Notti notturne

giovedì 24 maggio 2012

Kevin Carter, foto di guerra

Chi       non
ha mai    visto queste foto

         Senza     sapere             
le abbia    scattate?
Ero    spaventato per  
quello che    vedevo
L'autore è questo uomo
  
Nato a Johannesburg-13 settembre 1960, morto a Johannesburg-27 luglio 1994.E' stato giornalista, fotografo e membro del "Bang-Bang Club", formato da Kevine altri 4 fotografi che si ritrovavano nelle guerre sparse su questo pianeta


      The MISSION of Kevin
E' difficile, anzi è , almeno per me, parlare di chi si nega la vita. Lo facciosolo per ricordare chi lo merita. Kevin Carter, fotografo, è fra queste. Imbracciòla sua prima macchina fotografica nel 1983. Era giovane Kevin, un ragazzo.E come tutti i giovani, sognava di salire sulla vetta del mondo. E c'è pure salito in cimaal mondo, ma quando si è ritrovato a contemplare, dal silenzio dell’altezza raggiunta,il baratro che lo circondava, specchio infranto fatto di parole e non dava adito adinterpretazioni e non concedeva nulla ai malintesi, deve aver provato una sensazioned'impotenza globale dentro di se. Kevin Carter è stato un giornalista.Un portatore di realtà orribili, concepite e finalizzate da nostri simili su nostri simili.
Foto di Kevin Carter in Somalia

Il     supplizio
del     pneumatico
Col tempo Kevin aveva iniziato a cedere, l'entusiasmo inizialesi stava tramutando in tortura. Il lavoro di documentare le atrocità che la guerradisseminava sul suo feroce cammino, devastazione su saccheggio, dall'abbandonoallo scempio, dalla distruzione alla razzia, in qualsiasi sua manifestazione e in nomedi ideali superiori riusciva a incombere su milioni di persone, è una cosa moltoseria. Scoprì, a sue spese, cos'era il 'necklaced'.
Un metodo di tortura o esecuzione in cui che consisteva nel cospargere all'interno di un pneumatico riempito di benzina e appeso al collo del massacrato che era stato legato. Ogni suo movimento erano pezzi di gomma rovente che gli cascavano sul corpo. Ma come riuscire a stare fermi in quella situazione? E' un modo raccapricciante di uccidere e inizialmente Carter aveva forti riserve sul pubblicare le foto su questo tipo di tortura. Si racconta che Carter udì un sommesso piagnucolio e vide una bambina che tentava di arrivare al centro di alimentazione (secondo alcune versioni, distante un chilometro). La inquadrò per fotografarla e nella inquadratura apparve un avvoltoio. Lentamente, per non disturbare l’uccello, cercò la posizione migliore per scattare la foto. Avrebbe raccontato lui stesso di avere atteso oltre venti minuti, sperando che l’avvoltoio non volasse via. Dopo aver scattato la foto, Carter scacciò l’animale ed abbandonò la bimba al proprio destino.
Taylor Kitsch nel film dedicato a Kevin Carter

Un cappio all'Umanità
Se potessimo vederci con gli occhi degli altri, scompariremmo all'istante.Tanto, anche quando disertano l'inferno, gli uomini lo ricostruiranno altrove. Le brutalità che si riusciva a commettere, spinti più che da nuovi ideali da antichi odi, hanno stravolto e lesionato per sempre l'anima del giovane fotografo.
Nel '94 si ritrovò catapultato per il "Johannesburg Star" nella brutalità dell'Apartheid per poi saltare da una guerra a all'altra: Sudan, Ruanda, Liberia, Sudafrica... Carter è stato il primo fotografo a pubblicare l'esecuzione chiamata "supplizio del pneumatico" in Sudafrica. E' meglio non sapere nel dettaglio cosa sia il "supplizio del pneumatico". E Kevin allora scoprì che l'uomo era infelice perché era capace di tutto. Con quello che ha dovuto vedere ci sono solo argomenti d'elogio e nefandezze più aberranti.

          I connotati    della guerra
ed i lerci    nascondigli
della storia
Ammetto che mai post mi fu più difficile scrivere. Non
perché sia complicata la storia di Kevin, semmai è vero il suo contrario, è anche fintroppo precisa nei suoi angoli più chiari e più scuri, come la tastiera di un pianoforte
che suona musica atroce per chi comunica con le immagini. Penso che la vita di Kevinper e silenzioso degli innocenti, di chi gli è stato rubato tutto ancora prima di nascere.suoi simili. Inconsciamente, certo, perché le foto di Kevin non davano lo spazioper vedere chi ne era l'autore, in quanto la rappresentazione cruenta era una calamitaCarter, la sua storia per come s'è aggrovigliata, abbia toccato la vita di molti


L'impressione
ha sempre
prevalso su tutto. Il dolore sproporzionato a tutto, talvolta può essere sintetizzato in un frame. Kevin l’ha visto, dimostrandoci cosa accadeva da qualche parte del mondo, ciò che cerchiamo di nasconderci, il massacro consapevoli a tutti l'attenzione di chi guardava quella foto e sfuggiva il tempo per il fotografo. Le terre dove una lacrima ha radici più profonde di un sorriso. Non c’è alcuna morale in questa storia.

