Notti notturne

domenica 29 luglio 2012

Vincibili miti del rock and blues

Keith Richards sopravvissuto alla "maledizione" del 27esimo anno


Il club del 27° anno
         di Matteo Tassinari
Dopo una generazione
di rockstar salutiste, atleticamente orientate alla cyclette e al succo di carota, cinicamente dedite al ricambio del sangue e alla camera iperbarica, proletariamente impegnate a metter su famiglia e santificare la patria, e dunque destinate a durare, anche artisticamente, fino alla vecchiaia, con l'insano exploit di Kurt Cobain, torna alla ribalta il musicista disperato e autolesionista (ammesso che se ne sia mai andato) candidato a fine prematura. Non è certo il caso di Keith Richards, che non è soggetto dedito a metter su famiglia, quindi lontano anni luce dalla buona creanza.
Marlon Brando
Ho sniffato le ceneri di suo padre
In un'intervista recente confida, con attorialità Burlesque consumata e pause attoriali da Marlon Brando, ad un giornalista del NewYorker, che una notte non seppe trattenersi dal mescolare gargantuesche dosi di cocaina alle ceneri di suo padre cremato per poi tirare la miscela spuria su per le narici da rocker, cioè quando tutti te la regalano e non devi sbatterti per trovarla e neppure pagarla, che è costosa, ma per lui, neppure questo diverrebbe un a sciarada. Si, un tiro di coca misto al "babbo" in polvere poggiato su di un mobile e sigillato in una scatoletta tutta argentata e damascata. Un’idea eccentrica quanto balzana se non inquietante.
"Se non si conosce il blues è inutile prendere la chitarra e suonare
rock and roll o qualsiasi altra forma di musica popolare". (Keith Richards)
bla, rock, bla, rock... 
Salvo poi, il giorno dopo, epperò, rivelare allo stesso giornalista e alle principali agenzie stampa del globo, che aveva coscientemente raccontato una balla e che il babbo stava riposando in pace. Il fatto innescò il solito gossip macabro e repellente, quel bla, bla, bla dark infinito su riviste, canali privati e pubblici, radio, siti internet, blog, network, su come, il malvagio Keith, in quest’arte, non sia secondo a nessuno. Anche se Jhon Viellonis, bassista caraibico di Patty Smith, non gli fu molto lontano quando, per scommessa, tracannò 3 litri di whisky nell'arco di 2 ore. Lui ci riuscì, ma il suo fegato cominciò a friggere e fumare fino a procurargli una massiccia emorragia che lo invase per 2 mesi in coma farmacologico, per poi riprendersi e darsi al Buddismo e morire in pace di cirrosi epatica. Noi possiamo chiudere col passato, ma è lui che non chiuderà mai con noi.
Sid Vicious

Nancy e Syd



Quando nel 1978 i Sex Pistols si sciolgono, Sid si trasferisce a New York con Nancy e tenta una breve carriera solista insieme alla ragazza. Tutto, pero’, cambia il 12 ottobre 1978, giorno dopo una festa organizzata da Sid, quando viene ritrovata Nancy assassinata. Lui si dichiara innocente e a nulla valgono le testimonianze di alcuni partecipanti alla festa che avevano visto Nancy insieme a una persona sospetta mentre Sid, invece, era sempre stato sotto gli occhi di tutti. Vicious viene arrestato, accusato di omicidio, e incarcerato.
Uscirà di prigione qualche mese dopo, ma il suo destino è segnato. Pochi giorni dopo la scarcerazione, il 2 febbraio 1979, infatti, viene organizzata una festa per celebrare la sua libertà. Qui Sid, disintossicato in carcere, assume dell’eroina troppo pura e il giorno dopo viene ritrovato morto accanto alla nuova ragazza, Michelle Robinson, che dorme accanto a lui. Si dice che le ultime volontà del musicista siano state quelle di esser sepolto di fianco a Nancy Laura Spungen (27 febbraio 1958 - 12 ottobre 1978) sua ex fidanzata con addosso i suoi jeans, la sua giacca di pelle e i suoi anfibi.
Gli anni d'oro di Bowie, ossia sempre. In vita

Vali più da morto
Un mio amico, critico musicale, li ha definiti i "Grandi morti". Personaggi dedite alla cultura dell'annichilimento, viziosamente operosa nel rock e non a favore degli artisti, affatto, a tutto vantaggio della Major e dell'industria del malefico "Show@biz", che stritola le ugole e a mani basse raccoglie denaro come foglie piovute da chi ha scambiato la proprio anima con un successo ingestibile che ricorda un film uscito nel 2009 e "riuscitissimo" come "I love radio rock".

