’abbraccio?
stretto fra senso e non senso, felicità e dolore, vita e morte, tende a dissolversi nella proliferazione di cliché che costituiscono la congestionata vita sociale di noi tutti. Sono in pratica i modelli della commedia grottesca, un vago senso di Burlesche che definisce i motivi e le forme più romanzesche del cinema morettiano, quando deve per forza difendersi dagli ostacoli che trova e scopre girando il suo cinema ormai conosciuto, al punto che ritengo superfluo raccontarlo.
Nanni Moretti, il più rococò dei marxisti
Discordanze fra soggetto-mondo, individuo-società, può portare al tentativo di flettere il mondo a propria immagine, a costo di passare anche per l’atto più crudele, come accade nell’omicidio in "Bianca", forma radicale e border line del gusto dell'amore altrui. Oppure può portare all’abbandono, alla fuga, quando emerge l’assoluta impossibilità di modificare le cose e di comprendere il mondo stesso in tutte le sue asprezze e acidità, concetto sviluppato ampiamente nella "Messa è finita", dove un Nanni Moretti prete non riesce a capire perché la gente sia tutta così triste pur avendo tutto.
Non capisco, dicono che è antipatico, a me è simpaticissimo
L'azzardoso ambiziato  
O addirittura può proiettare la risoluzione della crisi in un futuro utopico, a dimostrazione del sol dell’avvenir nel finale di "Palombella Rossa", il mio preferito e l'azzardo più ambizioso di Moretti, sia per la precisione politica della sua pellicola che previde la disfatta del partito comunista nell'accezione popolare del riferimento. Memorabile l'arbitro chiede ad un confuso Michele Apicella: "Voi avete perso la strada, non siete più di qua ne di la. Non sapete più chi siete", e viene in mente Achille Occhetto alle prese con la sua "Gioiosa macchina da guerra" che incombeva alla deriva, mentre Berlusconi stuzzicava la pancia degli italiani per studiarne le budella e i miasmi e fare sei campagne elettorali.
La sinistra "vincente"
Bastava risolvere il maledetto conflitto d'interessi e tutto era fatto. Tutto lì, e non avremmo dovuto patire quel che abbiamo straziato in questi anni, tra la Daddario e Scilipoti. Un grazie a D'Alema per la metafisica surreale Bicamerale, il governo inguardabile di Berlusconi da non far cadere e non fare incazzare troppo Prodi. Se il nano d'Arcore è arrivato lì, è perché la sinistra gliel'ha permesso. Veltroni, Rutelli e Fassino, i tres amigos boys, non hanno fatto un beneamato pene per impedirglielo. Acqua passata, che ancora scorre. Un pantano.
Silvio Orlando e Nanni Moretti in "Palombella rossa"
a mio avviso il film migliore di Moretti

“Ma perché

diventare      grandi?”   