Non si può trovare una morale nella cosa più immorale che l’uomo abbia inventato: la guerra. Cerchiamo solo di introdurre spunti di riflessione sui perché delle guerre. Sul perché si vada ancora per il mondo a distribuire dolore e morte e si vogliano spacciare questi crimini contro l’umanità, come “missioni di pace”. Perché tanta sottile perfidia e tanta sordida ipocrisia? Domande retoriche che riecheggiano nella nostra mente e feriscono il mondo.
Più senso avevano le parole di Kevin stesso: "Ero sconvolto vedendo cosa stavano facendo. Ero spaventato per quello che io stavo facendo. Ma poi le persone hanno iniziato a parlare di quelle immagini... così ho pensato che forse le mie azioni non sono state poi così cattive. Essere stato un testimone di qualcosa di così orribile non fu necessariamente un male". Carter, e il suo carico di miseria nello zainetto, si spostò nel Sudan per rendere consapevole il mondo di quanto stava accadendo lì e come la fame e le malattie stavano eliminando un paese nel quale un governo stava armando la sua gente.

la morte, in certi casi, è uno stato di perfezione 
Emil Cioran 
Nel libro "Buio profondo" di Andy McNaab, descrive così questa fotografia: "Una minuscola bambina affamata, non più di un mucchietto di ossa, ingobbita, nuda in mezzo alla spazzatura. Alle sue spalle un avvoltoio, immobile, che controllava ogni suo movimento". Kevin Carter ricevette molte pesanti critiche per non essere intervenuto ad aiutare la bambina. In molte interviste gli è stato chiesto che fine avesse fatto la bambina, il perché non l'avesse aiutata, ma lui non ha mai risposto o ha risposto in modo evasivo. Sempre Andy McNaab racconta: "Il problema di Kevin era non poter dire al mondo se quella ragazzina era sopravvissuta o no. Era sincero su questo. Ammetteva di essere rimasto venti minuti in attesa che l'avvoltoio aprisse le ali. Non le aprì e Kevin aveva scattato le foto e poi era rimasto seduto sotto un albero a piangere e a parlare con Dio, a pensare a sua figlia. La ragazzina sudanese, divenne il suo incubo. Non era giusto attaccarlo. Il fatto è che i benpensanti di periferia hanno visto una sola bambina".
Non c’è alcuna morale
umana in questa storia. Non si può trovare una morale nella cosa più immorale che l’uomo abbia inventato: la guerra. Forse quella bambina era la normalità, una delle centinaia che Kevin aveva visto morire quel giorno o quello prima, in un modo o nell'altro. Se non avesse scattato la foto, molti non avrebbero mai saputo neanche dove si trovasse il Sudan. L'immagine è diventata un icona mondiale della terribile situazione del Sudan e dell'Africa in generale, più volte spazzata da carestie, malattie, guerre civili e non nel mondo. Come per la fotografia di Nick Ut (in realtà si chiamava Huynh Cong,
fotografo della Associated Press), premio Pulitzer 1972, nella quale ritrae una piccola vietnamita nuda e ustionata in fuga con altri bambini e soldati da un villaggio raso al suolo dal Napalm.
Il prezzo pagato da Kevin

La guerra è il Vulnus
Per uscire da questo ginepraio dove la ripugnanza, l'orrore, l'avversione trionfano senza sosta, ecco le parole di Emil Cioran: "Vago attraverso i giorni come una puttana in un mondo senza marciapiedi. La morte è uno stato di perfezione in questo orrore alla portata di un mortale spogliato di ogni sua ombra. All'interno di ogni suo desiderio lottano un monaco e un macellaio".

21mila morti    in 5 mesi

per      l'apartheid
Secondo le statistiche della HRC (Human Rights Compaign), 21.000 persone sono morte nelle violenze politiche in Sudafrica durante l’apartheid, delle quali 14.000 durante i sei anni del processo di transizione dal 1990 al 1994. Di queste morti, il 92%, sono dovute ad africani che hanno ucciso altri africani, ad esempio in battaglie tribali per il controllo del territorio per conto del dominio inglese o occidentale. Per lasciare, a tutt'oggi, gli ospedali sudafricani luoghi di morte. Kevin, che suo malgrado aveva documentato già tutto, lasciò scritto quanto segue, in uno dei suoi tanti appunti dispersi nel mondo:

