Notti notturne

sabato 28 aprile 2012

Parlami di Sic il Beat

    Il      beatnik
      di      Coriano
di Matteo Tassinari

Dal Beatnik di Coriano, mi distanziavano appena 14 chilometri. Vivevo a Rimini, lui a Coriano, nato a Cattolica. In Malesia, a Sepang, con 24 primavere addosso, Sic sgasò per l'ultima volta, o forse lo tolse del tutto il gas, proprio davanti all'amico Valentino, nato a Tavullia, ad un tiro di schioppo da Coriano. Rimase attaccato alla moto che aveva preso tutt'altra direzione rispetto a quella che Sic avrebbe voluto dargli. Poi, immancabile, è arrivata l'ondata emotiva ed eccitata del solito cicaleccio sportivo, sempre pronto a piangere a comando, ma solo in caso di morte. Sono nato nella terra del triangolo magico per i ragazzini che lungo la litorale adriatica si affrontano anche tutto il giorno per divertimento o per gare vere e proprie. Romagna, terra di sognatori, dice Lucio Dalla in "Ayrton", la canzone stupenda dedicata al pilota di Formula 1 Senna, sulla quale regnano ancora dei dubbi sulle sue dinamiche.


Libertà e passione

"Tutte cazzate" avrebbe detto Sic alzando le spalle e sorridendo come solo noi romagnoli sappiamo sorridere delle cazzate. Qui, in Romagna, dove i motori sono vita, libertà e passione, si corre sin da piccoli sui Go-Kart o sui mini due ruote e non sarà certo il linguaggio di un giornale (?) a cambiare la sostanza, con le sue trovate Cool, anche se vorrei scriverlo in romagnolo, mi divertirebbe, ma diventerei volgare. E noi romagnoli siamo nobili, signori raffinati e dai modi di fare snob se non aristocratici, tutto meno che volgari. Puttana vacca troia, come devono finire certe cose, proprio  il tuo amico del cuore Valentino ti ha travolto, che ai box non riusciva a capacitarsi all'accaduto e non riusciva a capire dove buttare gli occhi, lo sguardo, il volto. Era perso e domandava ai meccanici come è avvenuto tutto ciò. Ma anche loro avevano poche risposte. Cut vegna un culpazz!  
Sepang, 18 ottobre. Oggi pomeriggio tutto il Paddock della MotoGp è andato in “pellegrinaggio” (così lo ha definito Valentino Rossi) alla curva 11, dove è stata deposta una targa per onorare la memoria di Sic
        Sentirsi      campione
                del     mondo
Andate sulla statale dalle parti di Cervia, Milano Marittima, lido Di Savio e notate quanti bambini al seguito dei propri genitori, spesso piloti pure loro, si danno la "paga" su motori a noleggio in circuiti organizzatissimi per ogni fatalità. Infatti sono molti gli incidenti che avvengono in questi circuiti nascosti solitamente dagli alberi che questa regione ha saputo conservare, ma che io sappia sulle piste romagnole dei baby-motor, nessuno è mai morto. Ma il circuito, non quello dove corrono le moto, ma quello che fa girare il busyness, a Sepang per intenderci, tutta questa armonia antropologica e endemica, viene brutalmente sostituita con ingenti interessi e testimonial d'eccellenza per somme da capogiro. Ma Sic non poteva e non voleva rimanere stretto alla sua terra che rimaneva comunque la sua base. Voleva raggiungere il gradino più alto. E c'arrivò, gustando la paura della solitudine di chi si sente chiamare campione a 20 anni o poco più. Chissà che effetto fa leggere sui giornali del globo che sei un campione del mondo. E' uno strano e feroce tragitto quello da compiere con quelle belve pronte a bere del C7H6O2 acido benzoico.