Il dovere di diventare grandi: “Ma perché diventare grandi” si chiede un Nanni divertito in maniera sconcertata e sorniona? Il senso di responsabilità che accompagna soprattutto “Aprile”, cioè filmare il grande cambiamento politico avvenuto in Italia, esperimento riuscito con una semplicità che sfiora la genialità.
Così, di fronte al dovere, all'imperativo che sente assillante, ma che lo lascia insoddisfatto e creativamente sterile, rimane solo il desiderio, il sogno di fare un musical sul pasticciere trotzkista che chiude il film, forse il più fantasioso e colorato della sua teca dorata personale, come a dire che tutto il film è servito per comunicare questi cinque minuti finali godibilissimi con un fantastico Silvio Orlando. In breve Moretti s’accorge che la sua maturità da cineasta, include uno spettro terribile: la morte. La morte simbolica, s’intende, sotto forma di un periodo della nostra vita, la gioventù che è sempre più ricordo, l’addio ai tempi noiosi ma nuovi di “Ecce bombo” con tutte le sue sparate adolescenziali. La scoperta profonda di un destino non duplicabile quando anche il figlio non ci assomiglia affatto, quando con dispiacere non ritroviamo nulla in lui di noi, quasi un fallimento genitoriale.
"La stanza del figlio" mentre cantano "Insieme a te non ci sto più",
clicca: http://www.youtube.com/watch?v=efzTCBZuZjo
  Nuovi punti d’equilibrio    
Ma l’evento tragico che spezza questo già fragile equilibrio, la morte del figlio, la disgregazione, la separazione ineluttabile anche per uno strizzacervelli affermato e competente. Fino a quando il sopraggiungere di una ragazza non determina una situazione che oltre ad essere di assoluto stile romanzata, rappresenta la possibilità di riaprire almeno i giochi che si erano proprio bloccati. La messa in movimento del nucleo familiare (stupenda Laura Morante) alla ricerca di un nuovo punto d’equilibrio, di un nuovo inizio, che, dall’azzeramento di una situazione stabilizzata, risospinge in mare aperto. Dalla parte dell’instabilità, dell’inquietudine, del non sentirsi a posto, nasce la speranza di una nuova giovinezza, quasi sostitutiva di un figlio perso come può capitare a chiunque. Ed ecco allora che l’arco della formazione dalla giovinezza all’età adulta, con tutti i passaggi che scandiscono il ritmo, diventa un arco incompiuto anche se anestetizzante e meno doloroso. Il tempo diventa sempre più uguale e gli steccati fanno meno paura, eppure, a 59 anni scoccati, sono convinto che Nanni, con la sua Vespa stile anni '70, direbbe ancora: "Sono uno splendido 60enne". E lo è.
A che punto eravamo rimasti?


L’attore     e l’autore

Il cinema di Moretti è inscindibile dalla sua presenza fisica e d’attore, dalla sua maschera, dai suoi Michele Apicella (alter ego del regista), dal personaggio istrionico. Fra l’uomo e i suoi personaggi cinematografici, c’è un’assoluta e manifesta contiguità, vicinanza, o addirittura identità. Oppure fra l’uomo (la realtà) e i personaggi (la finzione) c’è l’attore, cioè la simulazione filtrata da Nanni Moretti e di come interpreta lo scibile umano. Nessun gioco è ormai possibile se non quello della finzione, sostenuto da un attore che smarrisce il grottesco e l’ironia a vantaggio dell’alternanza sentimentale della felicità e del dolore, della serenità e della sofferenza.
E anche in questo che “La stanza del figlio” determina una frattura, ponendosi oltre l’intercessione fra attore ed autore. Anzi, è in un certo senso, il primo film in cui la presenza di Nanni Moretti attore non va oltre la sua bravura e forse non oltre la sua insostituibilità. Un film solo girato e non interpretato da Nanni Moretti, perde del 50% delle sue potenzialità. Non perché Nanni sia un grande attore, su questo potremmo anche discutere, ma perché il suo fisico, la sua presenza in scena, da affidamento e diverte comunque, anche quando deve recitare ruoli scabrosi come l'assassino di "Bianca" o "La stanza del figlio". Due film molto tristi, zeppi di afflizione umana, costernazione o amarezza. In questo "Ecce bombo" è il più depressivo, ma allo stesso tempo il più buffo e farsesco, a tratti brillante davvero se pensiamo che uscì nelle sale nel 1978 e già s'ironizzava sul linguaggio giovanile: "Faccio cose, vedo gente...".
E' storia questa, Moretti alle prese con la Nutella