  Ingenuità   adolescenziale
Nonostante l'Inghilterra sia nel pieno della Swinging London, Radio censurate a priori, la BBC Radio che trasmette soltanto 45 minuti di musica leggera al giorno, deludendo le aspettative soprattutto dei più giovani, i quali sopperiscono a questa mancanza sintonizzandosi sulle radio pirata che trasmettono musica pop and rock: Who, Stones, Jimi Hendrix, Dusty Springfield, Procol Harum, in linea col disordine creativo. Per questo oceano di grandezze non commisurate alle ingenuità adolescenziale, è comprensibile capire perché si siano dimostrate, alla lunga, più redditizie da autore morto che da vivo. 
Amy Winehouse

 Amy Winehouse
     Molti, ad esempio
hanno scoperto la voce blues di Amy Winehouse solo dopo la sua morte e le Major parlano di una vendita triplicata dei suoi titoli. Coincidenze, certo. Ma anche inevitabile gusti macabri condensati di riti e credenze esotiche e misteriose, che alla fine sono tutte palle. Ma di coincidenze messe una in fila all'altra, in fondo, sono fatti anche i miti di cui si parla senza sapere un briciolo di storia dei “miti”, parola odiosa se rivolta ad un umano. E questo, quello del "Club del 27", è un mito nero, pur essendo bianca, della storia della musica. Amy Winehouse avrebbe compiuto 28 anni a settembre, ma la trovarono morta a luglio a 27 anni. Un'età che nel Rock è come uno spartiacque, un crinale, un dorsale da superare o no.  
        
Kurt Cobain

Dubbi e disprezzata gratitudine
Courtney Love
Perché a 27 anni è morto Kurt Cobain, il leader dei Nirvana e 27 ne aveva Jimi Hendrix, come Jim Morrison dei Doors e Brian Jones dei Rolling Stones, e la più acuta delle ugole, quella di Janis Joplin. Il batterista degli Who, Keith Moon (gli esperti dicono che dopo John Bonham dei "Led Zeppelin", Moon fosse il migliore al mondo nel suo strumento) come Iggy Pop disse di lui: "Nessuno ha saputo menare le percussioni come Keith". Sid Vicious dei Sex Pistols, Chet Baker e Dee Dee Ramone. Uno sfacelo di vite e di creatività autentica, di genio e talenti spezzati da droga, eccessi e Star system, la fabbrica delle virtù da cui estrapolare tanti dollari. Tutte morti in qualche modo entrate nel mito, giovani stroncati dai loro stessi sogni e da gente scaltra che su un piatto d'argento offriva di tutto a questi "bambini" strabordanti di attitudini. Prendete Brian Jones, polistrumentista e fondatore dei Rolling Stones, talento a tutto tondo, venne trovato morto alla mezzanotte del 3 luglio del 1969 sul fondale della sua piscina in Inghilterra.
Chiacchiere e fucili
Le chiacchiere nate dopo quel gesto estremo e che sia stato architettato da qualcuno della band, rimasero chiacchiere, ma non vennero mai neppure smentite. La fidanzata, Anna Wohlin, era convinta che fosse ancora vivo quando il suo corpo venne tolto dall'acqua. Kurt Cobain, invece, ebbe la buona creanza, seppur disperata, di scrivere ai suoi fans che per lui: "È meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente", dopo i dubbi di omicidio da parte della moglie Courtney Love, complice la figlia Francis Bean. Di certo il suo corpo venne trovato l'8 aprile 1994, con un fucile a pompa accanto. L'autopsia certificò che Cobain si era sparato in testa il 5 aprile, rendendosi irrintracciabile alla moglie, sulla quale i fan mirano non pochi dubbi e disprezzata gratitudine.
Brian Jones e Jimmy Hendrix, se non è storica questa foto,
allora solo quella della regina d'Inghilterra in mutande sarebbe più cool



Hendrix, non Oasis
Lo sapeva già Jimi Hendrix il 18 settembre al Samarkand Hotel a Londra: "Devi morire prima che si convincano che forse valevi qualcosa. Ti assicuri l'immortalità". Lui ce la fece a 27 anni. Lasciò scritto nella sua stanza: "Verrà un giorno che anche la guerra si inchinerà al suono di una chitarra". Secondo la classifica stilata nel 2011, dalla rivista Rolling Stone, è stato il più grande chitarrista di tutti i tempi, precedendo in questa speciale classifica, Eric Clapton e Jimmy Page dei Led Zeppelin. I locali dell'albergo risultano attualmente adibiti ad appartamenti privati, come una zona delineata. Overdose di barbiturici sentenziava il bollettino medico. Le dita, improvvisamente, presero fuoco insieme alla sua chitarra suonata coi denti, era Jimmy Hendrix, non gli Oasis. O chi dice che i 20 sono più belli a 40 che a venti, aforismi alla Roberto Gervaso, che vuoi o puoi pretendere?
      Irrompi dall'altra parte
Pochi giorni dopo, il 4 ottobre sempre del 1970, venne trovato il corpo senza vita di Janis Joplin, in un motel a Hollywood. Il referto medico parlò chiaro: "overdose di eroina". Il suo manager incassò i centomila dollari dell'assicurazione sulla vita. La rivista americana Rolling Stone la pone al 46º posto della lista dei 100 artisti più importanti della storia e al 28º della classifica del 2008 dei 100 cantanti più importanti di tutti i tempi. Venne Jim Morrison, trovato nella vasca da bagno della sua casa parigina di Rue de Beautreillis il 3 luglio 1971. Quella che vedete a destra, è la casa dove ha vissuto l'ultimo periodo della sua vita del Re Lucertola. La sua tomba, ora è al “Pere Lachaise”, non è lontana da quelle di Chopin e Oscar Wilde, Balzac e Bizet, è ancora oggi il macabro feticcio d'un culto che non accenna a sbiadire, l'oggetto di un pellegrinaggio macabro cominciato ben prima che Oliver Stone girasse il suo film, fans in cerca d’identità. Jim Morrison, leader dei Doors, fragile esibizionista con un progetto di vita “Break on through to the other side”, tradotto: “Irrompi dall'altra parte”, ripetuto fino all'ossessione e infine fottutamente a lui stesso onorato.