"Putenza, sla tira"
Sulla Litorale Adriatica, da Ravenna a Pesaro (una striscia d'asfalto lunga 70 km) sono sparsi decine di centri e scuole di motociclismo, "Mini Go-Go" o "Fox go karts than for ever before", oltre a tanti trans sud-americani e italiani, dove si svolgono i Campionati locali, regionali e nazionali. Dove ad ogni ora del giorno fino a notte fonda, vedi adolescenti sfidarsi per il gusto dell'affermazione personale (non si corre mica per perdere, Dio santo!) e del confrontarsi fra amici d'infanzia. Marco inizia a 6 anni inizia a correre e a vincere sulle mini-moto di Cattolica e ha già deciso: "Da grande voglio fare il pilota. Da bimbo avevo questo sogno qua, sognavo di correre e vincere quelle gare di Motomondiale che guardavo la domenica in televisione con mio babbo". Capisce che quelle due manopole sagomate, sono le sue protesi meccaniche che lo lanciano in aria a viaggiare ai 100 km su una gomma, "Dio bo' se viaggiamo!" ripeteva. Capisce che la scaltrezza e l'istinto sono anche poesia in velocità e che la fortuna farà il resto. Non sempre, poi capisci, inutile aggiungere altro, perché se il sogno non era più tale, s'era materializzato tutto quello che desiderava. Troppo prepotente, assolutistico, incontenibile, tanta era l'imponenza di 18 anni vissuti per la 500. Disse Valentino: "Il Sic per me era come un fratello minore, tanto duro in pista quanto dolce nella vita".
La vita di Sic    
"Da bambino avevo questo sogno qua"
Ma non è solo questione di troppa generosità o sfiga o di chi piscia più lontano. Svettare su quella che poi diventerà la sua 500 Honda, era l'obiettivo di Sic. E ce l'ha fatta. "Risparmiavamo i soldi del gelato per poter fare un paio di giri in più in pista" ricorda ancora nelle interviste quando divenne personaggio. Solitamente la generosità è vincente. E Sic, senza timore di retorica, lo era tutt'e due, generoso e vincente. Sapevo, facendo il giornalista di questa carriera da grande di questo "bambino" che stava scalando le cime più alte dei Fast & Furios a 2 ruote che non cedono neanche alle leggi di gravità per continuare come tigri ad andare procedere anche quando è naturale cadere, a rischio di lasciarci l'esistenza.
                                         
      La CARTOLA
La "Cartola", personalità in slang romagnolo, di Marco, quello col capello selvaggio e nemico del pettine (come non capirlo, sono decenni che non mi pettino) dieci collane tra cui quella col segno della Pace. Style da vero Beatnik del famoso distretto di Haight-Ashbury di San Francisco, per prendere le strade impervie dei circuiti. Sic non confondeva mai l’impossibile con l’insolito, la sua visuale era molto più ampia e alternativa. Per lui la fine non esiste. Ma perché, pensate che la poesia sia così diversa da Sic? Che l'arte e la follia delle due ruote a velocità aberrante, non sia collegata ad innesti di incantesimo e leggerezza? Marco era così, folle, ingenuo, leggero e dirompente d'umanità. Certo è che a nessuno sfuggiva quell'impenitente che come suo padre, ricalca alla perfezione i tratti classici di quelli che abitano tra il mare e la pianura, appunto il perimetro magico di cui sopra.
 l'è propri andè
Mah! Trema d'emozione la chiesetta di Coriano quando il vescovo Francesco Lambiasi, conclude l'addio da questa terra, da questa terra di sognatori: "La mattina prima della gara hai detto che desideravi vincere il Gran Premio Marco per salire sul gradino più alto del podio dove tutti potessero vederti. Ora ci addolora non vederti Marco, inutile far finta di nulla, ma ci riempie di pace sapere che ci guardi dal podio più alto che ci sia". E qualcuno dalla folla borbottò: "Diobbò, l'ha propri razon e vescuv sta volta: l'è propri partì e mei ad nui etar" che tradotto dal dialetto romagnolo significa: "Questa volta il vescovo ha proprio ragione, è partito il migliore di noi altri". Il silenzio s'abbatté su 25mila persone.
Tributo a Marco, angelo che vola in Paradiso


A presto Sic!