Il punto
estremo
"Il lato peggiore della guerra
è quello del ricordo. Quando hai visto coi tuoi occhi la guerra, in tutto il suo orrore, cambi personalità, diventi più forte o ne puoi rimanere oppresso. E' successo a molti. Contate i suicidi avvenuti fra i veterani del Vietnam, non so quanti siano, ma sono migliaia. Perché la guerra, non puoi cancellarla come fai con lo sporco sulla pelle attraverso una doccia. No! Lei ti rimane impressa per sempre, e se sai fare il salto lo fai, altrimenti o ti aiutano oppure il buio ti riserverà qualcosa. Credetemi, i propri occhi non mentono alla propria anima, perché dopo si ha a che fare con essa. Mentre a vederla al cinema o leggerla su di un libro, si riesce sempre sfuggire ai suoi brividi brutali e strazianti, gioca un ruolo determinante se non assoluto nella percezione dello sconquasso collettivo, nel deturpamento. Non sei più quello di prima. Vederla in tg o in un giornale, equivale, in un'ipotetica brutale scala da 1 a 100, ad 1". 
Carter, Johannesburg 1993-HRC Human Rights Campaign)
"Il mormorio del ricordo

è un      dramma"
Due mesi dopo aver ricevuto il suo PulitzerCarter sarebbe morto di avvelenamento da monossido di carbonio a Johannesburg, un suicidio. Il suo camioncino rosso era parcheggiato nei pressi di un piccolo fiume, dove aveva l'abitudine di giocare   da bambino. Un tubo da giardino verde collegato al gas di scarico del veicolo incanalato i fumi all'interno. "Sono molto, molto dispiaciuto", ha spiegato in una nota lasciata sul sedile del passeggero sotto uno zaino. "Il dolore della vita prevale la gioia al punto che la gioia non esiste". Vorrei che queste parole si trasformassero in un boato mentale per tutti i guerrafondai, dai soldati ai Presidenti e anche a chi sceglie di non volere vedere la spietatezza delle atrocità, a cominciare da tu che leggi queste parole. Un incessante brontolio mentale, un  fragore, un muggito, un rimbombo, un rugghio, un ruggito, un tuono. Come se ti avessero appena detto che tuo figlio è morto perché un machete gli ha tagliato la testa. Ma non furono queste immagini “urlanti” a determinare la sua fine, bensì un’immagine “silenziosa”. Non con uno schianto finirà il mondo, ma con un lamento, ci ricorda il poeta ed è con un sommesso lamento che è finito il mondo per Kevin Carter.
Spesso, la diplomazia è la continuazione
della guerra con altri mezzi

La nota di suicidio che ha lasciato, è una litania di incubi e visioni scure, un tentativo di auto analisi, una spiegazione, un modo per chiedersi scusa. Dopo essere tornato da New York, Kevin scrisse ormai allo stremo: "Sono dilaniato in questa stanza anonima d'albergo, senza telefono, soldi per l'affitto, ci penserà il giornale. Sono ossessionato dai ricordi di omicidi improvvisi e dai cadaveri, dalla rabbia, dal dolore di bambini che muoiono di fame o di feriti, di grilletto facile, come la polizia, autentici carnefici".
Kevin Carter in Sudan


*La frase*
"Sono perseguitato dai ricordi vividi di corpi dilaniati e cadaveri, la rabbia, il dolore, la fame. Bambini feriti, dal grilletto facile, polizia assassina e carnefice. Sono massacrato dai ricordi dei corpi i volti, le urla. Non riesco a dimenticarli". 
Kevin Carter


mercoledì 16 maggio 2012

Il talento dolente e intenso di Mia


Gli uomini non cambiano
Minuetto x Mia

di Matteo Tassinari

Sul finire del  1983, Mia Martini, decide di ritirarsi dalle scene, a causa delle dicerie sorte circa dieci anni prima e divenute insistenti proprio nei primi anni '80, che legavano la sua fama ad eventi negativi. La stessa Mia Martini, anni dopo, dichiarò in merito a quel periodo che le marchiò l'anima per tutto il resto della sua tormentata esistenza. 
"La mia vita era diventata impossibile. Qualsiasi cosa facessi era destinata a non avere alcun riscontro e tutte le porte mi si chiudevano in faccia. C'era gente che aveva paura di me, che per esempio rifiutava di partecipare a manifestazioni nelle quali avrei dovuto esserci anch'io. Mi ricordo che un manager mi scongiurò di non partecipare a un festival, perché con me nessuna casa discografica avrebbe mandato i propri artisti. Eravamo ormai arrivati all'assurdo, per cui decisi di ritirarmi". (Mia)
Troppo cara     la felicità 
per la mia      ingenuità



   Mia sceglie
la campagna umbra per sopperire alle notevoli difficoltà economiche e riprendersi dopo episodi singolari per non dire assurdi che suo malgrado l'hanno vista soggetto attivo. Tutte paranoie da menti malate che non vale la pena neppure ricordare, pur sapendone la ferocia di quelle parole intrise di male banale. Impresari, discografici, colleghi, molti di loro sogghignavano con alterigia partecipando a quel gioco circolare di calunnie dettagliate, realizzate a regola d'arte, come si usa dire. Certuni si dimostrano persino impauriti solo a incrociare lo sguardo bello di Mia Martini, fra questi Patty Pravo e Fred Bongusto, una povera donna marchiata a vita come dispensatrice di sciagure e calamità. Per un artista equivale alla morte civile, come anche per qualsiasi persona. Diceva di se stessa. "Meglio essere sospettati di essere malati di Aids, fai le analisi e dimostri che non è vero. Ma se dicono che porto sfortuna che faccio? Una tac?", ironizza amaramente la cantante.