Surplace fra superficie  
e profondità

E’ il movimento sur-place di una maschera crudele e spietata, che non lascia spazio ad illusioni, lontana dalla cinica ribalderia di un istrionismo camaleontico infantile che non accetta di risolversi nel vincolo sociale, ma non vuole neppure eluderlo: “Io credo negli uomini” per poi trovare nelle minoranze una possibilità, un’alternativa, prima di rendersi conto che è proprio nella minoranza, nei cliché di nicchia che s’annidano i pericoli maggiori. Moretti, oltre al resto, non pone altro tema che quello della ricerca di senso. Lo fa ripetutamente, anche se ultimamente, invecchiando, s'è sdolcinato un poco. Un’esperienza sensata, che sembra definirsi da un lato come orizzonte utopico e dall’altro come spinta etica in perenne ricerca di senso. Questa assunzione di senso è attraversata sotterraneamente e minacciata dal non senso, dalla dissoluzione, dalla fine, dalla morte che accompagnano sempre l’impegno che sorregge ogni sua storia, come in "Sono un autarchico". Parlo di un non credente, quindi l’analisi non offre molti spazi alla sfera spirituale, anche se molti critici trovano nei suoi film aspetti che inglobano quello che i teologi chiamano sete d'Infinito, anche se lui non perde occasione nel dire che saremmo fuori strada se analizzassimo in questa maniera le sue 11 bobine Sacher firmate come regista, le sue otto comparizioni in film di amici e colleghi e i dodici cortometraggi a sua firma o produzione. Tutto all'insegna di quell’insostenibile inadeguatezza dell’essere che lo rende scontroso e poco socievole, anche se in privato, come sempre, è tutt'altra persona.
In Vespa
"T'è piaciuto il film 
Mattè?"
All'uscita della prima di "Caro diario", capitò che aprì a Forlì, per chiuderla dopo un anno, una nuova sala Sacher-Film insieme all'ex socio Angelo Barbagallo, dove lo conobbi per parlarci dei reciproci mali e intervistarlo. Lui del suo tumore al polmone raccontato in "Caro diario", trattato nel terzo episodio "In vespa", del film  di come non sopportava i dibattiti e io dei miei problemi fisici che ho inanellato nella vita, passo passo con una lentezza che non so definire. Era un'intervista per un settimanale ora chiuso da anni, "Avvenimenti", di sinistra area Rifondazione Comunista diretto da Claudio Fracassi che saluto, intorno alla metà degli anni '90. Com'è Nanni? Identico a come si vede in video: burbero, secco, selettivo, improvvisamente sereno e felice e molto curioso. Mi chiese, con mio stupore, se gli era piaciuta la prima di "Caro diario". Ebbi una gran paura di sbagliare e farlo arrabbiare. Dissi che era molto ricco, ma avendolo appena visto dovevo razionalizzare alcune cose. Mi guardò e rise, come dire "Fratè, ma come parli?". Mi sentivo così scemo di fronte a lui, e non ce n'era ragione, ma cosa volete che vi scriva, so leggere le mie sensazioni e raramente sbaglio. Mi sentivo pirla, anche se l'analisi sinottica del film fosse stata perfetta, avrei vissuto un disagio enorme lo stesso, perché io quel sorriso, mica l'ho mai capito?! Partimmo con l'intervista al bar di san Martino in strada, un quartiere di Forlì. C'era anche l'attuale direttrice di Ciak, Piera Detassis che abbracciò come a dire: "Piera, portami via di qua, mi sono tutti addosso", lei rise. Che bel narciso Nanni! Mi piace proprio perché sta sulle palle a tutti, soprattutto a quelli di sinistra come me (sinistra culturale, non politica) in quel caso mi scompiscio dalle risate e capisco che di Nanni Moretti ce n'è un  bisogno assoluto, quasi un'esigenza come antidoto.
Mi dicono ora, in questo momento, che l'uomo nella foto, si chiama Gasparri. I camerati lo chiamano Occhi di Lince o Fiuto di Canguro. Grazie alla regia.
??????????????????????
Il "politico" Maurizio Gasparri iscritto al Pdl disse: "Il Moretti politico del Caimano, ha delle turbe psichiche". Vogliamo dire cosa pensiamo noi di Gasparri? Ma no, mica abbiamo tempo da perdere. Il colpo del campione, Gasparri Maurizio, l'ebbe quando disse: "A volte, il Senato, la Camera, votano leggi che noi stessi che le votiamo non è che le capiamo bene, nel senso che c'è l'articolo che sopprime il comma del tale anno. Insomma, a volte, leggere le leggi è uno sforzo evidente".
"Con Obama alla Casa Bianca, al Qaeda sarà molto più contenta" Gasparri, grande diplomatico
 

