Notti notturne

mercoledì 23 aprile 2014

La notte che conoscemmo la Tv

Alfredo Rampi detto Alfredino, caduto in un pozzo artesiano
Un prato      al centro 
del mondo
Vermicino è un prato orizzontale bruciato dal sole e da un incubo verticale che spacca ogni pietà. Intorno al prato ci sono case sparse, il paese in lontananza, la statale che corre a Frascati e oscuri capannoni industriali che le fanno da contorno. Ma ciò che domina la sua superficie ordinaria non si vede a occhio nudo, ed è il peggiore dei ricordi. E’ un fantasma sepolto nel buio della terra. Un anfratto che nessuno sa della sua esistenza, un fantasma incastrato nel cunicolo di un pozzo artesiano largo appena poco più di 40 centimetri e profondo 16 metri all'inizio, fino poi a sprofondare, lentamente, a 61. La terra cedendo, inghiottiva Alfredino come fanno i serpenti.
Angelo Licheri mentre esce distrutto dal pozzo dopo aver tentato,
inutilmente, di raggiungere Alfredino: "Gli ho toccato le punta delle dita".
Vogliamo
sangre

         di Matteo Tassinari

Tra un mese, sarà il 33° anno passato da quella notte sciagurata di Vermicino. In quel pozzo, a un’ora precisa mai saputa, tra le due e le cinque del pomeriggio di giovedì 11 giugno 1981, Alfredo Rampi, di 6 anni, in visita dai nonni e che in quei giorni di sole respirava la sua nuova estate in sandaletti e canottiera a righe, esplorando tutti i liberi giocattoli del prato, i cespugli e le nuvole, i sassi e le lucertole, l’erba e l’aria, vi scivolò dentro per non uscirne mai più. Alfredo Rampi ha avuto una vita piccola e corta, felice, senza ombre, come la sua foto congelata negli archivi del tempo e dei giornali e nelle memorie. Paffuto, viso sorridente come tutti i bambini, odore di ciliegia, capelli pettinati, occhi vivaci. Un sorriso consolante, che improvvisamente si trasforma nel segno epocale e potente appartenente all'emozione secolare umana: la paura. La paura è l'effetto umano più potente, più forte dell’ignoto, dell'inesplorato.


Ci sono anche
i suoi amici
coetanei, con le facce assopite e incapaci di capire, serie, spalle mingherline e l’aria sbarazzina dei bambini al di sotto della prima decade, raccontano di Alfredino ai giornalisti impiccioni ma fondamentali. Su quelle spalle, incastrate prima a 16 metri di profondità, poi a 27, poi a 38, fino a sprofondare a 60 metri dentro il ventre del pianeta, un posto che mette claustrofobia al sol pensiero. Tra la gente accorsa da tutta Italia, s’è scatenata un groviglio di visioni, rumori e voci tremende da rasentare la follia immersi nell’impotenza. Le ambulanze hanno il loro daffare con persone svenute dall'impressione, da emozioni sgomente, dalla intuizione non difficile che Alfredino lo vedremo, certo, ma senza vita. Perché la paura ti rende suo prigioniero, mentre la speranza può renderti libero, almeno per qualche ora, nell'illusione come sempre ultima a morire, perché tutti avevano subito capito che Alfredino non sarebbe più uscito vivo da la sotto, a quella distanza da tutti e da tutto, solo.
Il buco dove Alfredo è sprofondato per 60 metri
Il         dolore di
mille agonie 


