Notti notturne

domenica 11 novembre 2012

Drugo e il grande Lebowski

"Fortunatamente io rispetto un regime di droghe piuttosto rigido, per mantenere la mente flessibile".                             Da Il grande Lebowsky
Il Drugo?
La prende
come viene 

di Matteo Tassinari



Nel lontano Ovest conoscevo un tipo, un tipo di cui voglio parlarvi. Si chiamava Jeffrey Lebowski. O almeno così lo avevano chiamato gli amorevoli genitori. Ma lui non se ne serviva più di tanto.
Jeffrey Lebowski si faceva chiamare "il drugo". Già, Drugo. Dalle mie parti nessuno si farebbe chiamare così. Del resto con Drugo erano parecchie le cose che non mi quadravano. E lo stesso vale per la città in cui viveva. Però forse era proprio per questo che trovavo tanto interessante quel posto. La chiamavano Los Angeles, la città degli angeli. A me non sembrava che il nome le si addicesse molto, anche se devo ammettere che c'era parecchia gente simpatica...


Drugo voleva
solo il suo tappeto
Sospinta dal vento, una palla di rovi rotola per il deserto. Seguendola, la macchina da presa arriva sul bordo di un’altura, un pendio. In basso c’è L.A. distesa e accesa. Guidati dai rovi e dal vento, Joel ed Ethan Coen s’addentrano nella città rapiti da un modo unico di usare la celluloide e parlarci di una vicenda piccola ma grande al contempo e poi Drugo voleva solo il suo tappeto. Nessuna avidità. 
Una narrazione che c'introduce alla voce di Sam Elliot (nel ruolo dello Straniero con un cappello da cow-boy protato troppo bene). All’epoca della guerra del Golfo, racconta, c’era a Los Angeles Jeff Lebowski detto il Drugo, l'uomo più pigro del mondoAltre cose aggiunge e ancor più ne aggiungerebbe se, quando ormai la macchina da presa gli sbatte addosso e non s’accorgesse d’aver perso il filo del discorso. Ed è ora, quando il filo s’è imbrogliato a sufficienza, che il racconto vero e proprio dei Coen prende il via, con l'idea della circolarità, la struttura del film, dove cerchi e raggi convergono verso un centro, sempre lui, Drugo, che rotola, ruzzola, rimbalza come una palla da bowling. 
Jesus Quintana, interpretato da Jhon Turturro. Un autentico cameo
Il Drugo ci rapì    senza
impedimenti
E da subito è delirio di gemme cadute dalle nuvole di Aristofane, massimo commediografo greco del 446 a.C,, uno dei principali esponenti della Commedia Ellenica insieme a Cratino, nonché l'unico di cui ci siano pervenute alcune opere complete. Il Drugo stava entrando nella mia vita e non lo sapevo. Era un calda serata di settembre e un paio di amici e una dolce e sapiente amichetta, ci rendemmo subito conto di trovarci di fronte ad una pellicola unica, per certi aspetti irripetibile come lo fu per "Pulp Fiction", con il quale non ha nulla a che vedere.


Lars Von Coen
Capimmo, sequenza dopo sequenza, che alla fine c'avrebbe ridotto come il pesce lesso, ossia privi d'espressioni in quanto tutte rapite dalla veggente regia dei Coen, capaci di fondere virtuosismi e un’incredibile attenzione per i dettagli a uno stile unico come direi lo stesso per Lars Von Trier, cosciente della distanza abissale fra le due registiche agli antipodi. Come paragonare il culo di J.Lo a quello di Monica Belluccci, quale prendi?
Regia Anarchica

Intermezzi musicali ascoltati come una sorta di viaggio allucinato e allucinante, attraverso una realtà surreale, fenomenica, coloratissima, chimerica che affonda la tradizione nelle luci e nelle ombre della cultura americana più tradizionale.
Una California che ti smidolla fin dall'inizio dell tuo peregrinar in una terra così sfaticata per natura e vocazione, la città più pigra è quella degli Angeli, ti fiacca proprio l'urbanistica e il mare ti costringe a vivere in modo californiano, che è poi quello che più o meno stanno facendo ancora oggi. Solo a Los Angeles poteva nascere il re dei drughi, drugantibus o drughetto fa lo stesso se siete di quelli che mettono il diminutivo ad ogni costo. Nel lontano Ovest conoscevo un tipo, un tipo di cui voglio parlarvi. Si chiamava Jeffrey, Jeffrey Lebowski. O almeno così lo avevano chiamato gli amorevoli genitori che lo avevano concepito sotto questo cielo da sogno americano infranto dal Vietnam.
Una comicità, quella dei Coen, beffata da riflessioni amare e ironiche, acide o grasse. Che cos'è "Il grande Lebowski"? Chi  è? Forse una trasposizione di ciò che piacerebbe essere a tutti quanti, almeno per un pò. Uno che non se la prende mai, anche quando le cose "vanno in vacca". Riassumere questo film nichilista ambientato nella "città degli angeli" nel 1991 che rotola, ruzzola, rimbalza come una palla da bowling è difficile quasi quanto "Il grande sonno" di Chandler-Hawks.
La città degli angeli
Certo, perché la storia di Drugo rimanda al romanzo di Chandler e al suo stile narrativo, al confondersi dei fili della sua stessa trama. All’intrigo narrativo corrisponde una sfrenata inventiva, irriverente quanto bisbetica da ammansire. Candidamente geniale! I Coen gingillano con le regole del "noir" infilandoci citazioni di Busby Berkeley, della Bibbia, dei film western, della musica americana anni Settanta e naturalmente del loro nume tutelare, Frank Kafka che li aiuta in tutte le metamorfosi in cui i due spesso si ritrovano a dover fare i conti con situazioni strepitose, velenose, ricche d'inventiva, d'intelligenza e divertimento, d'originalità e stile, di lochi e balocchi.
Franz Kafka, lo scrittore che ha più di altri ha influenzato i Coen