E ci si ritrova con i pestoni sotto gli occhi per lo sforzo mentale. Il massimo lo si ottenne quando in un rocambolesco escamotage dannunziano dai risvolti futuristi esprimendo il seguente concetto: "L'opposizione in democrazia è essenziale. La strumentalizzazione dei bambini dimostra invece la natura criminogena dell'opera di falsificazione in atto. Veltroni e Di Pietro non prendono le distanze dai loro manovali, i cui figli vengono intossicati da cattivi genitori dal cervello bruciato dalla droga e dalle bugie dei capi della sinistra". Bambini? Di Pietro? Veltroni? Democrazia? Opposizione? Manovali? Chi ha capito qualcosa alzi la mano, perché questo ragazzi è un filosofo underground, per dirla con Gaber. Il botto lo fece parlando del fascismo: "Ora - attenzione - non è che per far contenti Rutelli e D'Alema ci metteremo pure a riallagare le paludi pontine e a portare la malaria a Latina, a mandare al rogo l'enciclopedia italiana". Mi par di vedere tanta gente stralunata, dal volto basito come quello di Gasparri che si stupisce della puzza che fanno le proprie scoregge. Ce lo meritiamo Gasparri! Ma non si parlava di Moretti?


martedì 12 marzo 2013

On the rambla

Indicazioni a cappella
Restiamo
Umani

  adaptation      of the

   jack kerouac

Jack Elliot and Woody Guthrie, 1961
         di Matteo Tassinari 
Non ho mai fatto segreto delle mie condizioni di salute risentite in queste mie 54 primavere vissute per scoprire quanto sia vero che si nasce piromani per poi morire pompieri. La salute non analizza se stessa e neppure si guarda allo specchio per paura di vedersi. Solo i malati capiscono, poi vagamente, cosa sta succedendo, quando un arto diventa improvvisamente assente.
Marcel Proust stilizzato
Quel poeta francese, talvolta inutile come la forfora sul cappotto, Marcel Proust, scriveva: "I tre quarti delle malattie delle persone intelligenti, provengono dalla loro intelligenza". Grazie alle tre caravelle, ma quando lui scrisse questa scemenza, l'Aids non esisteva ancora. Il mio "Opusculum" (opera minore) è nata per ragioni terapeutiche, d'euforia gentile e molto più modeste rispetto alle aspettative, pur dandomi soddisfazioni. 
"Opusculum"
(opera      minore)
Vivendo di parole e sentimenti ad esse legate, se non avessi intravisto in questo il mio futuro, non sarebbero divenute la base del mio essere. Un futuro "offrente" strumenti per capire che la malattia cronica è una vecchia signora che adora essere trattata con riguardo e cura, come una croce da portare fino alla fine dell'ultima ora. Non nascondo il rammarico nel dover gettare la spugna, per dirla pugilisticamente, perché il mio corpo non riesce più da anni a stare al passo con i furiosi tempi redazionali che i giornali pretendono. In ogni cosa è salutare, di tanto in tanto, mettere un punto interrogativo a ciò che a lungo si era dato per scontato. Com'è pure vero che a causa della mia modalità diretta di affrontare le cose, che mi ha permesso d'incontrare persone splendide e capaci e persone con cui non ci siamo capiti affatto (o forse ci siamo capiti troppo bene!) in queste tristi gare di burlesque, dove ogni uomo ha scelto forme varie d'ingessatura per arrivare in salute al gran finale, che mi ritrovo il carattere che mi rimane.