La maledizione J
Dopo la sua morte i giornalisti s’inventarono la'ennesima cazzata, la "Maledizione della J". Erano morti Janis Joplin, Brian Jones, Jimi Hendrix, e secondo loro c’erano troppe "Jei" in circolazione. Qualcosa voleva pur dire, secondo quelle menti con tanto tempo da perdere evidentemente. Quando la gente non sa che fare, ne inventa di cazzate, però. Si sprecarono le previsioni su John Lennon e Mick Jagger. Poi i Jethro Tull che continuano invece a flautare le magiche note vocali di Ian Anderson, la sorgente del Rock-Progressive. "L'esistenza", sosteneva Janis Joplin "è una bruciatura sul culo". Lei si lasciò ustionare fino alla carbonizzazione tra whisky, eroina, pillole, sesso e risse. Al cospetto di quella ragazzaccia, l'inutile e puerile fanciullo Vasco Rossi, teorico del nostrano pecoreccio e script altrettanto inutili stile "Vado al massimo", sarebbe inorridito in quanto pallido ragazzetto della via Gluck. Anche Janis, detta "Perla", se ne andò a 27 anni, iniettandosi una dose di eroina. Era il 1970. Ancora, tra i romantici maledetti, un posto d'onore spetta a Syd Barrett, leader dei primi acidi Pink Floyd, diventato pazzo a vent'anni per moltissime micro punte berlinesi e morto nel 2006, anche se 40 anni viveva solo con sua madre.
Syd Barrett fondatore dei Pink Floyd '70-'04




Oltre a Waters, il vuoto
Ispiratore, tra l'altro, della visionaria e megalomane opera "The Wall" di Alan Parker, musicata e composta dall'irraggiungibile Roger Waters, che andandosene dai Pink Floid ha dimostrato perché poi questi sono crollati in un mutismo spietato quanto rivelatore, che regala la nomination a Master del complesso più Cool della storia del Rock di questo mondo. Altro che David Gilmoure, al confronto di Waters, David è una fighetta con l'imene ancora intatto. Fra i due la rivalità, con lo scorrere degli anni, divenne ingestibile e lo scioglimento della formazione più ambita e imitata al mondo (altro che Beatles o Rolling Stone) fu la scelta più ponderata e desiderata dal gruppo, che si frammentò in due parti. Da una parte il grande Roger Waters, l'anima dell'insuperato e insuperabile, a mio avviso, gruppo e dall'altra Mason, Wright e Gilmoure. Vi garantisco col cuore in mano, quindi con i polsini della camicia imbrattata di sangue, che per gli appassionati della band stellare fu un vero dramma. Addirittura i fans, si mobilitarono affinché lo scioglimento non avesse compimento, ma gli attriti erano troppo violenti e la storia fantastica del Fluido Rosa terminò dopo poco dopo il capolavoro che porta la firma del regista Alan Parker e alle musiche Roger Waters, "The wall".
Il geniaccio dei Pink Floyd Roger Waters nel pieno del suo fervore


Mondo babelico


E Nico, voce dei Velvet Underground, musa del patetico Andy Warhol, ultima "femme fatale" che possiamo dire? Niente. Forse ricordare che prima di loro, una generazione come loro, s'era già bruciata la vita, i grandi del jazz. Il maestro, Charlie Parker, morto nel 1955 nell'appartamento newyorkese della baronessa Nica Rothschild stroncato da droghe e superalcolici, con l'ulcera e la cirrosi epatica in piena attività. E gli altri?
Billie Holiday
          Talenti     deistici 
Dexter Gordon, Fats Navarro, Wardell Grey, Billie Holiday, fino a Chet Baker, eterno ragazzo con la tromba, che forse un fegato non ce l'aveva neanche più da tanto tempo, quando trovò la sua “pace” da chissà quale piano di una finestra d'albergo ad Amsterdam nel 1988, cogliendo di sorpresa gli amici che, ormai, lo credevano indistruttibile. Che la storia si ripeta davvero? Kurt Cobain, purtroppo, non mancò all'appuntamento neanche lui. Anche lui nel pieno dei suoi 27 anni, come Jim Morrison, “Irruppe dall'altra parte del mondo”, tirando giù alla vita la saracinesca. Alla fine sono solo parole che hanno riempito la cultura di tanti giovani che ora non lo sono più, ma si divertono nel ricordare i talenti deistici del "club dei 27 anni". 

