Notti notturne

martedì 12 marzo 2013

On the rambla

Indicazioni a cappella
Restiamo
Umani

  adaptation      of the

   jack kerouac

Jack Elliot and Woody Guthrie, 1961
         di Matteo Tassinari 
Non ho mai fatto segreto delle mie condizioni di salute risentite in queste mie 54 primavere vissute per scoprire quanto sia vero che si nasce piromani per poi morire pompieri. La salute non analizza se stessa e neppure si guarda allo specchio per paura di vedersi. Solo i malati capiscono, poi vagamente, cosa sta succedendo, quando un arto diventa improvvisamente assente.
Marcel Proust stilizzato
Quel poeta francese, talvolta inutile come la forfora sul cappotto, Marcel Proust, scriveva: "I tre quarti delle malattie delle persone intelligenti, provengono dalla loro intelligenza". Grazie alle tre caravelle, ma quando lui scrisse questa scemenza, l'Aids non esisteva ancora. Il mio "Opusculum" (opera minore) è nata per ragioni terapeutiche, d'euforia gentile e molto più modeste rispetto alle aspettative, pur dandomi soddisfazioni. 
"Opusculum"
(opera      minore)
Vivendo di parole e sentimenti ad esse legate, se non avessi intravisto in questo il mio futuro, non sarebbero divenute la base del mio essere. Un futuro "offrente" strumenti per capire che la malattia cronica è una vecchia signora che adora essere trattata con riguardo e cura, come una croce da portare fino alla fine dell'ultima ora. Non nascondo il rammarico nel dover gettare la spugna, per dirla pugilisticamente, perché il mio corpo non riesce più da anni a stare al passo con i furiosi tempi redazionali che i giornali pretendono. In ogni cosa è salutare, di tanto in tanto, mettere un punto interrogativo a ciò che a lungo si era dato per scontato. Com'è pure vero che a causa della mia modalità diretta di affrontare le cose, che mi ha permesso d'incontrare persone splendide e capaci e persone con cui non ci siamo capiti affatto (o forse ci siamo capiti troppo bene!) in queste tristi gare di burlesque, dove ogni uomo ha scelto forme varie d'ingessatura per arrivare in salute al gran finale, che mi ritrovo il carattere che mi rimane.

Ra bbuffi
che     in
definitiva
non hanno alcun valore, se considero le persone stesse protagoniste di malumori banali, anche se tranquillo non ti lasciano. Del resto, a chi non piacerebbe andare d'accordo con tutti? A tutti! Ma non è possibile, nessuno c'è mai riuscito. Ci riesce solo chi è in malafede, gli astuti, gli strateghi, i truffatori, i machiavellici, i tagliaborse dal passo felino, è una mia considerazione che vale il tempo che serve per scriverla. Se non avessi messo tanto nero su bianco  le depressioni vissute mi avrebbero massacrato, squinternato, non so come dire, riducendo la mia sensibilità ad un piattume gelido e rinchiuso in qualche bella clinica in collina, come quella di Edgar Lee Master da cui De André trasse "Non al denaro, non all'amore, ne al cielo", dove la notte dopo cena si va presto a dormire.
Edgar Lee Master 

Burlesque all'infinito
I corridoi sono sempre larghi e dal soffitto alto, vuoti quando è sera. A meno che non ci sia una partita di calcio, metti Italia-Germania che è la più affascinante delle competizioni della pelota pedata. In quel caso allora la serata prende quota. Mi sarei accontentato di poco, penso che mi sarebbe bastato un quasi niente, quando gioia e dolore hanno il confine così incerto, le esigenze si riducono sbrigativamente e diventano poche, ma indispensabili. Ma si sa, "le comari di un paesino non brillano certo d'iniziativa, le contro misure fino quel punto, si limitavano all'invettiva", cosa aspettarci da un angusto e sifatto teatrino da Burlesque all'infinito?