Ra bbuffi
che     in
definitiva
non hanno alcun valore, se considero le persone stesse protagoniste di malumori banali, anche se tranquillo non ti lasciano. Del resto, a chi non piacerebbe andare d'accordo con tutti? A tutti! Ma non è possibile, nessuno c'è mai riuscito. Ci riesce solo chi è in malafede, gli astuti, gli strateghi, i truffatori, i machiavellici, i tagliaborse dal passo felino, è una mia considerazione che vale il tempo che serve per scriverla. Se non avessi messo tanto nero su bianco  le depressioni vissute mi avrebbero massacrato, squinternato, non so come dire, riducendo la mia sensibilità ad un piattume gelido e rinchiuso in qualche bella clinica in collina, come quella di Edgar Lee Master da cui De André trasse "Non al denaro, non all'amore, ne al cielo", dove la notte dopo cena si va presto a dormire.
Edgar Lee Master 

Burlesque all'infinito
I corridoi sono sempre larghi e dal soffitto alto, vuoti quando è sera. A meno che non ci sia una partita di calcio, metti Italia-Germania che è la più affascinante delle competizioni della pelota pedata. In quel caso allora la serata prende quota. Mi sarei accontentato di poco, penso che mi sarebbe bastato un quasi niente, quando gioia e dolore hanno il confine così incerto, le esigenze si riducono sbrigativamente e diventano poche, ma indispensabili. Ma si sa, "le comari di un paesino non brillano certo d'iniziativa, le contro misure fino quel punto, si limitavano all'invettiva", cosa aspettarci da un angusto e sifatto teatrino da Burlesque all'infinito?

Vi lascio la palla 
non m'interessa. Da impazzirci sopra, come quando scorreggi lasciando nell'aria odori che non possono piacere se non a te stessa. Che squallore la vita commerciante che si vuol dare il tocco da petit-la-rouche, ossia, tutta gente che aveva imparato, ma non aveva capito. Sul Battello Ebro di rimbaudiana memoria, si sarebbero trovati male, ne sono certo, in uno stato paranoico ed esiziale essendo in fondo delle figure di Celine o di Hete Ledeger. Grandi personalità, per piccoli contesti inizialmente umani poi disumani. In fondo la natura umana è docile. Non sempre, e quando è no, è un casino da colmare senza dentiera. Niente scusanti, niente scoregge, niente attenuanti!
La  mia       tastiera
è  ancora  là 
La scrittura in  gran parte mi ha salvato, ancorandomi ad essa come un absolute beginners in perenne stato embrionale. Le storie, qualsiasi storia, è sempre una testimonianza, il vissuto dei polsi di qualcuno, il tremare perché i dottori hanno appena detto che è maligno. L'attesa di una telefonata dall'Ospedale per farti narrare i risultati istologici di una biopsia, è un'angoscia extralarge, senza misura.
Il racconto, è il mezzo d'insegnamento,
la narrazione catturando l'attenzione
resta impressa a lungo nella memoria 
Ti viene voglia di alzare la cornetta per staccare il mondo da te, come se quel gesto mi salvasse da una tempesta in arrivo che non ti senti più all'altezza di affrontare e allora scegli di farti piovere addosso, quasi i segni di una resa che comunque così non sarà. La stanchezza abbonda, le dipendenze da farmaci pure, l'estenuazione mi è a fianco con una marea di medicinali dei quali molti non prendo, ma non si sa mai. La psicologia di un malato è sempre molto previdente, quindi ci si porta dietro l'armamentario tutto a presa d'iniezione o deglutazione sublinguale diretta, goccine e pastiglie. Un vibrare pieno d'insidie e tenerezze, spesso fantasmi, altrettante presenze, non li so quasi più distinguere. E' l'ora della morfina. Prima però è meglio che mangi uno snack. Il gastro-protettore l'ho preso? Cazzo non mi ricordo? Vabbè, ne prendo un altro, al limite mi gastro-proteggerò lo stomaco due volte. 
On the road Barcellona, with the notes of Jimmy hendrix 