E' uno sprofondare   continuo, lento, verso l’interno, verso una distanza che ogni minuto aumenta. Un incubo è ancora una dolce carezza al confronto di quel che sta succedendo a Vermicino. Una morte immensa, epica e flemmatica, pacata e pesante, inesorabilmente lunga e insostenibile. Per la durata totale di 60 ore di errante tribolazione e feroce agonia. Migliaia di parole. Migliaia di immagini. Migliaia di persone. Una morte che ha generato un dolore collettivo mai provato prima, diluito in 18 ore di diretta televisiva che spiegherà cos'è la Tv. Un dolore collegato ad ogni singolo cuore dei 32 milioni di telespettatori appiccicati al mezzo orribilus. Un dolore che ha coinvolto un Paese e parti del mondo a seguire in diretta un evento così sventurato. E' un terrore tele visivo, che per la prima volta scardina le pareti del tinello, la sicurezza domestica, liberando i fantasmi dell'inconscio e moltiplicandoli nella solitudine della notte in un buio senza fine.  
Si cerca di parlare con Alfredino
L’Italia   intera,
è precipitata in quel pozzo con poca aria. Tutti incastrati nel buio, scivolati nel fango e nel soffocamento claustrofobico di un bambino di 6 anni, che da laggiù, ogni tanto si sente: “Mamma ho freddo, portami un cappotto”. Diciotto ore di diretta televisiva che disorientano un Paese che sobbalza all’improvviso dopo che la notizia è approdata prima al Tg3, poi al Tg2, con brevi flash, un paio di collegamenti, nessuna premonizione. Poi il dilagare della notizia nel mondo. Parte in coda al telegiornale principale, il Tg delle 13.30, a metà del secondo giorno e promette di finire in fretta: “Aspettiamo, dovrebbero salvarlo a minuti”. Invece si complica sempre di più la situazione. Aumenta la sua ridondanza, il suo freddo orrore. Viene ripresa persino da una sconosciuta rete Tv americana, la neonata Cnn di Atlanta di Ted Turner. L’evento si carica ulteriormente come una tempesta di elettricità emotiva contagiosa. Dal tramonto in poi diventa una folle notte di soccorsi rovinosi e improvvisati, uomini acrobati improvvisati. Ognuno cercava di fare qualcosa, perché stare fermi e rassegnarsi all’impotenza con quel pargolo la in fondo, affamato, infreddolito, solo, dentro la terra, incapace e incapaci a tirarlo fuori da quel pertugio come bocca dell'inferno. Un angelo che sta scendendo sotto terra. Così fino all'alba. Tutti gli incubi del buio e di tutte le speranze lattiginose del cuore, sono svanite.


Paura,
percezione,
IMMAGINARIO
La paura del   pericolo è diecimila volte più spaventosa del pericolo vero e proprio quando si presenta di fatto davanti ai nostri occhi e l'ansia è una tortura molto più grave da sopportare che non la sventura stessa per la quale stiamo in ansia. 15 mila automobili parcheggiate intorno, vettura in piazza dov’era isola pedonale, uomini in maglietta e calzoncini, donne con il fazzoletto in mano, bambini che piangono, carabinieri che spingono, Prefetti, poliziotti, vigili del fuoco, preti, parenti, porchettari, venditori di dolciumi, camionisti. Vermicino è il centro del mondo perché Alfredino è cascato nelle fauci dell'orco!
La luce del sole vista da 60 metri sotto terra è un vero miracolo


Perché?
La folla si   accalca sul prato, assedia il pozzo, preme, fuma nervosamente, mangia panini, si disseta. Tutti aspettano, chi è perso con lo sguardo nel nulla e guarda quella feritoia per terra. Ogni tanto, una tenue voce dice dal fondo: “Babbo, tirami fuori di qua, ho freddo, ho fame!”. Il buco si allarga lentamente e a volte d'improvviso, non riesci più a capire nulla, senti che la salvezza parrebbe lì, ad un metro, ma in questo caso, un metro è un'abisso. Il tempo ha perso la sua importanza, il suo significato, tutto si prova subito, anche il più bizzarro dei tentativi. Quasi un segnale maledetto e che non saprei decifrare, non sono uno spara balle, ne mi va di fare teatro esoterico o di quale chissà altra puttanata, su di un fatto così estremo, così impossibile. Eppure reale. Dio, ma dov'eri? Da Cristiano sono portato a pensare che Alfredino sia seduto al Tuo fianco. Come uomo, rimasi, e rimango tuttora sconvolto al solo pensarci.
Per chi ha vissuto quella notte, immagino che sarà d'accordo che questa foto rappresenti ampiamente lo stato d'animo di molti italian@ straziati, impotenti, angosciati, i genitori che giravano in mezzo ai curiosi, alle telecamere senza dir nulla, piangendo e parlando. La mamma tentò di chiamarlo, ma quasi svenne quando si sentì una vocina provenire dal buio di quel buco. Era il suo bambino. Non era il caso di esporla ad emozioni così forti, così soffocanti.
Il Presidente Pertini
A metà di  quell'afoso