Le lacrime scendono. Il magone sembra non voler lasciare la gola dei volontari, degli amici, dei piloti, della gente accorsa per un saluto. Il mondo delle moto, giacche di pelle, occhiali scuri anche se piove e sguardi repentini, d'intesa, composti, calorosi, sinceri nel salutare quel ragazzo col cerotto sul naso.  Una moltitudine torma di un branco rimasto senza fiato quel 23 ottobre, nel vedere attonito tuo babbo che con un 50ino preso al volo ti voleva raggiungere, forse per darti un bacio da vivo, oppure per incrociare lo sguardo di suo figlio o per trovarlo morto. Lui cercò di fare qualcosa, non poteva stare fermo, sentiva l'assenza assoluta avvicinarsi troppo ferocemente, una tigre che graffiava troppo a fondo. Non so come si chiami quell'uomo baffuto anche lui amante dei motori, e non importa. Se dovesse leggere mai queste parole, e non farò nulla affinché lui le legga, sappia che da sempre Marco ha "quadrato il cerchio", e fuck Sepang!

Un Angelo bellissimo 
Due ragazzi del borgo 

Si due ragazzi del borgo, cresciuti troppo in fretta, cantava Francesco De Gregori, ricordando la storia di Sante e Girardengo. Chissà cosa scriverebbe oggi per una storia ancor più tragica. Due ragazzi,  radici in comune, un solo amore: la bagarre. Un tempo li ricamavano "piloti pane e salame", con quei pazzi che arrivano in pista con una moto assurda con dentro 270 cavalli, su un carrello. Sarò banale e ingiusto e retorico, ma nella testa continua a passare un "perché"? 

sabato 21 aprile 2012

Magnolia

9 vite per 9 storie
alle prese con il passato     che non passa 

Apocalittici
e         Vincenti
        di Matteo Tassinari
Per quanto   un film si sforzi ad essere il più possibile credibile, Paul Thomas Anderson ha dimostrato, col suo "Magnolia", come la realtà venga superata dalla finzione proprio là, nel suo stesso territorio: la realtà. Magnolia, è uno di quei capolavori che prima di morire bisogna aver visto, altrimenti si muore più poveri. L'equazione è di una chiarezza disarmante su cui poggia l'intelaiatura del movie. "Noi possiamo chiudere col passato, ma il passato non chiuderà mai con noi". Così recita l'estrema sintesi, il punto dove batte il plesso solare manipura, il punto che accomuna i nove personaggi inventati da chi viene considerato il nuovo Robert Altman, fatto che lusinga il giovane Anderson, ma nel suo stile registico, non c'è spazio per altri autori, anche se "pluridecorati" come Altman.
Il  passato    non
passerà
Miscellanea di Magnolia
 L'ideatore    di
questo dedalo di vite che s'intersecano l'una con l'altra, vuole essere riconosciuto come un nuovo regista che col suo cinema si affaccia sulla scena mondiale della settima arte. "Noi possiamo chiudere col passato, ma il passato non chiuderà mai con noi". Una frase che imbastisce la miserabile epopea di uno spaccato della profonda America, con tutta le sue inquietudini, angosce, tristezze, bassezze, solidarietà, ipocrisie, tristezze e umanità.
La clip, appena sotto queste righe, è molto calzante all'atmosfera che gravita intorno a Magnolia. Come un fil rouge la frase assume un aspetto sinistro e apocalittico, a dimostrazione che la finzione non fa altro che ripetere la realtà com'è vero il suo contrario, senza capire chi delle due è primaria sull'altra. Ormai dovremmo essere persuasi e vaccinati da questa complicità tra finzione e realtà a cui, gioco-forza, sottostanno senza scelta tutte le pedine del movie, stanando il senso di colpa, il rimorso, l'inadeguatezza alla vita che avanza nelle rinunce legate alla vecchiaia, alla malattia, ad esperienze traumatiche che fendono l'anima. O fatti apparentemente banali e che possono capitare a chiunque, dovunque e straziare attraverso la legge del caos.