Troppo     tempo
per      ricordare
Ora posso ricordare tutto, tanto, troppo, ahi! Non ho più limiti. I momenti in cui ero in forze e con la Volvo Berlina andavo per le strade di Romagna facendo balzi da canguro da Bologna a Lido di Classe, da Riccione a Forlì in un attimo, da Ravenna a Faenza e poi rimini, la tana, con a fianco sempre una scatola di Ceres pronta e non ghiaccia o Negroni per tenere su il morale e Leonard Cohen o De André che sbriciolavano note e cori nell'abitacolo delle diverse macchine avute in passato, twingo, volvo, c3...
Mi viene in mente quando con Luca e Andrea partimmo per la Spagna. 20 giorni, passati senza rimorso e tanto "Vinho" verde in corpo al suono della Fender di Jimmy Hendrix in mezo al deserto centrale d'Espana. Quanta figa! Che gnocche! Una notte mi persi a Barcellona con una bella chilinguita che non aveva più di 20anni e, sfiga, non conosceva la città. Ma figurati se quello era un problema. Ci demmo dentro, 'na bota e 'na e capan (tradotto dal dialetto romagnolo: una botta io e una botta il capanno).
Io ero    alticcio,
dopo aver scolato una bottiglia intera di Celado Fustajo di 28 gradi, un vinho scuro come il petrolio, ma dolce come il zibibbo e tosto come il rum. Un colpo ad ogni sorso. La cartina non la capivo tanto, e le facoltà mentali non davano gran supporto. Chi parlava in spagnolo, di solito fra i tre, era Andrea. Io non riuscivo a farmi capire da sobrio, figuriamoci in quelle condizioni, un incubo.
Abbiamo appannato i vetri della macchina in pieno centro città con alitate che sapevano di tempesta ormonale in uno spazio troppo ristretto, un abitacolo di una Horizont Talbot bianca (uno schifo, ma funzionante), con la sana violenza di chi è ancora nel giusto e gli è concessa la mattanza e il perdono. Un'oleata alle pompe idrauliche era proprio quello che ci volevo, anche per riprendermi un pò dal torpore.  Dopo, al ritorno, abbiamo girato per Barcellona, parlandoci senza capire niente di quello che ci dicevamo.
Questa è Barcellona di notte. Io e la Cica ci siamo persi qua,
con una Talbot "Borizont" bianca con l'impianto a gas.
Lei era di Barcellona, ma non conosceva Barcellona

Le Rambla e la Cica
Tanto il  punto finale doveva essere quello e quello era stato. Era un tacito assenso. Quanto è bella Barcellona di notte. Zeppa di prostitute, gente strana, in giacca e cravatta ai chioschi che trovi ad ogni angolo e un uso di biciclette enorme. Di notte a Barcellona si popola di macchine, ma anche di biciclette. Lei, da quel che ho capito, abitava vicino a Barcellona, nell'entroterra, una ragazza campagnola che usciva solo il sabato sera, per mia fortuna quel sabato io c'ero. Per questa ragione non conosceva le rambla, molto giovane, mora come il carbone e una pelle liscia dove c'avresti strusciato di tutto del mio corpo.