Vi lascio la palla 
non m'interessa. Da impazzirci sopra, come quando scorreggi lasciando nell'aria odori che non possono piacere se non a te stessa. Che squallore la vita commerciante che si vuol dare il tocco da petit-la-rouche, ossia, tutta gente che aveva imparato, ma non aveva capito. Sul Battello Ebro di rimbaudiana memoria, si sarebbero trovati male, ne sono certo, in uno stato paranoico ed esiziale essendo in fondo delle figure di Celine o di Hete Ledeger. Grandi personalità, per piccoli contesti inizialmente umani poi disumani. In fondo la natura umana è docile. Non sempre, e quando è no, è un casino da colmare senza dentiera. Niente scusanti, niente scoregge, niente attenuanti!
La  mia       tastiera
è  ancora  là 
La scrittura in  gran parte mi ha salvato, ancorandomi ad essa come un absolute beginners in perenne stato embrionale. Le storie, qualsiasi storia, è sempre una testimonianza, il vissuto dei polsi di qualcuno, il tremare perché i dottori hanno appena detto che è maligno. L'attesa di una telefonata dall'Ospedale per farti narrare i risultati istologici di una biopsia, è un'angoscia extralarge, senza misura.
Il racconto, è il mezzo d'insegnamento,
la narrazione catturando l'attenzione
resta impressa a lungo nella memoria 
Ti viene voglia di alzare la cornetta per staccare il mondo da te, come se quel gesto mi salvasse da una tempesta in arrivo che non ti senti più all'altezza di affrontare e allora scegli di farti piovere addosso, quasi i segni di una resa che comunque così non sarà. La stanchezza abbonda, le dipendenze da farmaci pure, l'estenuazione mi è a fianco con una marea di medicinali dei quali molti non prendo, ma non si sa mai. La psicologia di un malato è sempre molto previdente, quindi ci si porta dietro l'armamentario tutto a presa d'iniezione o deglutazione sublinguale diretta, goccine e pastiglie. Un vibrare pieno d'insidie e tenerezze, spesso fantasmi, altrettante presenze, non li so quasi più distinguere. E' l'ora della morfina. Prima però è meglio che mangi uno snack. Il gastro-protettore l'ho preso? Cazzo non mi ricordo? Vabbè, ne prendo un altro, al limite mi gastro-proteggerò lo stomaco due volte. 
On the road Barcellona, with the notes of Jimmy hendrix 

Troppo     tempo
per      ricordare
Ora posso ricordare tutto, tanto, troppo, ahi! Non ho più limiti. I momenti in cui ero in forze e con la Volvo Berlina andavo per le strade di Romagna facendo balzi da canguro da Bologna a Lido di Classe, da Riccione a Forlì in un attimo, da Ravenna a Faenza e poi rimini, la tana, con a fianco sempre una scatola di Ceres pronta e non ghiaccia o Negroni per tenere su il morale e Leonard Cohen o De André che sbriciolavano note e cori nell'abitacolo delle diverse macchine avute in passato, twingo, volvo, c3...
Mi viene in mente quando con Luca e Andrea partimmo per la Spagna. 20 giorni, passati senza rimorso e tanto "Vinho" verde in corpo al suono della Fender di Jimmy Hendrix in mezo al deserto centrale d'Espana. Quanta figa! Che gnocche! Una notte mi persi a Barcellona con una bella chilinguita che non aveva più di 20anni e, sfiga, non conosceva la città. Ma figurati se quello era un problema. Ci demmo dentro, 'na bota e 'na e capan (tradotto dal dialetto romagnolo: una botta io e una botta il capanno).
Io ero    alticcio,
dopo aver scolato una bottiglia intera di Celado Fustajo di 28 gradi, un vinho scuro come il petrolio, ma dolce come il zibibbo e tosto come il rum. Un colpo ad ogni sorso. La cartina non la capivo tanto, e le facoltà mentali non davano gran supporto. Chi parlava in spagnolo, di solito fra i tre, era Andrea. Io non riuscivo a farmi capire da sobrio, figuriamoci in quelle condizioni, un incubo.
Abbiamo appannato i vetri della macchina in pieno centro città con alitate che sapevano di tempesta ormonale in uno spazio troppo ristretto, un abitacolo di una Horizont Talbot bianca (uno schifo, ma funzionante), con la sana violenza di chi è ancora nel giusto e gli è concessa la mattanza e il perdono. Un'oleata alle pompe idrauliche era proprio quello che ci volevo, anche per riprendermi un pò dal torpore.  Dopo, al ritorno, abbiamo girato per Barcellona, parlandoci senza capire niente di quello che ci dicevamo.
Questa è Barcellona di notte. Io e la Cica ci siamo persi qua,
con una Talbot "Borizont" bianca con l'impianto a gas.
Lei era di Barcellona, ma non conosceva Barcellona

Le Rambla e la Cica
Tanto il  punto finale doveva essere quello e quello era stato. Era un tacito assenso. Quanto è bella Barcellona di notte. Zeppa di prostitute, gente strana, in giacca e cravatta ai chioschi che trovi ad ogni angolo e un uso di biciclette enorme. Di notte a Barcellona si popola di macchine, ma anche di biciclette. Lei, da quel che ho capito, abitava vicino a Barcellona, nell'entroterra, una ragazza campagnola che usciva solo il sabato sera, per mia fortuna quel sabato io c'ero. Per questa ragione non conosceva le rambla, molto giovane, mora come il carbone e una pelle liscia dove c'avresti strusciato di tutto del mio corpo.