9 vicende1 destino
Spiegare "Magnolia", è come mettere Geronimo alla guida di una locomotiva a vapore. Si prova un certo senso d'incertezza, di perplessità, indugi per la vastità dei temi profondi raccolti nella pellicola. E' come parlare di un insieme di contributi artistici che fanno di "Magnolia" qualcosa di unico e di troppo vasto, difficile da rendere in tutta la sua rappresentazione esplosiva e contagiosa, illusoria eppure realisticamente integra.
Un passato che non passa
Nove storie  per nove vite alle prese tutte con il loro passato e il futuro in manette. Nove trame che sembrano scollegate fra loro, ma che scavando nel passato o aspettando il futuro, prima o poi diverranno un'insieme, un puzzle di peripezie e traversie. Tutto ruota attorno ad una malato di cancro, Jason Robards, imprenditore televisivo e ideatore di un famoso programma: "What do kids know", un giovane maschilista conduttore del programma "seduci e distruggi", la 2° moglie di Earl, Philip Seymor Hoffman l'infermiere, Stanley Spector il bambino prodigio, la cocainomane Melora Waters, Jhon C. Reilly, un onesto poliziotto dedito al suo mestiere.
Il Cast stellare di Magnolia in versione fumetto
Il sopravvento
del      passato
William H. Macy gay con problemi ai denti. Paul Thomas Anderson, spinge a tavoletta il termometro emozionale di ogni linea narrativa per ogni personaggio, ma dimostra di saper governare benissimo il suo cast, tanto da riuscire ad avvicinare ogni burattino come se fosse di carne ed ossa, contrastando il cinismo del Caso con l'arma della compassione. Solo alcune di queste storie sembrano collegate, ma la casualità della vita e il suo passato, prenderanno il sopravvento in tutte le forme. Col proseguire del film, le trame iniziano a intrecciarsi come un Pitone reticolato, lentissimamente, mangia e digerisce in contemporanea un vitello. Il video spiega con grande mano d'ascia, l'evoluzione del film, come dedica sensibile attenzione allo svolgimento dei drammi singoli in un complesso composto da nove vite, nove destini. 
Da vedere. Tutti i protagonisti di Magnolia,
con Aimee Mann che canta fuori campo
          
"Noi possiamo chiudere con il passato,
ma è lui che non chiuderà mai con noi"



American        Magnolia
La monumentale pellicola di Anderson, è la vita casuale secondo il giovane regista, proprio come "American Beauty" è la vita secondo Sam Mendes. Tutto è collegato perché tutto capita per caso, sembrano dirci questi due capolavori per gli amanti dell'immagine, come quando l'anchorman David Frost, per la regia di Ron Howard, inchiodò Nixon davanti al popolo americano costringendolo a scusarsi per le omissioni e gli abusi di potere da lui commessi. Una catarsi.
La crisi valoriale
nella società americana con pluri-argomentazioni. "Magnolia" insiste su pochi temi personali (il passato, la casualità della vita, la compassione, la fedeltà, l'accettazione di se stessi) proponendoli con grande forza d'impeto. Un'altra importante differenza è rappresentata dalla colonna sonora del film di Anderson, suonata all'80% dalla voce calda di Aimèe Mann, alla chitarra su marito. Per gli amanti del genere, una Joni Mitchell del 3 millennio con varianti simili e tonalità delicate come un quadro caduto in disuso. 
Melora Waters, cocainomane violentata dal padre