Patty e Fred scappavano
 appena vedevano Mia
Continua
ad esibirsi
in località di provincia, accompagnata da gruppi non sempre all'altezza della sua professionalità, ad onor del vero e questo non le gioca a suo favore. La chiamano “la solitudine degli artisti”. Il poeta e scrittore Samuel Johnson scrisse in proposito che: "Molto spesso la stupidità di una persona, è la stupidità di molti altre persone".
A metà anni ‘80, la casa discografica DDD, prova un ulteriore ed ultimo tentativo per rilanciare la carriera di Mia Martini partecipa al Festival di Sanremo con “Spaccami il cuore”, un pezzo scritto da Paolo Conte, che però viene scartato, pensate voi, addirittura alle selezioni, come ennesimo episodio di ostracismo verso Mia.
Il brano viene comunque stampato su 45 giri, ma in poche migliaia di copie. Sul retro, un'altra composizione della stessa Mimì intitolata Lucy, in cui emerge il contrasto tra il Sole e la Luna intesi nel significato simbolico che assumono all'interno dei Tarocchi, vecchia passione dell'artista calabra e anche per questo giudicata strana. Nel 1978 partecipò al programma Stryx di Enzo Trapani, presentando il brano "Bene con look" da strega e sullo sfondo di un rogo in fiamme, per rispondere alle maldicenze sul suo conto. Un vero stato continuo di accuse pazze come solo nell'ambiente dello spettacolo possono avvenire. Quando la stupidità umana travalica il possibile, accadono cose davvero inquietanti, per quanto orribili.
L'Ivano geloso

I rapporti con il suo grande amore Ivano Fossati, si complicano rovinosamente. In seguito a questo sfuma una sospirata collaborazione con Pino Daniele che prevedeva la realizzazione di un intero album.
La stessa Mia ricorderà così quell'episodio: “Era iniziato su basi sanguinolente e catastrofiche il rapporto con Ivano. E avevo il mio bel da fare con questo campo minato. Avevo un contratto con un’altra casa discografica e ho dovuto romperlo a causa sua. Perché era geloso, dei dirigenti, dei musicisti, di tutti. Ma soprattutto era geloso di me come cantante. Diceva che mi voleva come donna, ma non era vero perché infatti non ha voluto nemmeno un figlio da me e la prova d’amore era abbandonare del tutto anche la sola idea di cantare e distruggere Mia Martini. Io ero combattuta, non riuscivo a farlo. Il fatto che ci fossero tutti quei debiti da pagare era il mio alibi per non smettere.