pomeriggio di giugno, per fare entrare il vecchio presidente Sandro Pertini, venuto da Roma in nome e per conto del popolo italiano, come si va ai bordi degli incidenti stradali o dei lavori in corso, per affacciarsi, guardare, stupirsi, commuoversi e intralciare. “Arriva il presidente, arriva il presidente!”, dice con tono stupefatto il telecronista: “Chiede di arrivare vicinissimo al pozzo. Ora si sta affacciando dal pertugio. Lo reggono gli uomini della sicurezza. Chiede le cuffie, vuole sentire la voce del bambino”. La gente è profondamente spaesata. Vermicino si trova improvvisamente al centro del mondo per una feritoia nella terra larga mezzo metro per 70 centimetri con Alfredino dentro, quando di Vermicino non conoscevamo neanche in quale regione fossi ubicata. Ogni tanto partono voci anarchiche dagli studi Rai: “Alziamo l'audio!”, anche i tecnici non riescono a gestire la diretta più maledetta fino a quel momento.
Possiamo perdonare un bambino quando ha paura del buio. La vera tragedia della vita è quando un uomo ha paura della luce
                 (Platone) 
Il grande balzo
dell’umanità
Non c'è un   precedente televisivo comparabile a quello che successe a Vermicino nei primi anni ’90 del secolo scorso. Neppure nella remota e celebre notte lunare di Tito Stagno e del comandante Neil Armstrong, 21 luglio 1969, quando il modulo Lem scivola via da Apollo II e dal nero della navigazione scende nell'acquario di sabbia e luce del Mare della Tranquillità, alluna e mostra, in soggettiva, prima i gradini, poi 1o scafandro bianco, poi l'orma, mentre via radio va in onda la frase più celebre dell’aereo spaziale: “E’ il piccolo passo di un uomo, ma è un grande balzo dell’umanità”.