giovedì 19 luglio 2012

Paz, il tratto supremo

Andrea Pazienza (San Benedetto del Tronto23 maggio 1956
Montepulciano16 giugno 1988) fumettista e pittore italiano

*Il tratto      supremo*
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              di Matteo Tassinari

Andrea Pazienza
Andrea, irrazionale,
assoluto, supremo,
alla sua maniera dogmatico. Non si sa come avesse potuto aggiustarla la razionalità, od ottimizzare il suo Brand come direbbe oggi un pubblicitario del Web o un Copy di una casa editrice qualsiasi che si occupa di Cloud various Chemicals in the Atmosphere the Surface. Ma cos'ho scritto? Come lo stile di Andrea: senza filtri, senza difese, privo di protezione come un pargolo intuitivamente dotato. Anche la droga l'assumeva allo stesso ritmo della Santa Sangre e dell'intuizione, ossia con fragile arrendevolezza e gracile affaticamento vitale. Non cercava, nel suo profondo, quelle risposte che sembrava aver trovato. Lo dimostra la noia che provava per tutti quei collettivi sindacali, davvero pallosi quanto la forfora sul paltò, sull'occupazione di questa o quell'altra sezione del liceo o università. Per lui, questo, come per me, era tutto tempo perso, inutile, errabondo, pleonastico. In lui trovavi la dinamica del rischio, l'esagerazione, l'eccedenza, l'eccesso d'energia, la vitalità in sovrabbondanza da tutti i pori. Uno così, ma come cazzo viveva?! Non bene, non normalmente, almeno. Le cose pratiche non gli appartenevano. Gli sfuggivano come fa la repulsione col fascismo. Aveva quel minimo di praticità per poter sopravvivere, solo che in un mondo come questo, se segui la massima "la giovinezza e questo perenne amare i sensi e non pentirsi", il rischio è proprio quello in cui s'è imbattuto Andrea.
due tratti, un capolavoro

 Attenzione a non essere b/anali 
nella lettura. Per lui amare significava cogliere il carpe diem, afferrare tutto finché ce la fai, fino a scrivere le seguenti e ormai parole scolpite nella pietra per i cultori del Paz: "MI CHIAMO Andrea Michele Vincenzo Ciro Pazienza, disegno da quando avevo 18 mesi e so disegnare qualsiasi cosa in qualunque modo. Ho fatto il liceo artistico, una decina di personali e nel '74 sono divenuto socio di una galleria d'arte a Pescara. Dal '75 vivo a Bologna. Sono stato tesserato dal '71 al '73 ai marxisti-leninisti. Io sono il più bravo disegnatore vivente. Morirò il 6 gennaio 1984". Forse qualcosa di Andrea ci è sfuggito, in tutta la sua voracità nel darsi in pasto. In qualsiasi salsa e per qualsiasi viandante attratto dalla curiosità per le sue avventure, da Penthotal a Pompeo, da Zanardi a Fiabeschi, un'epopea mitologica di similitudine traslate. 
Pompeo