Al mondo nulla è più pericoloso di un'ignoranza
sincera ed una stupidità furba


Ma quando si è opposto violentemente alla collaborazione con Pino Daniele, alla quale tenevo moltissimo, per un album che dovevo fare, questa lotta tra me donna e Mia Martini è diventata una cosa feroce. E infatti quando sono andata in sala registrazione per incidere il disco, senza Pino Daniele, mi è andata via la voce. Mi sono ritrovata con le corde vocali imprigionate in una spessa membrana formata da noduli".
Pare che sia una cosa rarissima. Ci sono voluti due interventi chirurgici successivamente. Mia rimase muta per un anno, rifiutaa ogni tipo di rapporto, con la sorella Loredana non si potevano vedere più in quel periodo e non si sapeva se avrebbe potuto tornare a cantare, andare in tournè, in breve stava saltando tutto quell0 che in tanti anni aveva realizzato. L'ombra della depressione si stava stagliando sopra Mia. Poi ha ricominciato, ma con grande fatica. Fu enorme lo sforzo per rimettere tutto in carreggiata, e lei era sempre sola. Anche il suo manager trovò l'astuzia per fargli fuori 50 milioni per una causa che gli aveva fatto e che però si è poi saputa, dopo morta, ch'era innocente. 
Il canto     alla Luna
Passa alla RTIMusic, con cui termina di incidere il nuovo album: “La musica che mi gira intorno”. La Martini rilegge con grande forza interpretativa quelle canzoni che molti dei suoi autori preferiti avrebbero scritto in un momento di grande amore, o di grande fragilità, a prescindere dal loro impegno politico sociale: De André (Hotel Supramonte), De Gregori (Mimì sarà), Zucchero (Diamante), Vasco (Dillo alla luna), Dalla (Stella di mare) i "Bennato" ("Tutto sbagliato baby"), e naturalmente Fossati con ben tre pezzi ("La canzone popolare", "I treni a vapore", e "La musica che gira intorno", su cui gioca il titolo dell'album). A confezionare il tutto un inedito di uno dei suoi artisti più apprezzati, "Viva l'amore" di Mimmo Cavallo che è anche il brano trainante del disco e destinato a diventare il suo ultimo successo in vita. Sempre con Mimmo Cavallo farà la sua ultima tournèe in giro per le piazze d'Italia e rimase fino alla fine un grande amico di Mimì.
Mia, non finisce
mica il cielo!
"La musica che mi gira intorno" era solo il primo di una serie di progetti improntati alla rilettura di vari autori e generi musicali, che l'artista non ha avuto il tempo di realizzare: dai classici napoletani (un disco che si sarebbe dovuto chiamare Napoli Mia) a quelli più moderni di Pino Daniele (autore da lei amatissimo, che aveva volutamente tralasciato nell'ultimo album per dedicargli un capitolo discografico a sé), fino al tributo a Tom Waits
Organizza al Ciak di Milano due concerti-evento con musicisti di prim'ordine. Mia Martini ripercorre le tappe più importanti della sua crescita musicale attraverso le reinterpretazioni di autori a lei cari: Lennon, Kate Bush, Randy Newman, Vinicius de Moraes, Fabrizio De André, Francesco De Gregori e Luigi Tenco. Ai cori di un brano piuttosto emblematico come Big yellow taxi di Joni Mitchell partecipano anche Loredana Berté, Ivano Fossati, Cristiano De André, e l'amica di sempre Aida Cooper, cantante di grande talento. Nel marzo del 1995, due mesi prima della sua morte, Mia Martini annuncia al suo fan club "Chez Mimì", di voler realizzare un album dedicato completamente alla luna, "Canto alla luna" (brano del 1978 scritto per lei da Fossati e pubblicato nell'album "Danza").
Mina      e Mia
"Almeno tu nell'universo" è la canzone che la consacra in assoluto una delle più belle e forse la più riuscita della sua complessa ma irripetibile carriera: "Erano sette anni che non potevo più fare il mio lavoro, per cui ho avuto dei momenti di grande depressione. E in quel momento ho sentito fisicamente questo abbraccio totale di tutto il pubblico, l'ho sentito proprio sulla pelle. Ed è stato un attimo indimenticabile".
Con la sua voce dal timbro ben riconoscibile, per potenza e impatto emotivo, cantò quella canzone come si chiede perdono col cuore. Per il 1996 era prevista anche una collaborazione con Mina, che Mia Martini ha definito "la più grande cantante italiana". Anche Mina era legata a Mia. Il loro rapporto d'amicizia e stima. Sarà proprio Mina, a pochi mesi dalla scomparsa della collega, la prima cantante a dedicarle un omaggio discografico nell'album "Pappa di latte" e che su Youtube hanno bannati tutti i link, dove è inserita una sua personale versione di "Almeno tu nell'universo". Ma qualche link gli è sfuggito. Censura quasi totale e adesso ancora meno.
Caso      archiviato
Da mesi la cantante soffriva per un tumore, per questo motivo doveva assumere farmaci. Il 14 maggio 1995, dopo giorni di silenzio, il suo corpo senza vita viene ritrovato nell'appartamento in Via Liguria 2 a Varese dove si era trasferita da un mese per essere più vicina al padre con il quale si era riconciliata e che non vedeva da 40 anni. La Procura di Busto Arsizio aprì un'inchiesta e dispose l'autopsia. Secondo il referto del medico legale, la morte dell’artista è avvenuta per un arresto cardiaco, causato da un'overdose di stupefacenti. Il 17 maggio il corpo fu cremato e successivamente il caso fu archiviato.
"Maledetta sfortuna"
Probabilmente la "sfortuna" potrebbe anche essere considerata un atteggiamento dei soggetti. Ovvero uno status mentale e/o comportamenti quali, valutazioni superficiali, scarsa attenzione per l'ambiente circostante, errata percezione di fenomeni o un modus operandi inadeguato per una certa circostanza, tale da aumentare di molto la probabilità che un evento negativo si verifichi.
Ad esempio, "passare sotto una scala" non porta sfortuna di per se, ma rispetto al passare lontano da essa, aumenta la possibilità che cada in testa allo "sfortunato" passante, qualche oggetto, specialmente se è distratto. Ai suoi funerali, il 15 maggio a Busto Arsizio, presero parte centinaia di suoi fan, addirittura quattromila persone, tra cui un buon numero di persone dello spettacolo e colleghi del panorama musicale, molti tra questi in vita ne hanno dette di tutti i colori della calabrotta doc. La sua bara era coperta da una bandiera del Napoli, la squadra per cui faceva il tifo. La salma venne cremata, secondo il desiderio dell'artista. Per volontà del padre, invece, le sue ceneri si trovano nel cimitero di Cavaria con Premezzo. Riposa nella tomba coi nonni. E ora riposa anche la tristezza, cara Mia. 