Un oceano di camei
Perché, sotto la crosta ridanciana, l’equivoco su cui si basa la storia riesce a trasformarsi in una grande, beffarda parabola sull’identità. Coen Brothers allo stato puro, insomma: un godimento per la mente. Con l’ausilio di attori strepitosi: Jeff Bridges e John Goodman sono rispettivamente il drugo e Walter, eccezionali, Steve Buscemi è una bravissima spalla e John Turturro si esibisce in un cameo memorabile. Lo si vede per 5 minuti, ma si mangia il film. Un frame che dico essere il frame dei frame. Pochi istanti di vaneggio per capire che la vita andava vissuta.
E invece m’ero ritrovato
davanti una commedia zen, che faceva sembrare l’umorismo ebraico delle commedie di Woody Allen una “vanzinata”, dai fratelli Carlo ed Enrico Vanzina, sorta di fratelli Coen italiani, decisamente più all’amatriciana pecoreccia. Questo per dirvi che non è un film facile, che ha tanti ammiratori quanti detrattori; come solo un gran film può avere.
A proposito, non vi fidate delle opere che ricevono consensi unanimi. L’unanimità è sinonimo di stupidità, omologazione, conformismo. Perciò non vi scoraggiate se non riuscirete subito ad apprezzarlo. Se già, però, non ne rimarrete del tutto indifferenti, vorrà dire che questo film vi sarà entrato dentro. Tutti i prodotti artistici, siano essi film, libri, dischi, dipinti, sculture, hanno bisogno di essere guardati, letti ascoltati, ammirati almeno due volte, l’ideale sarebbe tre. Una volta per assaggiare, un’altra per capire, un’altra ancora per amare/odiare.

Gargantuesca      clip di Turturro, Jesus      Quintana
*Il Bowling , la Tana*
Eppure Drugo non è Marlowe. Non ha quel disincanto cinico e insieme addolorato e non ne sente la mancanza. Insomma, Jeff Lebowski è quello che il suo soprannome suggerisce. Dude: così è e vorrebbe essere chiamato. La traduzione italiana, Drugo, non ha senso. I drughi (droogs) erano Dim, Pete e George, violenti accoliti di Alex, lo stupratore di Arancia meccanica (Stanley Kubrick, 1971).
Jeff Lebowski, per canto suo, non è violento, tanto meno uno stupratore. E' semmai un quasi 60enne, invecchiato e tante rughe sul volto. Senza pretese e senza troppi rimpianti, un tizio fuori dai giochi, qualsiasi ad ogni gioco perché, lui, Lebowski, è troppo superiore all'egocentrismo umano di cui siamo invasi. Questo significa dude: tizio, ganzo, calmo, dedito al piacere. Nella parola c’è già il ritratto di Drugo-Dude, ragazzo invecchiato degli anni 70, indolente “atleta” da bowling, accomodante antieroe che nutre la sua soddisfatta abulia di spinelli e White russians e che solo la faccenda d’un tappeto inzuppato d’urina afro-americana ha spinto il gas, per caso, nel “giro grosso”. La sua visione stralunata e grottesca della vita nel 1998, conquistò velocemente sia il pubblico cinematografico sia i critici più spietati. Ma nessuno si aspettava che a distanza di 13 anni il suo bizzarro stile di vita sarebbe diventato il manifesto di un movimento religioso che oggi conta più di più di 100.000 adepti.
"Io sono Drugo, 
lei è Lebowski!"