Il nome     della Cica
non    lo ricordo,
peccato che la bocca le puzzava d'aglio e io non sopporto quell'odore. Ovviamente, dimenticai subito quelle alitate da camionista, per darci dentro come due ventose in centro a Barcellona a lato dell'enesimo chiosco di cocomero.
Gli dei ci aiutarono. Ritrovammo la discoteca Up-Down, un buco pieno di spagnoli e spagnole, ubriachi fradici che ballavano, sembrava d'essere a Napoli quando sparano i mortaretti. Lasciai la cica, ma la ritrovai verso le 2,30. Uscimmo ancora, ma rimanemmo lì vicino alla discoteca per non perderci ancora. Quando si è giovani si ha una voglia di sesso che ci si spaventa, quasi tutto porta lì. Quanta potenza c'è nel far sesso maiale. E quanta tenerezza nel farlo per scambiarsi attimi leggeri con totale trasporto, anzi, con la volontà precisa di offrirsi. Era una serata di settembre, arrivai di nuovo all'Up-Down con molta tequila in corpo e la mente confusa e alquanto stanco.
"Scrivere      è libertà"
(Paul Auster)
La sera dormimmo in un campeggio per poi il giorno dopo meta Portogallo, città Lisbona! Ancora non mi sentivo in colpa per il fatto che a 30 anni non sapessi cosa fare della mia vita e io non mi ponevo domande serie. Infatti non mi sono mai sposato, purtroppo. Comunque sia e tuttavia, non voglio congratularmi troppo con me stesso, come non desidero rimproverarmi, vorrei un sano equilibrio mentale nel giudicare quei momenti rapportati ad oggi. Che poi non sono tanto distanti, una 30ina d'anni, poco meno, ma a me sembrano un'eternità. Ora posso ricordare tutto questo, ma non lo faccio, mi verrebbe a meno il respiro.

Paola impegnata in un rito propiziatorio mentre invoca gli dei del sole

Deserto spagnolo

La Spagna al suo interno
è meravigliosa per quanto brulla al punto che la Barbagia gallurese della Sardegna è un giardino di Loto giapponese al confronto, solo più distesa e ampia come le strade dell'Arizona dove dormi spesso appoggiando la testa al finestrino e la saliva che inavvertitamente ti cola dalla bocca per la stanchezza e la voglia di un letto. Un pieno stato d'abbandono, come di fronte ad ogni schermo di computer da riempire di parole. Sono convinto che se inizi dicendo "c'era una volta" oppure "nel castello del Re", siamo sempre noi i protagonisti del racconto. Lo sostiene anche Paul Auster, scrittore, saggista, poeta, sceneggiatore e regista americano della necessità di esprimersi: "Scrivere non è più un atto di libera scelta per me, è una personale questione di sopravvivenza. Non ho molta spazio per scegliere".  
Il piccolo deserto spagnolo, è pieno di Tori su colline in rialzo.
Uno ogni 30 km, una dolce compagnia oltre a Hendrix a palla

Isolamenti all'alba
Rispettare la persona umana menomata dalle nebbie commoventi dell’Alzheimer e del morbo di Parkinson, una croce nel letto o alla carrozzella, smarriti negli appannamenti delle condizioni umane, è l'opzione da seguire. Così ho imparato che niente è più terribile che trovarsi, faccia a faccia, con gli oggetti di un morto. Di per sé le cose sono quasi sempre amorfe. Assumono significati solo in funzione della vita di chi ne fa uso.

La morte sottrae all'essere il suo corpo, quasi facendo a se stessa una viltà. In vita, uomo e corpo sono sinonimi. In morte, c’è un uomo e c’è il suo corpo. L’essere umano, per quanto indegno, richiede rispetto nonostante la sua desolazione fisica, psicologica, spirituale e morale.
Anzi, proprio in essa va riaffermata la perdurante dignità umana, affinché siano rispettate le idee tutte. Come fece il Nazareno, in special misura a favore di chi non aveva ne posto ne voce nei conclavi di potere vario, a cominciare dai feudi religiosi dove le scritture manichee macinavano stritolando, a loro piacimento e compiacimento, i derelitti, i lebbrosi, i pastori, le prostitute, gli storpi. Abbiamo tutti una vita interiore. Tutti, contemporaneamente, sentiamo di far parte del mondo, e allo stesso tempo di esserne esiliati. Pensate al trambusto che provocano queste dinamiche nascoste, ma pulsanti sotto pelle da non passare inosservate.
Costa Andalusa
          Per poi consumarsi nello
svolgersi delle nostre esistenze, avendo bisogno delle parole per esprimere ciò che abbiamo dentro, quello che muove il mondo, per impazzire di meno del dovuto e richiesto. La memoria è come una luogo, un cranio, un teschio che racchiude la stanza dove risiede un corpo. “Un uomo seduto da solo nella sua stanza non sapeva cosa fare”, scriveva Calvino in "Solitudini". Comprendo che è impossibile entrare nella solitudine altrui.
Altre solitudini
Ho cercato spesso altre solitudini, anche perché se giri di notte in una città come Rimini e Riccione, anche se non vuoi, s'innesca forzatamente uno scambio di emarginazione notturna o isolamenti all'alba non canonici. Viale Ceccarini, alle 3 di notte in dicembre, è uno spettacolo ancestrale, guai perderselo, anche chi abita a Pavia dovrebbe venire a quell'ora e quel giorno per stare meglio con se stessi. Quasi tutti travestiti sud americani, molti dei quali ho conosciuto, stupendi. Ho bevuto, ho fumato, ho giocato, ho tirato con loro. Quando si sbagliava, sbagliavamo da professionisti. 