domenica 6 maggio 2012

Frontman-urban-system K@Haring

I "Radiant

babies" di Haring

di Matteo Tassinari

E’ il 1980. Metropolitana di New York, con 486 stazioni operative e i suoi 370 chilometri di tracciato. Milioni di passeggeri, clochard e tutto il consorzio umano che popola le "metro" di tutto il mondo. Rotaie di ferrovie sotterranee. Muri e treni colorati da Graffiti Creator e Design Hoppers. Intonaci blu, verdi con figure arcane, audaci, surreali, i writing non si fanno certo scappare questi squallidi spazi urbani da riempire con l'euforia del colore. Ogni writer, qualsiasi sia la sua inclinazione e provenienza, ricerca e studia un'evoluzione personale, per arrivare ad uno stile proprio in modo tale da distinguersi dagli altri.
NY GraFFiti ArTist For HiRe
Spray, gessetti, solventi 

Un giovane occhialuto e dinoccolato e un basco grigio in testa, disegna con un gessetto bianco, vecchi pannelli e setole lift o right che ricoprono vecchi manifesti pubblicitari. E di li parte con figure di uomini contenti, lo si capisce dalle radiazioni che emanano, sono gli uomini radianti di Keith Haring. La gente lo guarda stupita dalla velocità dell'esecuzione artistica di quel giovane armato di bombolette spray fino ai denti e garze assorbenti per le sfumature.
Aveva capito già tutto

Deve finire in fretta, prima che arrivi la polizia, ma spesso non riesce a scappare in tempo, così sono ore di comando per poi uscire all'alba del giorno dopo solo per colorare pezzi di cemento grigi e segnati dall'incuria umana e temporale. Ha passato molte notti in numerosi distretti di polizia. Ha preso molte botte. Ma ha disegnato anche molti dischi volanti, bambini che camminano a carponi, cani a sei zampe, il volto di un topolino, cingolati stilizzati, sottomarini in mari d'acqua rossa, alberi caduti dal cielo, virgole in produzione spray, una creatività murales che partiva dall'osservazione continua di come il nostro ambiente prendeva le pieghe che gli si dava con la propria fantasia. "Il movimento dell'immancanza", con la Philosophy della Pop Art.
Keith Haring insieme ad Andy Warhol
"Se non prenderò l’Aids io non lo prenderà nessuno” 
Questi, sono i segni che compongono la "geroglificità" di Keith Haring, l’artista americano ucciso dall’Aids a 32 anni. Lui stesso ammise di essersi divertito molto nella sua vita, ma anche di aver “vissuto a New York negli anni del culmine della promiscuità sessuale. Se non prenderò l’Aids io, non la prenderà nessuno” disse in occasione dell’apertura del suo Pop Shop a Tokyo.
Purtroppo aveva ragione e pochi mesi dopo dichiarò di aver contratto l’Aids e fondò la Keith Haring Foundation a favore dei bambini affetti dal virus dell’Hiv. Oggi si trovano moltissimi gadget con i disegni di Keith Haring (ovviamente riproduzioni a basso costo). Quand’ero piccolo pensavo che sarei morto giovane. Così ho praticamente vissuto come se me lo aspettassi. Ora lo so. Ho fatto tutto quello che volevo. Lo sto ancora facendo”. (Keith Haring). È il 1989 e un anno dopo, il 16 febbraio del 1990 si congeda dal mondo.
 


Figure infantili X
un nuovo linguaggio



 La     tela m’inibisce
La sua storia inizia nell’America borghese della Pennsylvania, l’indole timida di un nerd dell’epoca, influenzata da Beatles, Led Zeppelin e dai fumetti che il padre gli passava. Le mostre metropolitane, le pareti delle nostre città, gli ospedali, sono state le sue tele “La tela come materiale in sé è meravigliosa. È robusta, può essere venduta e in un certo senso è duratura. Ma m'inibisce" diceva Keith. L’inibizione nei confronti di un tempo e di uno spazio che non era mai riuscito a fare propri fino in fondo e che lo hanno portato a manifestare le sue idee per mezzo di figure stilizzate, infantili, primordiali e con esse la creazione inconsapevole di un nuovo linguaggio urbano. Questo è stato Keith Haring, riferimento di ogni graffittaro dell'urban system metropolitan museum of road.
School of Visual Arts
of New York
Destinato a diventare uno dei maggiori esponenti e rappresentativi della corrente neo-pop, Haring nasce in Pennsylvania nel 1958. Inizia a lavorare per le strade di New York negli anni ottanta, quando l’espansione e la passione per l'arte contemporanea trova il suo apiceFiglio della cultura di strada, parto felice della cosiddetta Street Art Newyorker, prima della sua consacrazione all'interno del mondo “ufficiale” dell’arte mondiale. Nel 1978 entra alla , diventando noto nei primi anni '80 con i Murales realizzati nelle metropolitane e, più tardi, con i lavori esposti qua e là, fra Club e assembramenti di vario genere e vernissage più o meno improvvisati inzuppati d'alcol e coca.
 Tributo a Keith Haring