*Il Dandy più at-teso*
Andrea è sempre stato giovane, dovunque si trovasse, Tango, il Male, Frigidaire, Cannibale, nessuno lo prendeva sul serio, lo tradiva sempre la sua impunita e acerba leggerezza dalla mano felice. Non riusciva a fermarsi. Di notte capitava che s'alzasse per disegnare fino all'alba. Era un atleta della fantasia. Correva tanto con la testa e nelle sue bozze sparse, pur essendo amante della lentezza e delle comodità. Non si può sentenziare con un liquidante "Se l'è cercata" o "Se l'è voluta", a conti fatti sono i grandi che rimangono col piatto piangente.
Fashion   victim
Istintivo e
domestico, pronto a farsi attraversare da tutto come a cercar rifugio fra le sue mura di casa, Pazienza viveva la sua gioventù nel segno di Pan. L'eterno ragazzo, un compagno di scuola, il Dandy attentissimo alle mode del tempo (intesa come linguaggio) e alla cura del proprio corpo. Era una "Fashion-victim", sia per come si vestiva, con estro audace, mai banale, sia quando arrivava per disegnare una tela davanti a mille individui in modo snob e sfizioso, consapevole che non stava vedendo arachidi o lupini. Andrea mostrava arte, quell'invenzione avventurosa che ti prende al plesso solare per un "". I più bravi e fortunati, sono coloro che riusciranno, umilmente, ad allungare nella propria vita il più possibile quel "". Un programma smodato che Paz sintetizzava dicendo "E ringraziate che ci sono io, che sono una moltitudine".
Andrea in meditazione con la sua Katana, la spada Samurai
Giocoliere      sovvertitore
Un giocoliere magnetico della nostra esistenza, contemporaneamente lupo e Cappuccetto Rosso. Nato a San Menaio (FG), ha frequentato il Liceo Artistico di Pescara, rivelandosi subito un enfant prodige e forse il miglior chinaio al mondo. Come tutti gli artisti dei Gemelli, perché il Paz è del segno dei Gemelli, anche se sull'Astrologia gli cacherei sopra, era considerato un doppio. Dunque un sovvertitore del tratto capace di colpire laddove non si riusciva ad arrivare perché troppo profondo il questionar, per essere anche un lupo, ma che non lo si chiami fido!
Cuore di sbarbo
"Perché il freddo,
quello vero, sa essere qui, in fondo al suo (e mio) cuore di sbarbo". Del resto, Andrea, il più underground e visionario dei "fumettari", quello più avanti di tutti, con le antenne più irte di tutti i ribelli degli anni Settanta, che incontra sui banchi di scuola Jacques Prévert, poeta antiborghese, popolare e sperimentale infiltrato nel programmi scolastici, cos'altro poteva fare questo ragazzino così straripante di talento e di comunicativa? Povero Paz, non avevi proprio scelta.

L'incontro con Fellini
Sergio Staino, fondatore di "Tango" e di tant'altro, Maestro d'Ascia, è consapevole che il Paz filo viaggiasse su alte frequenze estetiche rispetto alla sensibilità dei già ottimi artisti di allora. Ma lui sempre sopra tutti. Ne intuì anche la fragilità, in qualche maniera, non dico aiutandolo, ma sicuramente favorendolo. Come nel cinema. Disse il Paz: "Fellini, lo incontrai a Cinecittà e dove sennò? Altro che vocina, quella era una vociona. 'Bona lè!'. In un attimo - racconta Andrea dell'incontro con Fellini - caddi nell'ammirazione totale, con un niente, rendendomene pure conto. Inspiegabile per le mie coronarie.

Per il resto, lui voleva un manifesto e mi difendeva con innumerevoli disegni spiegandosi. Io, facevo sempre cenno di si, con la testa, lui come un fiume in piena come un gorgo, continuava a dirmi qualcosa di fantastico per come me lo spiegava, ma capivo che non l'aveva bene in mente neppure lui e sperava in me che scappasse qualcosa di buono. Cercai - conclude il Paz - di non deluderlo in tutti i modi". So che Fellini pianse quando seppe che quel giovane spensierato, allegro e gaio, come il fuori classe Nik 900, morto a 23 anni per malformazione cardiaca mentre girava un film col Maestro. Ragazzi potenti e originali, come piacevano ad Effe Effe. Giovani che consumavano la combustibile per due persone, tanto era la furia interiore da narrare che dovevano domare in qualche misura per non scoppiare di tristezza. Costretti alla gloria, potrei anche scrivere. 
Andrea Pazienza da "La Prolisseide - tutti gli uomini importanti
che mi hanno conosciuto", in "Storie brevi". Fandango editore














Rivendico     la mia
assoluta       inaffidabilità
Rivendicava a pieno titolo, la sua completa inaffidabilità, senza che questo dovesse generare malcontenti. Lui in fondo era onesto, ammetteva, per natura, di non essere molto presente riguardo alla realtà e per non dispiacere agli altri avvertiva chiunque che non poteva prendere seriamente ciò che lui diceva o punteggiava: "Voglio rimarcare la mia assoluta inaffidabilità". Io dico che è molto meglio uno così, di uno\a che t'assicura di telefonarmi e io l'aspetto in ansia, magari stando male, senza alla fine aver ricevuto alcuna telefonata, con la complicità di decine di persone che per non mettersi nei casini dicono, "adesso non c'è", e giù la cornetta, come a chiudere un canale. Ne è nato un monito senza volerlo.