L'Olimpo dell'idiozia
Ciò che ha reso memorabile il film più di qualsiasi altro aspetto, oltre alla estrema leggerezza che quasi ti coccola, èpperò la caratterizzazione dei personaggi spinti al massimo. Primo fra tutti il Drugo (in originale The Dude), interpretato da un Jeff Bridges in stato di grazia, che con questa prova ha cancellato lo scetticismo di certa critica che ne faceva un attore incompiuto. Con questa dimostrazione è entrato nell’Olimpo dei mostri sacri. Questo disoccupato di mezza età che la prende come viene, consapevole della propria marginalità in un mondo dominato dalla follia e dall’idiozia, compiacente al cinismo, ma non privo di coscienza morale e pronto a mettersi in gioco per una giusta causa grazie a reminiscenze di un passato d'attivista per la pace, è sicuramente uno dei personaggi più riusciti del cinema contemporaneo americano, grazie anche alla sua fisicità accattivante e fintamente trasandata (capelli e barba lunghi, occhiali da sole, pancetta, vestiti larghi in stile vintage provenienti per la maggior parte dal guardaroba dello stesso attore, precisò Bridges).
Una clip che vale un movie. "Il sogno lisergico del Drugo" dopo il party dal pornografo Jackie Treehorn
Si fottano i ricchi!
Premiato all’uscita da un buon risultato al botteghino ma vergognosamente escluso dalle nomination agli Oscar, Il grande Lebowski è diventato, negli anni successivi, oggetto di culto assoluto, negli Stati Uniti come nel resto del mondo, dando origine ad eventi come il Lebowski Fest, che si svolge ogni anno, dal 2002, a Louisville nel Kentucky, e consiste in una celebrazione con tornei di bowling, concerti e concorsi di sosia dei personaggi del film, ad articoli e saggi come La vita secondo il grande Lebowski, e perfino ad una religione, il Dudeismo, i cui precetti si basano sulla filosofia di vita del Drugo e che ha visto, di recente, nascere una congregazione anche in Italia.
Mitico trio: Jeff Bridges, Steve Buscemi, Jhon Goodman
"Segnare una linea
sulla sabbia!"
È tanto che il suo film porta un titolo che non lo riguarda e che invece riguarda il suo doppio, nel senso del suo contrario: Jeff  “Big” Lebowski. Non a caso, i Coen glielo e ce lo presentano seduto su una sedia a rotelle accanto al fuoco, in una grandezza tragica da patriarca e miliardario che contrasta con l’insignificanza ridicola di un dude qualunque. La sola storia per cui s’appassioni è quella, senza capo né coda, imbastita giorno per giorno con le bocce del bowling, in compagnia di Walter (John Goodman) e di Sonny. Sonny non riesce mai a terminare una frase, ogni volta zittito dai suoi due soci. Il primo, veterano del Vietnam, è un Rambo da farsa, un dude ancora più dude di Drugo. Uno sciocco, un pasticcione convinto che la vita sia tutta un "segnare una linea sulla sabbia" e poi pretendere che nessuno la scavalchi.
  Jesus Quintana, il pederasta, lecca la palla prima dello snake
"Porque, non se    scherza con      Jesus"
Se potesse, più d’una volta il “piccolo” Lebowski pianterebbe in asso la storia in cui s’è ritrovato, fuggirebbe via dal film e dal suo scomodissimo, dannatissimo filo narrativo, per andarsi a sprofondare in una vasca da bagno, beandosi di fumo e alcool e ricordi patetici degli anni 70 coi Metallica come tecnico del suono. Ma, appunto, ogni volta la trama lo riprende, ora per mano d’un trio di tedeschi tonti e nichilisti (ma pronti all’indignazione, dimostrando così d’essere più tonti che nichilisti), ora per mano d’un lenone cinematografico con gusti e velleità da mafioso hollywoodiano (Ben Gazzara).
Pare dunque che, in questo loro film “minore”, i Coen si divertano a raccontare uomini che non hanno alcuna storia che sia davvero raccontabile, e che al massimo reggono la dimensione dell’aneddoto, della piccola leggenda di quartiere (un capolavoro è, in questo senso, il Jesus Quintana di John Turturro).
                    Io mi faccio ancora le
seghe a mano
Il Drugo mentre beve White Russians