Piovono rane dal       cielo 
Non sembra    esservi via di fuga dalla tristezza che qui è conseguenza diretta del ricordo, quando arriva una tanto improvvisa quanto risolutiva pioggia di rane, fatto "realmente accaduto in California nel 1995" preciso il regista all'epoca 30enne in un'intervista a "Review". Il malato di cancro muore accanto a suo figlio Mackey (Tom Crusie) omofobico, paranoico e creatore di "Seduci e distruggi" il potere femminile sugli uomini, piange la morte del padre tanto odiato.
Julianne Moore
Julianne     Moore, dopo aver   tentato
il suicidio a base di Morfina per il tumore che sta ammazzando il marito. Arriva in ospedale col 118. Il presentatore, colpito da un nugolo di rane piovute dal cielo, fallendo il suo tentativo di suicidarsi deviandogli il colpo in canna poco prima puntato alla tempia, tutto ben congegnato. La figlia Claudia, cocainomane, appare per la prima volta sorridente accanto al poliziotto (Jhon C. Reilly) che ritrova finalmente la "sua" pistola (per un poliziotto, perdere il proprio "ferro" è considerato quasi una disattenzione che solo i principianti possono permettersi, secondo le regole comportamentali non scritte ma ferree di chi è forza dell'ordine pubblico). Pare che ci sia una ripresa dei destini più persi della san Fernando Valley.
Coincidenze insostenibili
Donnie trova conforto e il coraggio di ammettere la propria omosessualità sempre repressa per la vergogna. Due soli sono i momenti riservati alla voce del narratore, la "voce fuori campo" (inizio e fine) ed in entrambi i casi non parla di passato, bensì di coincidenze, come a dimostrazione di un non voler sapere per non dover reggere il peso talvolta insostenibile della verità.
Se Anderson all'inizio parla di coincidenze, andando avanti con gli esempi non può fare altro che ammettere e scoprire l'impossibilità di un tale numero di eventi collegati, che sarebbe terrificante viverne consapevolmente la sequenza. Per questo l'umanità è limitata, come se il limite diventa un auto-difesa personale. Questa è la conclusione del film diretto dall'enfant prodige che dopo "Magnolia", non s'è più superato. Ma non è certo un dovere pubblico, superarsi.
Il trailer ufficiale del film con tutti i 9 personaggi
Limite    umano
come  auto-difesa
Anderson   dimostra un talento incredibile nel mescolare i racconti, nel far vorticare le vite dei personaggi all’unisono con la macchina da presa. "Magnolia" finisce con una affatto accaduto a Los Angeles nei primi anni '90. Milioni di rane di notevoli dimensioni che poi, ad un attento esame di laboratorio s'è scoperto ch'erano rane provenienti dall'India che per mezz'ora sono piovute dal Cielo a ritmo forsennato. Le rane potrebbero non voler dire niente di trascendentale, ma è con la loro illogica e immotivata presenza, che dicono tutto. 
Uno splendido William H. Macy
Letture Parallele
Rane che hanno il sapore irriconoscibile di un intervento dall’alto. Una tregua. Una svista. Un'anomalia. Una malattia. Un'anestesia che mette a tacere tutti i dolori che non svelo per chi lo volesse vedere. Un intreccio di storie molto umane, che rasentano tutte la disperazione senza esserne completamente vittime. Il film in questo senso non è aperto a Dio, ma gli è spalancato da tutti i pertugi dell'anima.
Le rane non hanno alcun senso, ma ci sono. Le rane, ricordano le folate di cavallette sotto forma di cataclisma inelegante e impoetico, lontano dall’incedere incalzante angelico di una figura luminosa, schiacciano sotto al loro peso scrosciante qualsiasi pensiero, qualsiasi problema, tutti i drammi trovando la compassione di qualcuno in una società dove ognuno si pulisce l'ombelico. Le folate di animali di questo genere, hanno sempre avuto anche segnali e significati biblici ricordati nella Sacre Scritture. Confermano il sospetto di un non senso terreno, alludendo in questo modo ad un significato più ampio, più alto certamente, sfuggente all'umano, che distrae e dimentica tutti i fiumi di parole dette senza ritegno e rispetto. Fa rinsavire, scrolla via ogni ossessione e pressione. Tutto questo consentirebbe mille altre letture parallele.
Piovono rane dal cielo, qualcuno si salverà

"Aronne stese la mano sulle acque d’Egitto
e le rane uscirono e coprirono il paese d’Egitto". (Esodo 8;2)

Respiri lunghi

per sopravvivere
Le rane sono anche simbolo di una metafora di mille cose diverse. L’oscurità del futuro, la fatalità del mondo, la nostra vanità, una nemesi intima accresce il suo stupore. Qualcosa di non appartenente a questo mondo. C'è chi ha visto nell'episodio della pioggia di rane il fatto che potrebbero voler dire quello che ognuno di noi crede, se non fosse che dopo l’inconcepibile accade ancora ripetutamente l’impensabile. Vi è in questo, a mio parere, una precisa e anche ironica ricostruzione della logica del rapporto uomo-Dio: le rane sono “piaga” formale, sono cataclisma come le cavallette, ma nel film salvano. La pistola cade precisa come il più imprevedibile dei miracoli quando ormai è tardi, quando non serve più, in un impeto di provvidenza disarmata. "Perché noi possiamo chiudere con il passato, ma è lui che non chiuderà mai con noi". Assecondiamoci, quindi. E respiriamo fiati ampi e lunghi. Perché Magnolia è una monumentale quanto desolata e triste foto impietosa di un'America al nettare di cianuro.
Paul Thomas Anderson, regista di Magnolia, Nomination Migliore Sceneggiatura Originale e altri 2 Oscar, uno per la musica ad Aimèe Man e l'altro a Tom Cruise come migliore attore non protagonista. Ma quanto meritava di più questa pellicola, ma si sa, ad Hollywood è tutto come da copione.