Il pubblico
a casa dentro     il pozzo
In quella notte  devastante, la televisione fa ciò che le sue regole prevedono: registra e fa vedere, fatto che alla gente non poi così chiaro come lo è oggi. E’ l’occhio collettivo che guarda, osserva il viaggio umano. E’ il racconto per immagini di ciò che la scienza e il coraggio umano stanno realizzando. E’ la verità. La Tv che informa, che si accende davanti all’evento, che registra il record di salto in lungo e il record di salto talmente alto da raggiungere la Luna. In entrambi i casi la diretta è mediata da esperti. Passa sempre per gli studi del telegiornale, i collegamenti sono con la voce roca di Ruggero Orlando e i camici bianchi della sala di controllo della Nasa a Houston. Gli esperti accanto al pozzo, i curiosi intorno al buco, il pubblico a casa ma anche loro dentro il pozzo, modulano lo stesso sguardo stupefatto, la medesima pena, l’identica, disarmante, impreparazione. A Vermicino si rompe per sempre la televisione come tutti la conoscevano fino a quel momento. Non è più lei che si accende per starsene un pò tranquilli. Inizia a fare paura alla gente. E’ diventata il mostro che sarà di fronte all’evento, ma è l’evento a infiammarsi davanti alle sue telecamere. È l’evento che, accadendo, la coinvolge e la brucia. Sbriciola il palinsesto, la rende un flusso orizzontale. Amplifica la sua potenza. Si piega alla sua ridondanza. Fa sì che i tentativi di quella notte, i volontari davanti al pozzo, i curiosi in attesa, il pubblico a casa, siano lì non solo per Alfredino, ma anche per lei. Per entrare nel suo racconto, nella sua dinamica di incoronazione perpetua, di narrazione e vertigine, di appagamento narcisistico.
Il     diaframma    
si è    rotto
L’Italia intera è lì. Sospesa per aria fra incredulità e angoscia, impotenza e lacrime. Confusamente percepisce il mutamento che si è innescato, anche se ancora non ha razionalizzato cosa sia il dolore della morte in diretta televisiva. Il mezzo amplifica l'evento tragico non so per quante volte, poi i giornalisti bravissimi nell'eccedere col piede sul pedale del dolore e anche una lacrima diventa il Vaso di Pandora aperto. Quante persone muoiono, sole, senza che nessuno lo sappia o dicano nulla? Tantissime! Questa è la Televisione. Anche se nella morte di Alfredino c'è qualcosa di simbolicamente orribile che non riesco a decifrare, una sensazione che vivo ma che non riesco a dargli un volto, una fisionomia. Eppure avverto che la dinamica della morte di Alfredino, al di là dell'atrocità, le cause e concause tremende, abbia un valore simbolico superiore. Ma non azzardo nessuna ipotesi visionaria, state tranquilli.
Il Vaso di Pandora
Non mi metto
a giocare con le parole, su fatti del genere. L'evoluzione televisiva, era in atto. La gente intuisce comunque che cosa possa diventare quell'elettrodomestico fino ad allora considerato al pari di un frullatore, con la differenza che lì potevi vedere il Tg, il film del lunedì sera e un pò d'avanspettacolo il sabato sera. Ma quel giorno che morì Alfredino, il diaframma di cristallo si è rotto. La Tv non è più solo una finestra sul mondo. Né tanto meno un oblò di leggerezza lunare e spensieratezza del focolare. Quella scatola che ha appena raccontato il sangue versato da Giovanni Paolo II in Piazza San Pietro, svelando nella folla indistinta la mano armata di Ali Agca e il drappo bianco del Papa macchiandolo col suo sangue per accasciarsi nella jeep in accelerazione tra lo scompiglio.
La Tv in noi
Ha   raccontato il caso Moro e le successive mattanze brigatiste, gli intrecci del terrorismo, poi i misteri della P2, le fughe di Michele Sindona e di Roberto Calvi. È ancora la Tv che inquadra il mondo e (più o meno) ce lo spiega. Italia Germania, 1970, vince l'Italia 4 a 3, un Pese unito e in festa. Ecco il senso di Blob. Ma senza allargarci troppo, solo con Vermicino la Tv non sta più fuori, ma dentro di noi. Diventa il nostro respiro notturno, lo sguardo che non ci fa dormire. È l'interruttore che sembra tener vivo Alfredino. È l’altare di un rito collettivo, senza sacerdoti, né esperti, solo volontari, uomini comuni, che si compie sino al sacrificio. È il gorgo che attira lo sguardo, che ipnotizza, che sollecita paura e vertigine, ripulsa e attrazione, fino allo spaesamento, fino al pianto, fino alla fine.
I funerali di Alfredo Rampi

 La gente     pretende
la fine  dell'ansia
Per la    prima volta, la diretta televisiva da Verrnicino diventa lo spettacolo del dolore, afflizione collettiva, audience profonda. La Nazione si ferma. Aspetta lo scioglimento emotivo. Il blocco delle emozioni si sente. La gente non parla d’altro. Pretende la fine dell'ansia. Incita, implora, resiste. Chiede di andare fino in fondo. Vuole agire, ma non sa come. Ma in realtà vuole solo guardare, guardare, guardare. A Vermicino quella notte di giugno del 1981, tra la gente che si accalca, le bancarelle di bibite, le lacrime, le zanzare, la paradossale invisibilità di un pozzo che tutti immaginano di guardare, un pozzo tanto profondo da toccare il cuore di tutti, muore in diretta Alfredino Rampi e nasce la (neo) Televisione. La televisione nel 1981, ha inaugurato da poco il colore. Ha moltiplicato fino a tre le reti della Rai, e per mille quelle di ambito locale, piccole, piccolissime, notturne, merceologiche.