I  rivoluzionari     del borghetto


Ciò che più
affascina del Paz e che il Movimento politico dell'epoca sbraitava per le piazze, le strade, ma a lui non gliene fregava un beneamato cazzo, pur facendo sempre parte di quel habitat mentale: "erano smargiassi, sembrava sapessero tutto loro", diceva Andrea quasi scocciato, per poi rincarare la dose definendoli: "i rivoluzionari del borghetto". Uno che sentiva un profondo bisogno di affetto, e allo stesso tempo così spavaldo da passare per una persona volutamente antipatica. Ma non voleva, non prendeva distanze da nessuno, neanche dai benpensanti borghesi, non era stronzo in questo senso.
Anzi, se c'era chi bagnava di benzina lo straccetto nella bottiglia, preferiva prenderli per il culo nelle sue tavole. Uno che tremava "come le foglie in autunno" ma non riusciva a non andare controcorrente proprio là, nel suo ambiente, con i suoi amici, Precisava: "Prima di fare fumetti, dipingevo quadri di denuncia. Erano tempi nei quali non potevo prescindere dal fare questo o quello per questioni economiche, nel senso che non potevo scegliermi quale lavoro fare. Per vivere facevo un pò quel che capitava, sempre attingendo dalla mia sorgente. Venni a sapere che i miei quadri venivano comprati da farmacisti, commercianti, dentisti, che se li mettevano in camera da letto, alcuni anche nello studio di lavoro. Il fatto che il quadro continuasse a pulsare in quell'ambiente mi sembrava, oltre che una contraddizione, che però ci stava nel mio percorso. Da qui la necessità infinita di confondermi e nascondermi in essi".
Amava      tutto
imprevedibilmente
Non mi paragono al Maestro del tratto, sarei d'ammazzare al sol pensarlo, ma verifico che la storia si ripete in certe liste web-underground, dove si muore per delle idee ma di morte lenta, quasi impercettibile, dove chi scrive pensa d'essere difronte ad una platea, la più cool, di eterni militanti ripetitivi fino alla noia e fuori strada in direzione ostinata e refrattaria. Spesso le più incredibili stupidaggini, gli scambi distratti di battute negli angoli delle strade, i guizzi luminosi e casuali delle notti di Bologna, te li ritrovavi in una vignetta magnificamente trasformati in serpenti di vita.
Un   caos geniale e velocissimo,
un ritmo sfrenato che lasciava tutti indietro. Era il più depresso degli uomini, era il più felice degli uomini. Era un eroe senza macchia, la penna come una durlindana, ed era il più bastardo degli amici. Le distinzioni con Andrea reggevano poco. Ognuno per la sua strada, in fondo è meglio dirci ciao che non esserci mai incontrarti. "Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare un intera via crucis con una semplice stretta di mano o una visita ad un museo e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi e miliardi di parole d'amore", il Paz fa dire ad un Samurai vestito di kimono nero con cappuccio armato di Katana.
DA
SOTTOSCRIVERE!

"At du pal Paz!"
(Francesco Guccini)
Si sentiva  unito a quella gente. Innescò un rapporto privilegiato con Francesco Guccini, entrambi grandi affabulatori della parola imprevista e sbalordita dalla sua stessa velocità di risposta, rispettando i tempi d’una commedia shakesperiana già scritta, quasi imparata a memoria all'istante. Anche con Bonvi e De Maria legò particolarmente. Gli piaceva stuzzicare Francesco Guccini, disegnandolo come un omone imponente, ampio e claudicante, chiamandolo “Guccione”. Francesco un giorno si scocciò “che due palle…”. Una volta vennero alle mani, ma poi tornò quasi subito come prima, tutto accadeva dopo il Festival, dopo cena, la sera tardi, quando i fumi dell’alcol e non solo penso, avevano già cominciato a salire insieme ai limiti dello sfottò.                            
Un Bengala *detonato*
Infiammabile
come un petardo, Paz era capace di show improvvisati a se stesso, ma soprattutto memorabili. Per un senso di giustizia che sentiva o se volete per cavalleria o per puro gusto di teatrante qual'era. E' noto come Andrea si fece marchiare come pazzo piuttosto che fare il soldato e imbracciare un fucile, anche senza sparare a lui non piaceva. Evitò il servizio militare presentandosi alla caserma del Celio facendo il demente, matto. In quel periodo era anche attore, in "Cavalli si nasce" di Sergio Staino. Andò in caserma accompagnato da due suoi amici napoletani psichiatri. L'ufficiale medico gli faceva alcune domande di routine al Paz "demente" e lui rispondeva solamente: "Mammapapàsorellafratello", così per 10 volte. Al chè, l'ufficiale medico disse ai due psichiatri complici di Andrea: "Siate morbidi con quel ragazzo", come se con altri bisognasse essere duri. Certe cose non le capirò mai.
L'innocente monito di chi non accetta di dover cambiare se stessi per piacere agli altri ed essere accettato, dette in lirica "zanardiana"   
                     