venerdì 13 aprile 2012

La buona novella di De André

"Ave alle donne, come te, Maria"

di Matteo Tassinari
"La Buona Novella" è ritenuto da De André stesso il suo lavoro più riuscito, quello più rotondo e profondo. "Quando scrissi 'La buona novella', era il 1969. Si era in piena rivolta studentesca e le persone meno attente, che poi sono sempre la maggioranza di noi, compagni, amici, coetanei, militanti filosofanti, improbabili movimenti artistici, consideravamo quel disco come anacronistico". A quanto pare le cose non sono per niente cambiate da allora. Mi dicevano: "Ma cosa stai a raccontare la storia della predicazione di Cristo mentre noi ci sbattiamo per una realtà migliore?! Noi scendiamo in piazza, facciamo anche a botte se è necessario, transenniamo, picchettiamo., difendiamo i nostri diritti dall'autoritarismo del potere, dagli abusi degli apparati, dai soprusi delle autorità precostituite, e tu ci vieni a parlare della Madonna?".
"Ave Maria" di Fabrizio De Andrè

"Non avevano capito"

De André concluse quella pagina con le seguenti parole
"Non avevano capito, almeno la parte meno attenta di loro, che 'La Buona Novella' è un'allegoria dove si paragonavo le istanze migliori e più ragionevoli del Movimento Sessantottino, a cui io stesso ho partecipato, con quelle, molto più vaste spiritualmente, di un uomo di 1968 anni prima, che proprio per contrastare gli abusi del potere, i soprusi dell'autorità si era fatto inchiodare su una croce, in nome di una fratellanza e di un egualitarismo universali".

La presentazione de "La Buona Novella" di Fabrizio De André
e le critiche subite dal Movimento 68ino

In direzione ostinata e contraria

Quando gli fu chiesto per quale motivo, negli anni della contestazione giovanile, un cantautore rivoluzionario come lui avesse scritto un concept-album dedicato a Gesù Cristo, rispose: "Perché Gesù Cristo è il più grande rivoluzionario della storia". Pertanto urge la scelta di puntare e approfondire i Vangeli apocrifi come traccia da seguire per elaborare la trama del concept-album. Un modo questo per scoprire la vocazione umana, terrena, a volte sofferente, dolorante e quindi provocatoria e rivoluzionaria della figura di Gesù di Nazareth. La narrazione inizia raccontando L'infanzia di Maria. La giovane Maria - secondo Faber - vive un'infanzia terribile, segregata nel tempio ("dicono fosse un angelo a raccontarti le ore, a misurarti il tempo fra cibo e Signore"). L'impurità delle prime mestruazioni ("ma per i sacerdoti fu colpa il tuo maggio, la tua verginità che si tingeva di rosso") provocò il suo allontanamento e la scelta forzata di uno sposo. Il matrimonio avviene con un uomo buono ma vecchio, il falegname Giuseppe ("la diedero in sposa a dita troppo secche per chiudersi su una rosa") che la sposa per dovere e rispetto alle regole del tempo e ai Sommi Sacerdoti del Tempio e lasciarla da sola per 4 anni per lavoro.
Giuseppe, 70enne, torna,
trovando Maria incinta di un Angelo
"Il sogno di Maria", Fabrizio De André
al violino il figlio Cristiano poli-strumentista