Tele Milanese diventa Canale 5 e apre
le trasmissioni con il vero Mike Bongiorno che sembra finto. Si accendono gli sghembi show in topless su Antenna Tre Lombardia, e i varietà improvvisati su Teleborsa, a Bari. L’etere pulsa di divani, pentole, aste, tappeti, auto a rate, casalinghe mascherate che si spogliano dentro ai loro sogni e ai nostri sguardi notturni. Diventa visibile l’Italia minore, quella che parla in dialetto, che si veste in Tv come fosse domenica, o al proprio matrimonio. Che è bigotta e pagana, si genuflette davanti a Padre Pio e crede al mago Otelma, alle furono alghe scioglipancia di Vanna Marchi.


C'è chi incorona Giorgio
Aiazzone, il mobiliere che spedisce in tutta Italia, isole comprese, re del truciolato. E Maurizia Paradiso, regina dei velluti notturni. Che ha fame di luce. Che in cambio della luce si lascia usare dalle nuove macchine pubblicitarie, “Provare per credere”. Che esibisce le proprie proporzioni fuori standard, presentatrici troppo bionde, comici troppo grassi, esperti senza grammatica, presentatori senza cravatta, come una orgogliosa innovazione contro il conformismo. Contro la noia lessicale della televisione di Stato. La sua insindacabile selezione sulla realtà, le sue gerarchie. Adesso, l’Italia che prima approdava sulle reti Rai solo in forma di cronaca nera o rosa, costume o curiosità, costruisce la propria piazza elettronica. Entra nello spettacolo e lo moltiplica.

Lo      spettacolo
non può     fermarsi!!!

Ci mette    l'estetica, la pancia, il silicone e il botulino. La voglia di giocare e di mettersi in gioco. Telefona in diretta non solo per indovinare il numero dei fagioli, ma anche per raccontare il tradimento del marito, il malocchio che si sospetta, l'inganno subito, il destino nascosto nelle stelle, l’amore atteso, l'amore svanito, l’ultima vacanza, le frustrazioni sul lavoro, il sesso, la malattia. La morte. Era un periodo stranissimo. BISOGNAVA tassativamente, grazie a Berlusconi e i modelli di look e comportamento imposti dalle sue Tv, essere belli, sorridenti, felici anche se non lo si era. Gli anni della claustrofobia, personalmente li definisco. E la vicenda di Alfredino, quel maledetto buco grande quanto una botola, ci porta tutti con i piedi per terra per pochi giorni, poi rimane solo il volto di un bambino senza vita nell'immaginario collettivo rimosso. 
Non perde mai l'occasione
La  so lita Fede
L’accaduto di Vermicino, ha un interruttore involontario, Emilio Fede: “Ero il direttore del Tg1. Quel venerdì, in riunione, a metà mattina, preparando il telegiornale delle 13.30, sentivo che nella scaletta mancava qualcosa di emozionante. Il caporedattore Andrea Melodia, mi dice di questo fatto che sta accadendo vicino a Roma, in un posto chiamato Vermicino. Mi racconta del bambino, del buco e che stanno per salvarlo. Bello”, gli dice Emilio Fede al suo collaboratore. “È importante, seguiamolo” conclude. Anche la Rai invia una 3 telecamera mobili due giornalisti e 2 fotografi e cine operatori.


La signora Rampi, mamma di Alfredino
Allora   ne avevamo
solo una. Cosi in coda al tg ci colleghiamo. La vita comune e lo spettacolo della morte comune, entrano in Tv con Vermicino, Alfredino. La vita comune diventa una messa in scena mondiale. La gente avverte questo. Prima di Vermicino la Tv era verticale, dirigista. Poi diventa orizzontale. Il cambio in scena avviene in periferia, in un luogo desolato, un prato, senza storia. L’evento si crea nel luogo più inaspettato e persino la politica avrà il suo daffare. Sembra proprio che questa vicenda abbia un valore alto, non so, ma l’impressione è questa, che da Vermicino in poi la Tv s’è mangiata tutti, metaforicamente, e chi no.