Intervista al Paz
Sono      ciò
che     spendo
Come per    tutti, il tempo dei trentanni passa, e Paz li rimpiange tutti e con essi una stagione irripetibile del fumetto e pittura italiana. E' venuta meno l'ebbrezza che provava quando era al centro esatto delle esperienze più oltremodo di quel periodo fecondo, dal "Cannibale" a "Frigidaire", autore fra gli autori e soprattutto, il più dotato di una generazione di fumettisti che come padrone avevano solo la loro creatività, neanche il pubblico, il lettore, la loro genialità. Poi a quel livello non s'è più visto nessuno. Ribadisco, nessuno! Ora al "confino a Montepulciano" come lo definiva scherzosamente (ma non troppo, sapendo leggere tra le righe o capire il non detto per pura incapacità) in un'intervista a quel gagio di capelli che in quegli anni te lo ritrovavi dappertutto, saltare da interviste a Roger Waters (bassista dei Pink Floyd) al romagnolo Raul Casadei e la sua "Mazurka di periferia".
Andrea sul lungomare di san Menaio
Il suo      bronx
Il Paz soffre la mancanza del gruppo, della redazione, l'odore delle matite, della china, lo spirito in qualsiasi gradazione. Gli mancano anche gli sfondi metropolitani giovanili che l'avevano ispirato così felicemente. Gli mancava "il Bronx" che gli sarebbe ancora piaciuto vedere invece dei magnifici colli della Val di Chiana. Due dimensioni opposte. Era tutta questione legata allo spirito, alla quintessenza, al livello della misura dell'esistenza. In realtà, senza che neppure lui, il rabdomante dei mutamenti giovanili, se ne accorgesse, era cambiata un'epoca e non tutti erano pronti ad accettarlo. Continuo a dire che mutò un'epoca con troppa eroina.
       C'era paura del        terrorismo,
l'eroina inquinò parecchi quartieri e colpì i migliori, fino ad arrivare alle città centrali come Verona e Milano. Ho sempre pensato che un modo per schiacciare, ammaccare e umiliare queste nuove leve dello stato dell'arte ad un'altezza apogea, vertiginosa, non desse poi tanto fastidio una bella ondata d'eroina in tutto il Paese incasinato con i terroristi, per mettere fuori gioco chi rompeva i coglioni con la loro arte o creatività che alimentavano le voci dei movimenti giovanili, dei centri sociali che dettavano il "la" su cui gli artisti poi elaboravano, per dar vita a frasi del genere: "La realtà è sempre nuda, basta questo per capire che razza di zoccola è" oppure: "Il segreto della giovinezza è averci la mente porca", anche "Mai tornare indietro, neppure per prendere la rincorsa". Andrea s'era perso nella normalità e non accettandola, teso com'era a prosciugare il momento per sua natura, il carpe diem Omeriano, un Guest house di persone giuste, si complica tutto senza dar fastidio a nessuno, o a quei pochi che aveva rimasto, del proprio declino senza rompere i coglioni agli altri, in un modo o nell'altro si è superato spesso.
Un Zanna a 40anni visto da Duilio Cusani


Ogni tanto devo massacrarmi
Geniale rappresentazione di Luca Enoch

"Non ero     molto attento"
Paz è davvero    sperduto, quasi smarrito tra l'amenità dei colli toscani, seppur fantastici, ma si può piangere anche al carnevale di Rio, ma quasi tutti lo ignorano. Ammogliato, con due cani da portare a spasso. Vita sana, tiro con l'arco, casa, famiglia, una innocente cannetta, ma nell'idillio apparente c'è qualcosa che stona. Lui stesso appare convinto fino ad un certo punto della nuova condizione in cui si ritrovava: "Ora che vivo in campagna come un cretino non sono più depresso, come l'oblio, un ascoltarsi come un parlarsi" scrive nel testo che conclude il mistico "Pompeo" e sfido chiunque neghi che quel testo sia eccessivamente spirituale. C'era lui, solo lui, e lui quando schiattò, lo percepiva, come quando senti una pera salire troppo prepotente.
Betta sullo squalo
T'accorgi che nulla    ti è più in    mano,
tutto diventa improvvisamente sfilacciato. Quando capita, per festeggiare un'occasione, si faceva un pò d'eroina come ai primi tempi della feroce frequentazione con madam Medusa. "Ogni tanto mi devo massacrare consapevolmente e fiducia in me stesso e nella mia crudeltà", confida ad un suo caro amico. "Pompeo" straccia ogni squarcio interpretativo per la sua unicità narrativa e semantica, in quei primissimi anni quando si pensava di aver risolto tutti i nostri problemi perché avevamo scoperto l'eroina. Ci si chiudeva anche interi meriggi in casa con 3 grammi di coca in vena per uscire la sera, verso le 20, alla smaniosa ricerca di un pezzo d'eroina per placare il down e i calci e morsi del calo della cocaina, derivato che ti porta per mezz'ora dal sole alla luna, un gioco massacrante, che allora, 1979, ci faceva sentire i più fortunati e coraggio. Un bel traffico da gestire ci ritrovavamo. Anche se il Paz era dedito alle droghe che spegnevano, poca cocaina, molta eroina e cannabis. No, non era per le droghe veloci. A lui servivano calmanti, non eccitanti. Era veloce di natura, troppo "veloce".