Bowling, cicoria e W.R.
Persino l’epica per così dire oggettiva delle ceneri di Sonny disperse nel vento, in mano ai suoi due soci diventa una farsa, con Drugo che si prende in faccia quel po’ che resta dell’amico. E così siamo alla fine del film. I Coen ci hanno portato fin qui senza preoccuparsi di chiudere la trama relativa a Jeff “Big” Lebowski, alla figlia rapita, al milione di dollari. S’accontentano di qualche cenno, lasciandoli a noi da tirare, i fili. Sono molto più interessati a seguire il ritorno di Dude/Drugo al suo bowling, ai suoi spinelli, ai suoi White russians.
Il cappello cow boy
Ora, lo straniero con
il cappello da cow-boy ce ne racconterà delle belle sul suo conto. O lo farebbe se – c’era da sospettarlo – non riperdesse il filo. Il quale filo, chissà, forse se n’è andato di nuovo in giro tra Los Angeles e il deserto, inseguendo con gusto e piacere una palla di rovi sospinta dal vento. Un film sregolato, con una trama che si contorce su se stessa senza mai farsi decifrare con grandi invenzioni geniali. Un vero movimento tellurico, una pellicola che con un costo molto low, ha ottenuto un incasso d'entrate stupefacente, ma più di tutti s'è usciti dal cinema on la netta convinzione che questa volta non mi hanno fottuto. che però i Coen sanno orchestrare con grande ironia, intelligenza e colta cinefilia, uno spettacolo costruito e legato sempre a classici schemi narrativi e che regala una serie di esilaranti situazioni al limite del parossismo. Ambientazioni che poggiano su dialoghi allarmati, mai scontati, sempre dediti a rivelare l'ennesimo escamotage in una galleria di "preziosi" di ampia portata alla mercè di tutti, da Bridges a Buscemi, dalla Moore a Gazzara, da Buscemi a Goodman.
Lebowski finalmente solo e felicemente con se stesso, tutte e due

Anarchia colta
in regia
Regia anarco insurrezionale ad ogni criterio scritto dalle Major di Hollywood che all'uscita del movie ha storto prontamente il naso per poi alienare le proprie ragioni delle Major a quelle del botteghino e del successo popolare che il film ha inanellato nell'arco di pochi mesi per poi accrescere smisuratamente negli anni. Come gli script densi di una passione e compassione infinita, come nella scena finale, quando le ceneri del povero Buscemi volano addosso, a causa di una folata di vento indirizzata al Drugo, sopra un crostone di roccia nel Pacifico, citazioni che raccolgono un'umanità paritetica con la seconda metà degli anni '70 e la seconda metà degli '80. Concessioni a catinelle per divagazioni oniriche, con una colonna sonora dove si sentono gli Eagles, Dylan (per il quale vinse l'Oscar come Miglior brano musicale), Costello e i Creddence Clearwater Revival, una compilation variegata e funzionale. Insomma, “Il grande Lebowski” è una pellicola con tutte le carte in regola per essere ascritta alla categoria dei cult, capace di intrattenere con originalità.
Quella    sana punta di Taoismo
Ci sarebbe tanto altro da dire, ma non servirebbe nulla. C'è chi l'ha paragonato, come stile e filosofia di vita, al Taoismo. Ad uno stile di vita che non deve mai prevaricare i nostri sentimenti principali, soprattutto l'amicizia, tematica, ultimamente, svigorita di ogni suo pregio. La chiusa me la tolgo di mezzo dicendo che quando esco da una sala cinematografica e ho appena visto un film che mi ha scosso non molto, ma troppo, devo chiudere la giornata con quel film in testa, quasi incapace ad uscirne. Ripeto, solo quando capita un fenomeno alla "Trainspotting", il miglior film sulla tossicodipendenza mai girato di Danny Boyle e tratto dal romanzo di Irvin Welsh, per fare un esempio.
“Lebowski Fest" 
La notorietà raggiunta da questa pellicola è tale per cui ogni anno negli States si celebra addirittura il “Lebowski Fest”, occasione di ritrovo per migliaia di fan sfegatati, agghindati da straccioni e trangugianti White Russian in onore del loro beniamino Drugo. Il cocktail vincente servitoci dai fratelli Coen consiste nell’ampio campionario di personaggi con tutte le rotelle fuori posto, appartenenti a un’umanità marginale e proprio per ciò filosoficamente interessante. Un’umanità che ha perduto la bussola, dunque nichilista!
E il cine italiano? Bip...
Accennavo al fatto che nel film, ma anche nella realtà, ci sono due tipologie di nichilisti: i buoni e i cattivi. Questo perché i primi, loro malgrado, finiscono sempre col fare la cosa giusta, seppur per spirito d’inerzia e di malavoglia, come Drugo & Co. Mentre i secondi sono degli pseudo-artisti falliti, che finiscono risucchiati dal loro vortice di rabbia autodistruttiva, come i tre famigerati musicisti tedeschi e la donna che è Aimee Mann, la musicista che ha scritto la colonna sonora di "Magnolia" di Paul Thomas Anderson. Pensare che all’inizio il film raccolse dei tiepidi consensi, sia dalla critica sia dal pubblico. Solo più tardi si guadagnò il plauso unanime della platea conquistata dalle sue inedite bizzarrie. Il suo iniziale flop nelle sale e successivo trionfo in formato home video fa pensare a un illustre successore: "Donnie Darko" nel 2001, altra pellicola d'oro che subì la stessa identica sorte. Misteri di Major.