 ComedisseilNazareno
Ora è un'altro periodo, seppure possiamo arrivare a conoscere molto parzialmente un altro essere umano, questo vale solo entro i limiti da lui stesso imposti. Dove tutto è refrattario, tutto è arcigno ed evasivo, non si può far altro che osservare e ascoltare. Quanto poi si riesca a dedurre dall’osservazione, è tutt’altro eloquio. Non mi piace che si finga di sprezzar la morte, la legge principale è saper sopportare quanto è inevitabile, per questo la morte è un'usanza che tutti, prima o poi, dobbiamo rispettare.
Ti avverte lentamente come
una pianta che ti cresce dentro e tu la sottovaluti finché puoi, perché ancora carburi. L'importante era non avere fretta, come basta guardare qualcuno in faccia un po più del solito, per avere la sensazione alla fine di guardarti in uno specchio. Nulla è reale tranne il caso. Come tutti tendono alla morte, come la freccia al bersaglio, e mai falliamo la mira. Vorrei che gli uomini e le donne che studiano la vita in tutti i suoi molteplici aspetti, culturali, umani, politici, antropologici, scientifici, economici, avessero una certa nozione di cosa significhi doversi misurare ogni minuto col limite umano che la condizione esistenziale impone con energia, e non solo una misera, quanto frettolosa o spolverata familiarità col dolore, nell'attesa che arrivi anche per chi ancora non ha capito la sofferenza altrui.
Vittorio Arrigoni e il suo dimenticato richiamo all'umanità a "Restare umani"

Restiamo Umani
Nessuno è mai stato me, è corroborante sapere d'essere il primo. "Restiamo Umani", giovane uomo che per il dolore del popolo Palestinese versasti alla morte una goccia di splendore, fino ad arrivare ad un punto che si è morti abbastanza per poter rinascere a Nuova Vita. Tutti, o alcuni, conoscono la tua esperienza, l'essere in un luogo estraneo ma difenderlo e trovare in esso il tuo carnefice. Vittorio, respiriamo l'aria aperta e fredda, per sentirci vivi. Perché il momento dove la nostra esistenza ha scalciato di più è stato quando questa è venuta meno.
Ciao Vittorio!


Dalla Palestina scrivesti: "Continueremo a fare delle nostre vite poesie, fino a quando libertà non verrà declamata sopra le catene spezzate di tutti i popoli oppressi".
 Senza    bandiere
Parole vuote per molti di noi, qua nel mondo dell'abulia. Alla fine, anche se la storia ha pessimi alunni, in qualche modo insegna che non esistono confini, barriere, bandiere. Perché chi arriva a sintetizzare un concetto basico come "Restiamo umani", ha patito troppa sofferenza che non credo riusciamo ad immaginare. Chi arriva a coniare quest'espressione, è un giusto, uno deve vivere con Dio subito. Dopo, esiste solo la fame di chi non ne può più e in questo grido disperato si specchia come un uomo nudo da solo in piedi in una stanza vuota. Sempre Calvino.