*Due parole, un ambiente*

"Nel grembo umido, scuro del tempio, l'ombra era fredda, gonfia d'incenso.
L'angelo scese come ogni sera, ad insegnarmi una nuova preghiera.
Poi d'improvviso mi sciolse le mani e le mie braccia divennero ali,
quando mi chiese, conosci l'estate io, per un giorno, per un momento,
corsi a vedere il colore del vento"
"Tre croci per chi insegnò a diseratare
Al "Ritorno di Giuseppe" si coglie la fatica della vita dell'uomo davanti ad una possibile "fuga", quasi impossibile a credere. Nel suo ritorno a casa Giuseppe porta una bambola di pezza in regalo a Maria e la trova implorante ad un segreto che le lievita il ventre. "Il sogno di Maria" riporta la scena nel tempio. In un sogno l'angelo, che usava farle visita, la porta in volo lontano "là dove il giorno si perde da solo". Lì, le dà la notizia della futura nascita di un bimbo. 
Un Vangelo apocrifo ritrovato a Qumran sulla riva occidentale del Mar Morto, l'attuale Cisgiordania e vicino alle rovine di Gerico
La     Maternità
inaspettata
Alcuni testi apocrifi alludevano ad un concepimento più terreno di quello raccontato dai vangeli canonici. Al risveglio Maria capisce di essere incinta ("parole confuse nella mia mente, svanite in un sogno ma impresse nel ventre") e si scioglie in pianto. La maternità inaspettata ("ave alle donne come te Maria, femmine un giorno, poi madri per sempre"), si esprime in "Ave Maria", un omaggio alla donna nel momento del concepimento come fonte primaria della vita. Dalla letizia che traspare in "Ave Maria" il passaggio a "Maria nella bottega d'un falegname" è drastico. Il ritmo dato dalla pialla e dal martello scandiscono il dolore straziante del falegname che costruisce la croce ("Tre croci", due per chi disertò per rubare, la più grande per chi guerra insegnò a disertare") con la quale il figlio di Maria ed i due ladroni verranno crocifissi. Infine sotto la croce stessa: "non fossi stato figlio di Dio t'avrei ancora per figlio mio". Questo aspetto è completamente trascurato dai Vangeli canonici. Via della croce è una delle canzoni in cui De André lascia trasparire i suoi pensieri e i suoi sentimenti anarchici: "il potere vestito d'umana sembianza ormai ti considera morto abbastanza". Ne "Il testamento di Tito" vengono elencati i dieci comandamenti, analizzati dall'inedito punto di vista di Tito, il ladrone pentito crocifisso accanto a Gesù, i nomi dei ladroni variano da vangelo a vangelo (Dimaco Gesta e Tito Disma).

Il testamento di Tito


I cretini, di cui Benedetto Croce


Fabrizio De André, 1998, ultimo concerto per sempre. Sul palco suona insieme al figlio Cristiano e Luvi (Ludovica Vittoria), una delle tre coriste, esisterà mai per un cantante una soddisfazione più grande di questa? Dall’album "La Buona Novella", canta l'innamoramento promesso per sempre, quello di  "Tre madri". Oggi va anche di moda dire che De André era un poeta, quando si conosce Marinella, Bocca di Rosa e al capolavoro  che è "La guerra di Piero", purtroppo anche ai capolavori si fa l'abitudine. Del resto, lui stesso, ha sempre rifiutato l'appellativo di poeta per quanto lusinghiera e sentita, foss'anche la cara amica Ferdinanda Pivano a dirglielo, ma a Faber metteva paura. Lo poneva in uno stato di timore d'essere giudicato e per questo rifiutava coscientemente ciò che significa essere un poeta. Disse: "Il mio lavoro ha bisogno di note e parole. Fra le due preferisco le parole."