Finestra

sull'    immaginario

Il significato della storia artistica di Haring, si snoda nell'offrire finestre sull’immaginario personale e collettivo. Personaggi e paesaggi arrivati dal sogno, così affascinanti che alcuni collezionisti li hanno strappati a mani nude e rubati, notte-tempo, dai metrò o dalla Suburbia delle periferie del mondo, Londa, Berlino, New York, Mosca, Los Angeles. Viaggiatore esistenziale ed artistico, Haring, trova le sue radici artistiche proprio nel surrealismo europeo.


*Post on line*

Una mia amica, mi ha ricordato che di Keith Haring c'è traccia, eccome, anche in Italia. Nel muro della stazione "Leopolda" di Pisa, decine di artisti italiani, ricordarono Keith disegnando un Murales che riporto qui sotto linkatomi da Amelya. Da ricordare, inoltre, che Keith Haring scelse Pisa per disegnare nel 1989 "Tuttomondo", opera di 180 metri quadrati e ultimo capolavoro prima della sua morte. Per questo Pisa lo ricorda e ringrazia il più talentuoso graffettista.
Il Murales disegnato da numerosi artisti a Pisa dedicato a Keith Haring
Riconoscibile
ovunque
L’intreccio fra sessualità e macchine, evidenziano un aspetto della più vasta tematica del repertorio di Haring, e intuisce come la Tv e il computer, s’intrecceranno fra esseri umani come quasi fossero diventati un prolungamento della nostra vita quotidiana. E’ una visione apocalittica che vede l’individuo, come vittima delle macchine. Lo accoglie, ti pareva, sotto la sua ala protettiva Andy Warhol, il guru della Pop Art. Haring viene introdotto così e forse rovinato per un breve periodo a fenomeno di massa, come voleva il mecenate dai capelli grigi a caschetto stile spaghetti e di origini slovacche, nel mondo della Pop Art di New York.
Conosce gli esponenti più singolari del graffittismo di frontiera, le linee di demarcazione, emergendo dalla scena artistica newyorkese durante il boom del mercato dell'arte dei primissimi anni ’80, avvicinato da artisti del livello di Michel Basquiat, Richard Hambleton, Julian Schnabel e Barbara Kruger. Anche Google, a 54 anni dalla sua nascita, lo celebra con un caratteristico doodle, per ricordare uno degli artisti più originali e interessanti del ‘900. Il ragazzo gracile e occhialuto diventa una star.
Attraversa l’Oceano con linee aeree e inizia a colorare i muri d’Europa, chiunque lo chiami. Espone alla Biennale di Venezia, dipinge un pezzo del Muro di Berlino, collabora con i più grandi nomi della moda e del design. Sbarca per due volte anche in Italia: decora le pareti del negozio Fiorucci a Milano, e poi dipinge un murale permanente sull'esterno della chiesa di Sant'Antonio a Pisa, realizzando il sogno di lasciare una sua opera in una città d’arte italiana. Porta i suoi murales in tutto il mondo colorando i muri di Tokio, Sidney, Melbourne e Rio de Janeiro. Apre anche una serie di negozi in cui vende t-shirt, calamite, poster con i suoi quadri.
Radiant Babies

Nel 1982 allestisce la prima mostra personale, a cui seguono una serie di successi internazionali. Partecipa a prestigiose mostre collettive e alla fine del 1983 allestisce personali nei punti nevralgici della Pop-Art. Qui intraprende un viaggio nella scultura, costruisce totem che ricordano gli antichi rituali degli indiani, ma ricordano sempre il diritto al disordine e al caos. Occupa inoltre un palazzo in Times Square realizzando la mostra Times Square Show.