Il nome     della Cica
non    lo ricordo,
peccato che la bocca le puzzava d'aglio e io non sopporto quell'odore. Ovviamente, dimenticai subito quelle alitate da camionista, per darci dentro come due ventose in centro a Barcellona a lato dell'enesimo chiosco di cocomero.
Gli dei ci aiutarono. Ritrovammo la discoteca Up-Down, un buco pieno di spagnoli e spagnole, ubriachi fradici che ballavano, sembrava d'essere a Napoli quando sparano i mortaretti. Lasciai la cica, ma la ritrovai verso le 2,30. Uscimmo ancora, ma rimanemmo lì vicino alla discoteca per non perderci ancora. Quando si è giovani si ha una voglia di sesso che ci si spaventa, quasi tutto porta lì. Quanta potenza c'è nel far sesso maiale. E quanta tenerezza nel farlo per scambiarsi attimi leggeri con totale trasporto, anzi, con la volontà precisa di offrirsi. Era una serata di settembre, arrivai di nuovo all'Up-Down con molta tequila in corpo e la mente confusa e alquanto stanco.
"Scrivere      è libertà"
(Paul Auster)
La sera dormimmo in un campeggio per poi il giorno dopo meta Portogallo, città Lisbona! Ancora non mi sentivo in colpa per il fatto che a 30 anni non sapessi cosa fare della mia vita e io non mi ponevo domande serie. Infatti non mi sono mai sposato, purtroppo. Comunque sia e tuttavia, non voglio congratularmi troppo con me stesso, come non desidero rimproverarmi, vorrei un sano equilibrio mentale nel giudicare quei momenti rapportati ad oggi. Che poi non sono tanto distanti, una 30ina d'anni, poco meno, ma a me sembrano un'eternità. Ora posso ricordare tutto questo, ma non lo faccio, mi verrebbe a meno il respiro.

Paola impegnata in un rito propiziatorio mentre invoca gli dei del sole

Deserto spagnolo

La Spagna al suo interno
è meravigliosa per quanto brulla al punto che la Barbagia gallurese della Sardegna è un giardino di Loto giapponese al confronto, solo più distesa e ampia come le strade dell'Arizona dove dormi spesso appoggiando la testa al finestrino e la saliva che inavvertitamente ti cola dalla bocca per la stanchezza e la voglia di un letto. Un pieno stato d'abbandono, come di fronte ad ogni schermo di computer da riempire di parole. Sono convinto che se inizi dicendo "c'era una volta" oppure "nel castello del Re", siamo sempre noi i protagonisti del racconto. Lo sostiene anche Paul Auster, scrittore, saggista, poeta, sceneggiatore e regista americano della necessità di esprimersi: "Scrivere non è più un atto di libera scelta per me, è una personale questione di sopravvivenza. Non ho molta spazio per scegliere".  
Il piccolo deserto spagnolo, è pieno di Tori su colline in rialzo.
Uno ogni 30 km, una dolce compagnia oltre a Hendrix a palla

Isolamenti all'alba
Rispettare la persona umana menomata dalle nebbie commoventi dell’Alzheimer e del morbo di Parkinson, una croce nel letto o alla carrozzella, smarriti negli appannamenti delle condizioni umane, è l'opzione da seguire. Così ho imparato che niente è più terribile che trovarsi, faccia a faccia, con gli oggetti di un morto. Di per sé le cose sono quasi sempre amorfe. Assumono significati solo in funzione della vita di chi ne fa uso.