Scrivere poesia è un bisogno, non un modo di presentarsi. Su questo aspetto, Faber, disse in varie occasioni che il filosofo Benedetto Croce stigmatizzava e stanava così i presunti poeti: "Fino a 18 anni tutti scriviamo poesie. Da quell'età in poi solo due categorie continuano a scriverle. I poeti e i cretini". E Internet, Feisbuc più di tutti fra i Social Network, ha sdoganato una schiera di nuovi "presunti poeti" che grazie alle tecnologie scrivono obbrobri nel nome di una poetica globalizzante, in stile prendi tre paghi due, dove tutto è "profondità, amore, dolcezza e confini", appunto... i cretini di cui Croce.
Dedicato a tutti i "poeti" del Web
Il       Palazzo
del      mistero

Ma Faber, poeta, lo era eccome. Altro che storie. A testimoniarlo non sono le mie quasi inutili parole o quelle più nobili d'altri, ma sono le 233 canzoni che ci ha lasciato, come uno scrigno zeppo di pietre e colmo di diamanti preziosi in parole e note. Certamente, non come fece  il "Rolling Stone", l'edizione italiana, che 2 anni fa impostò un'inchiesta più pensosa che penosa, bugiarda e vigliacca sull'artista. Il titolo recitava imponente a tutta pagina: "De André: giù dal trono!" come se avesse fatto qualcosa per salirci. Violatori di una vita vissuta con meno ipocrisia e un'umanità smisurata col suo amico poeta Colombiano Alvàro Mutis o Riccardo Mannerini (poeta, morto quasi cieco) con cui visse nei carruggi dell'angiporto nella mitica via Prè, da dove inizia "Via del campo", bevendo una bottiglia di whisky al giorno, quando suo padre era padrone di mezza Genova essendone il vice sindaco e amministratore di industrie note in Italia come l'Eridania e gruppo Ferruzzi di Ravenna. Tornando all’immagine di Maria disegnata da De André nella canzone, è di una dolcezza che ogni vangelo potrebbe anche integrare, per non scrivere invidiare. Ogni errore si paga.
Fabrizio in compagnia del suo amico e poeta Riccardo Mannerini














Bagnato

da     molte lacrime
E' avvenuto sul Monte Calvario (dal latino "Calvaria" che significa "luogo del cranio") davanti alla crocifissione. Ai lati di Gesù ci sono le croci di Tito e di Dimaco. I due ladroni che stanno morendo con lui, che condividono la sua stessa sorte, nello stesso posto, allo stesso modo, sotto le croci, tre madri piangenti l'agonia di chi portò nel grembo. Ma una delle tre, secondo le altre, è più fortunata: sa che suo figlio è destinato a risorgere. Eppure Maria non la considera affatto una fortuna. Non è la divinità a parlare in questa canzone. E' il sangue, è la disperazione di una madre che conta gli ultimi respiri del figlio, che sarà pure il Re del mondo, ma lei forse, in quell'istante umano bagnato da molte lacrime, lo vive come figlio suo e parla del suo dolore di donna con le braccia chiuse sul figlio morente.

Signorina      Anarchia

Il mistero delle emozioni accoglie ogni raziocinio, ogni calcolo, tutto il vortice d'orrore si tramuta in un acquazzone di quel venerdì alle 15,30 che iniziò improvvisamente a piovere forte (su questo tutti i vangeli, apocrifi e "ufficiali", sono d'accordo) quasi come a lavare l'onta della violenza umana, capace di ammazzare in Croce chi parlava d'amore proclamandosi figlio di Dio. Una Buona Novella, chissà quanto e come manipolata o "rimaneggiata". L’umanità di Maria in questa canzone trascende la sua divinità, come è vero il suo contrario. Nelle parole di De André, Maria diventa la madre di tutto abbracciando il sacrificio della sua vita stessa per un disegno destinato al libero pensare di ognuno. Concludo, azzardando nel mio claudicante narrare, che non sarei l'uomo che sono se non fossi cresciuto ascoltando la sua voce, le sue interviste, testi, il suo bel volto, note, musica, il suo stile, la personale storia, episodi di altri che Fabrizio ha fatto suoi vivendoli, da Riccardo Mannerini, al regista-concert di Faber, Pepi Morgia, fino a Cristiano e Dori, non potrei dire di essere ciò che sono. Mi sarebbe mancata quella forma d'anarchia che non trova risposta nei poteri istituzionali fino ad essere convinto che è vero, non esistono poteri buoni, ma solo poteri con molti zeri e tanti interessi singoli. Tante parole cangianti e nessuna scrittura, proprio come nei campi d'ortiche, ricordi tanti e nemmeno un rimpianto per chi è abituato a farsi piovere addosso, non è un problema.