Nel 1985 decide di riprendere la sua attività di grafettista all’aperto, attraverso la realizzazione di Murales come nella tradizione messicana, un ritorno alle origini di ciò che consacrò il suo successo. Fino ad una pittura con soggetti politici, religiosi o etnici. Dipinge nel centro di Manhattan shop Central, un muro lungo 15 metri alto 2, un plot semiotico contro il Crack, la droga che uccide in 3 o 4 mesi, intitolato dall'artista stesso semplicemente: “Crack is wack”, tradotto, “Il crack è una porcheria”. A partire da queste operazioni legate alla cronaca, Haring, adotta il metodo "Murales" per denunciare la seduzione del male e sottolineare il suo impegno personale nel sociale. Da qui inizia ad essere tempestato di commende di lavoro per amministrazioni comunali come Boston e San Francisco. Parallela alla produzione dei Murales viaggia anche il pittore, sesso e visionarietà ricordano i dipinti di Hieronymus Bosch.
Secondo Stephane Cosman Connery, noto e temuto gallerista di New York ma nelle mani di Christie, società americana internazionale che offre aste d'arte nata nel 1766 e acerrima, quanto spregiudicata rivale del suo equivalente europeo, la casa d'asta londinese Sothebys. Era un artista nel senso pieno del termine, figlio della cultura dei fumetti ma anche di quella dei Maya e delle civiltà precolombiane, dei pittogrammi giapponesi e di Picasso, di cui assorbe la rivoluzionaria lezione grafica. Oggi quasi tutti riconoscono il tratto di Keith, pochi sanno che, come il flash di una Canon32, Haring ha impresso lo stato dell’arte. Robert Hughes ha visto purtroppo avverarsi la sua profezia. Ma ignorando l’artista ha commesso l’imperdonabile errore di non capire di avere davanti un eccezionale testimone del suo tempo, il cantastorie di una dramma che ha sbranato una genia intera, tra aids, droga e alcol. Un battitore libero di grande livello che non deve mica piacere a tutti. L’importante è che ci aiuti, anche con un semplice segno, a capire ciò che ci gravita attorno. Keith Haring, il bambino radioso, l'ha fatto.
Cani latranti

Nel 1986
apre il primo
Pop shop personal a New York, dove il pubblico può acquistare gadget e guardare l'artista al lavoro e comprare produzioni dell'artista quotatissimo già da vivo, cosa che accade, come saprete, raramente, soprattutto con gli artisti nati e arrivati dalla strada, come l'amico Basquiat ennesima riprova del colpo di genio.
L’artista contribuisce con tutta la sua energia, la sua sincerità e la più grande modestia, per  scartare durante il lavoro i vecchi cliché che gli vengono facilmente sotto mano e possono soffocare il fiorellino che, già di per sé, non viene mai così come lo si attende. Ormai giunto all’apice del successo, nel 1986, in un’intervista al Rolling Stone American dice pubblicamente di essere in stato di Aids conclamato. Morirà due anni dopo, all’età di trentadue anni il 16 febbraio 1990. I suoi "Radiant babies" (meglio conosciuti come gli omini che irradiano) e i "Barkings dogs" (cani che latrano), immersi in un flusso grafico che ha dato vita a un linguaggio visuale inedito e inconfondibile, e che colorano tutt’oggi spazi ad alto contenuto artistico e pubblico in molte città del mondo, Londra, Mosca, Berlino, New York.

Le opere di Haring
rappresentano un pezzo di storia: la colorata e frenetica America degli anni ‘70-‘80, a cui tutto il mondo guardava con ammirazione. Con lui l'arte esce dalle gallerie e invade la strada, come mai era successo prima. Egli era molto più di un bravo writer o un fantasioso decoratore. Nelle caverne della metropolitana di New York alla fine degli Anni 70 la gente impazziva per i suoi omini senza sapere chi li facesse. Haring è un "maestro Manzi" dell'underground.

Il Peter Pan dell’arte
Era un artista nel senso pieno del termine, figlio della cultura dei fumetti ma anche di quella dei Maya e delle civiltà precolombiane, dei pittogrammi giapponesi e di Picasso, di cui assorbe la rivoluzionaria lezione grafica. Che poi, al posto di tela e pennello, utilizzasse le bombolette spray e tutto il materiale utile e le pareti dei palazzi poco importa. Come un Peter Pan dell’arte, la sua è una scelta di leggerezza, un disimpegno rispetto alla tradizione nobile dell'arte, che consente alle sue immagini "di essere comunicative in modo universale".
"L'arte è     di tutti"
Opere d'arti per il gusto di chi ha fame d'immagini: “Mi è sempre più chiaro che l'arte non è un'attività elitaria riservata all'apprezzamento di pochi. L'arte è per tutti e questo è il fine a cui voglio lavorare”. (Keith Haring)
Crack is    Wack
Nelle opere di Haring, infatti, non troviamo solo omini pop che sembrano muoversi e danzare, ma anche messaggi precisi contro i problemi che in quei fervidi anni Ottanta colpivano le generazioni di tutto il mondo: droga, AIDS e omosessualità vissuta in modo sbagliato. Ricordo, tra i suoi graffiti più conosciuti: i bambini che si prendono per mano sul muro di berlino e la scritta "Crack is Wack" su una parete sulla East Harlem Drive, nel quartiere di Harlem, dove la droga rappresentava una vera e propria piaga. Dove la prostituzione anche minorile regna sovrana e l'aids ammazza al passo della mattanza. Nelle opere di Haring, chi riesce a vedere i malesseri di questi anni così banali, come gli anni '80, coglie il segno della suo messaggio.