Alfredino Rampi viene
dichiarato morto alle 6.20 di sabato 13 giugno. Con i primi raggi del nuovo sole, si smontano i set giornalistici d’appoggio, dalla Cnn al Times, si chiudono i collegamenti e si aprono le polemiche. I proprietari del terreno vengono arrestati. L’operaio che ha scavato il pozzo artesiano viene arrestato. La vita dei genitori di Alfredino, Franca e Nando Rampi, viene passata al setaccio dai giornali oltre che essere devastata dall’accaduto. Come mai il bambino giocava da solo? Davvero si è trattato solo di una disgrazia? Tutti cercano un colpevole che possa alleggerire la colpa collettiva per lo spettacolo inscenato dal destino o chissà chi. Ma sono tutte domande false, i genitori di Alfredino sono i più colpiti dalla morte del bimbo. Li chiamerei sciacalli chi ha osato chiedergli come mai era solo. Ma come, un bambino non può essere da solo? In campagna? Certo, semmai i responsabili sono chi ha lasciato un buco così profondo aperto e chissà se qualcuno lo sapeva. In ogni caso, al di la di ogni stupida congettura, la gente è tramortita.
La gente

è molto strana

Occhi estraniati davanti alla prima diretta di un fatto tragico che ha catalizzato il mondo intero. I giorni successivi a quella notte di mezza estate furono incentrati sulla morte di questo bambino in , ad essere incapace di focalizzare quello che è accaduto, perché ciò che è successo, supera la comprensione che la gente ha dei mezzi d’informazione nei primi anni ’80. Per questa ragione è stata presa allo scoperto, tutta quanta, d’improvviso, impreparati come un ladro sorpreso con le mani sul malloppo. Forse quello di Alfredino, è il primo momento della Tv del dolore, con la differenza che c’è scappato il morto, mentre in programmi impregnati di sangue e coltelli, ora, se l’inventano con gli autori le vittime, i Plastici di Porta a Porta voluti in studio con i criminologi  nel salotto buono di Bruno Vespa.
Fu la fine
Il pomeriggio una gragnola di disgrazie insormontabili, una attaccata all’altra. Oggi sono la fortuna economica pubblicitaria della Tv i programmi televisivi dove il dolore diventa droga pura, tumore, scomparse, assassini, adrenalina grifagna che tiene alta la suspense, in pigiama, tutti davanti alla Tv. E’ un rito collettivo. Vissuto da tantissime persone, mai accaduto prima. Come un futuro camuso, la gente non riesce a staccarsi dall'elettrodomestico più potente e portatore di notizie. Quasi tutti svegli anche se stanchi, distrarsi con lo stordimento dato da vicende che dell’umano non hanno nulla. A volte penso che molta gente voglia farsi male, davvero.
Come    quando partono 
le macchine in Formula1, alla partenza, cioè quando è maggiore la possibilità che avvenga un incidente, lo share è altissimo, picchi d’ascolto stellari, sbaragliano la concorrenza, pubblicità e denaro come piovesse e attenzione massima dei telespettatori nella speranza inconscia di un "patapamf", e non dico il resto. Poi il tempo passa e la gara si fa monotona e la gente cala enormemente. Perché volete il sangue dei piloti visto che mi fanno schifo gli sport dove ci sono motori? La gente è strana. O forse stronza. Dopo 20 ore circa il mondo vede il corpo di Alfredino. Finalmente ce l'hanno fatta a portarlo fuori da quella trappola infernale. I sandaletti sono slacciati, forse è stato proprio Alfredino a slegarseli, forse per stare un pò meglio, in quella dannata notte di mezza estate quando conoscemmo la Tv.
Fine della prima diretta televisiva.
E la Televisione scoprì il dolore.
Fu la fine.