In arrivo,    è l'incombenza
Il fatto d'uscire    indenne dai ritmi disastrosi in Bologna, e dai ripetuti collassi per overdose, procurati volontariamente o meno, più che un senso d'immortalità, finisce per alimentare un senso d'impunità. Sulle alture di Montepulciano cova lo spleen, la mancanza e il bisogno, regna l'indolimento. Andrea era sempre più instabile, e i suoi sentimenti di uomo, divennero ancora più fluidi se fosse ancora possibile, i suoi stati d'animo, lasciandosi toccare da tutto, facendosi piovere addosso e senza cercare riparo. Io, non ho mai avuto la fortuna di conoscere il Paz e per me è una grande mancanza, tuttavia, facevo le sue stesse cose, non artisticamente, ma nel privè, per cui come potevo scoprire il genio in contemporanea. Non ero molto attento alle avanguardie all'epoca. Offuscato com'ero, come potevo? L'eroina non ti ruba tutto, ti porta via l'anima e fai quello che vuole lei, banalmente detta.

Una     pernacchia
a     Focault? Massì
Non l’ho mai visto nei panni di una persona che aveva un progetto o un’utopia politica. Nel cuore e nella mente, aveva canali interrotti e che non li avrebbero certamente ricongiunti ne Michel Focault, tanto meno Ezra Pound. Anzi che stessero pure alla larga entrambi, lui li lasciava a fare a pugni sulla torre di comando, ridendo di loro assieme ai suonatori di Calipso mentre il cielo si sta allontanando. Tra le tante definizioni, è stato anche il "poeta dei tossici". Allora mi domando: come può uno che disegna poesia  e che poi finisce che piacciono ai tossici, ridurre ad un'analisi politica o concettuale un lavoro così difficile e orizzontale a tutto? E' evidente come un lampione acceso che è una contraddizione. Ora se c'è una cosa amara, desolante è proprio quella di capire all'ultimo momento che l'ipotesi giusta forse era un'altra. Lasciando sperare a chiunque di trovarla in ogni luogo questa ipotesi, senza affilare alcun sapere di cui si è in fallace o parziale possesso.
Le opere del Paz, sulle note di "Summertime", Janis Joplin 

I miei      amici,
quelli veri
A trovare nuovi  mezzi conoscitivi ed esplorativi attraverso le opere disegnato, era il migliore. Fino ad inventare forse solo ciò che la nostra, forse troppo fervida fantasia, ci porta a vedere nelle opere di Pazienza, quello che avveniva a tutto tondo, negli '70-'80. In chiusura penso alle molte altre vittime e interpreti di quegli anni, scomparsi uno ad una. C'era qualcosa che non non funzionava, l'apoteosi dell'autodistruzione ha sgasato, certo, ma è limitante all'atto "spiegativo". Tuttavia, qualcuno ne è saltato fuori indenne, altri no, altri ancora non si riesce a capire, barcollano. Non so, fra le quattro eventualità, chi abbia sofferto di più. Cesare Pavese scriveva: "Ogni vita è quella che doveva essere". Con questo vento che mi soffia sulla faccia dalla finestra appena dopo mezzanotte, rendo lode a chi ci ha preceduti in cielo a chi come pochi hanno rappresentato l’inquietudine e lo spirito che cavalcava gli anni ’70 e ’80. Paz, non ti sei perso gran che.
Tanta bella gente: Pazienza con Giovannini,
Napoli e Roda. Foto Coppitz, 1983

Il tempo degli occhiali

Il Paz era alla ricerca di un riparo dalle tensioni e da storiacce sfuggitegli di mano a Bologna. Per questi motivi era inseguito da se stesso, dall'ombra della morte dell'amico "gemello tossico" Stefano Tamburini, dalla percezione di non poter più sfidare se stesso divorandosi carne e creatività come ai tempi dei vent'anni, quando con Penthotal divenne la "rock" star del fumetto italiano, una stella rivoluzionaria. Era finito il tempo del giusto, di colui che il buon Dio perdona. Iniziava la stagione degli occhiali, il ritmo pesante delle malattie e degli acciacchi. Iniziava forse il ciclo della pesantezza delle vita, che ad alcuni può pesare, certamente, più che ad altri. E penso che Andrea fosse tra queste persone con le antenne irte.
Sciapò, Paz
Paz muore il 16 giugno del 1988, a 32 anni e il cielo si rabbuiò. Qualcuno d'irripetibile, ch'era riuscito - per davvero - a raccontare l'Italia dei giovani irrequieti e sognatori, quelli del Movimento del '77 e del terrorismo, del Dams, dell'università, dei mercatini all'aperto, di chi per strada ci viveva, illusi idealmente quanto utopisti per mestiere, disincantati per vocazione ed eroinomani per necessità. La ribellione di una generazione che, come scrisse Pier Vittorio Tondelli, non era stata capace di credere veramente in nulla "se non nella propria disperazione".