La morte sottrae all'essere il suo corpo, quasi facendo a se stessa una viltà. In vita, uomo e corpo sono sinonimi. In morte, c’è un uomo e c’è il suo corpo. L’essere umano, per quanto indegno, richiede rispetto nonostante la sua desolazione fisica, psicologica, spirituale e morale.
Anzi, proprio in essa va riaffermata la perdurante dignità umana, affinché siano rispettate le idee tutte. Come fece il Nazareno, in special misura a favore di chi non aveva ne posto ne voce nei conclavi di potere vario, a cominciare dai feudi religiosi dove le scritture manichee macinavano stritolando, a loro piacimento e compiacimento, i derelitti, i lebbrosi, i pastori, le prostitute, gli storpi. Abbiamo tutti una vita interiore. Tutti, contemporaneamente, sentiamo di far parte del mondo, e allo stesso tempo di esserne esiliati. Pensate al trambusto che provocano queste dinamiche nascoste, ma pulsanti sotto pelle da non passare inosservate.
Costa Andalusa
          Per poi consumarsi nello
svolgersi delle nostre esistenze, avendo bisogno delle parole per esprimere ciò che abbiamo dentro, quello che muove il mondo, per impazzire di meno del dovuto e richiesto. La memoria è come una luogo, un cranio, un teschio che racchiude la stanza dove risiede un corpo. “Un uomo seduto da solo nella sua stanza non sapeva cosa fare”, scriveva Calvino in "Solitudini". Comprendo che è impossibile entrare nella solitudine altrui.
Altre solitudini
Ho cercato spesso altre solitudini, anche perché se giri di notte in una città come Rimini e Riccione, anche se non vuoi, s'innesca forzatamente uno scambio di emarginazione notturna o isolamenti all'alba non canonici. Viale Ceccarini, alle 3 di notte in dicembre, è uno spettacolo ancestrale, guai perderselo, anche chi abita a Pavia dovrebbe venire a quell'ora e quel giorno per stare meglio con se stessi. Quasi tutti travestiti sud americani, molti dei quali ho conosciuto, stupendi. Ho bevuto, ho fumato, ho giocato, ho tirato con loro. Quando si sbagliava, sbagliavamo da professionisti. 


 ComedisseilNazareno
Ora è un'altro periodo, seppure possiamo arrivare a conoscere molto parzialmente un altro essere umano, questo vale solo entro i limiti da lui stesso imposti. Dove tutto è refrattario, tutto è arcigno ed evasivo, non si può far altro che osservare e ascoltare. Quanto poi si riesca a dedurre dall’osservazione, è tutt’altro eloquio. Non mi piace che si finga di sprezzar la morte, la legge principale è saper sopportare quanto è inevitabile, per questo la morte è un'usanza che tutti, prima o poi, dobbiamo rispettare.
Ti avverte lentamente come
una pianta che ti cresce dentro e tu la sottovaluti finché puoi, perché ancora carburi. L'importante era non avere fretta, come basta guardare qualcuno in faccia un po più del solito, per avere la sensazione alla fine di guardarti in uno specchio. Nulla è reale tranne il caso. Come tutti tendono alla morte, come la freccia al bersaglio, e mai falliamo la mira. Vorrei che gli uomini e le donne che studiano la vita in tutti i suoi molteplici aspetti, culturali, umani, politici, antropologici, scientifici, economici, avessero una certa nozione di cosa significhi doversi misurare ogni minuto col limite umano che la condizione esistenziale impone con energia, e non solo una misera, quanto frettolosa o spolverata familiarità col dolore, nell'attesa che arrivi anche per chi ancora non ha capito la sofferenza altrui.
Vittorio Arrigoni e il suo dimenticato richiamo all'umanità a "Restare umani"

Restiamo Umani
Nessuno è mai stato me, è corroborante sapere d'essere il primo. "Restiamo Umani", giovane uomo che per il dolore del popolo Palestinese versasti alla morte una goccia di splendore, fino ad arrivare ad un punto che si è morti abbastanza per poter rinascere a Nuova Vita. Tutti, o alcuni, conoscono la tua esperienza, l'essere in un luogo estraneo ma difenderlo e trovare in esso il tuo carnefice. Vittorio, respiriamo l'aria aperta e fredda, per sentirci vivi. Perché il momento dove la nostra esistenza ha scalciato di più è stato quando questa è venuta meno.
Ciao Vittorio!


Dalla Palestina scrivesti: "Continueremo a fare delle nostre vite poesie, fino a quando libertà non verrà declamata sopra le catene spezzate di tutti i popoli oppressi".
 Senza    bandiere
Parole vuote per molti di noi, qua nel mondo dell'abulia. Alla fine, anche se la storia ha pessimi alunni, in qualche modo insegna che non esistono confini, barriere, bandiere. Perché chi arriva a sintetizzare un concetto basico come "Restiamo umani", ha patito troppa sofferenza che non credo riusciamo ad immaginare. Chi arriva a coniare quest'espressione, è un giusto, uno deve vivere con Dio subito. Dopo, esiste solo la fame di chi non ne può più e in questo grido disperato si specchia come un uomo nudo da solo in piedi in una stanza vuota. Sempre Calvino.