Notti notturne

mercoledì 23 aprile 2014

La notte che conoscemmo la Tv

Alfredo Rampi detto Alfredino, caduto in un pozzo artesiano
Un prato      al centro 
del mondo
Vermicino è un prato orizzontale bruciato dal sole e da un incubo verticale che spacca ogni pietà. Intorno al prato ci sono case sparse, il paese in lontananza, la statale che corre a Frascati e oscuri capannoni industriali che le fanno da contorno. Ma ciò che domina la sua superficie ordinaria non si vede a occhio nudo, ed è il peggiore dei ricordi. E’ un fantasma sepolto nel buio della terra. Un anfratto che nessuno sa della sua esistenza, un fantasma incastrato nel cunicolo di un pozzo artesiano largo appena poco più di 40 centimetri e profondo 16 metri all'inizio, fino poi a sprofondare, lentamente, a 61. La terra cedendo, inghiottiva Alfredino come fanno i serpenti.
Angelo Licheri mentre esce distrutto dal pozzo dopo aver tentato,
inutilmente, di raggiungere Alfredino: "Gli ho toccato le punta delle dita".
Vogliamo
sangre

         di Matteo Tassinari

Tra un mese, sarà il 33° anno passato da quella notte sciagurata di Vermicino. In quel pozzo, a un’ora precisa mai saputa, tra le due e le cinque del pomeriggio di giovedì 11 giugno 1981, Alfredo Rampi, di 6 anni, in visita dai nonni e che in quei giorni di sole respirava la sua nuova estate in sandaletti e canottiera a righe, esplorando tutti i liberi giocattoli del prato, i cespugli e le nuvole, i sassi e le lucertole, l’erba e l’aria, vi scivolò dentro per non uscirne mai più. Alfredo Rampi ha avuto una vita piccola e corta, felice, senza ombre, come la sua foto congelata negli archivi del tempo e dei giornali e nelle memorie. Paffuto, viso sorridente come tutti i bambini, odore di ciliegia, capelli pettinati, occhi vivaci. Un sorriso consolante, che improvvisamente si trasforma nel segno epocale e potente appartenente all'emozione secolare umana: la paura. La paura è l'effetto umano più potente, più forte dell’ignoto, dell'inesplorato.


Ci sono anche
i suoi amici
coetanei, con le facce assopite e incapaci di capire, serie, spalle mingherline e l’aria sbarazzina dei bambini al di sotto della prima decade, raccontano di Alfredino ai giornalisti impiccioni ma fondamentali. Su quelle spalle, incastrate prima a 16 metri di profondità, poi a 27, poi a 38, fino a sprofondare a 60 metri dentro il ventre del pianeta, un posto che mette claustrofobia al sol pensiero. Tra la gente accorsa da tutta Italia, s’è scatenata un groviglio di visioni, rumori e voci tremende da rasentare la follia immersi nell’impotenza. Le ambulanze hanno il loro daffare con persone svenute dall'impressione, da emozioni sgomente, dalla intuizione non difficile che Alfredino lo vedremo, certo, ma senza vita. Perché la paura ti rende suo prigioniero, mentre la speranza può renderti libero, almeno per qualche ora, nell'illusione come sempre ultima a morire, perché tutti avevano subito capito che Alfredino non sarebbe più uscito vivo da la sotto, a quella distanza da tutti e da tutto, solo.
Il buco dove Alfredo è sprofondato per 60 metri
Il         dolore di
mille agonie 


E' uno sprofondare   continuo, lento, verso l’interno, verso una distanza che ogni minuto aumenta. Un incubo è ancora una dolce carezza al confronto di quel che sta succedendo a Vermicino. Una morte immensa, epica e flemmatica, pacata e pesante, inesorabilmente lunga e insostenibile. Per la durata totale di 60 ore di errante tribolazione e feroce agonia. Migliaia di parole. Migliaia di immagini. Migliaia di persone. Una morte che ha generato un dolore collettivo mai provato prima, diluito in 18 ore di diretta televisiva che spiegherà cos'è la Tv. Un dolore collegato ad ogni singolo cuore dei 32 milioni di telespettatori appiccicati al mezzo orribilus. Un dolore che ha coinvolto un Paese e parti del mondo a seguire in diretta un evento così sventurato. E' un terrore tele visivo, che per la prima volta scardina le pareti del tinello, la sicurezza domestica, liberando i fantasmi dell'inconscio e moltiplicandoli nella solitudine della notte in un buio senza fine.  
Si cerca di parlare con Alfredino
L’Italia   intera,
è precipitata in quel pozzo con poca aria. Tutti incastrati nel buio, scivolati nel fango e nel soffocamento claustrofobico di un bambino di 6 anni, che da laggiù, ogni tanto si sente: “Mamma ho freddo, portami un cappotto”. Diciotto ore di diretta televisiva che disorientano un Paese che sobbalza all’improvviso dopo che la notizia è approdata prima al Tg3, poi al Tg2, con brevi flash, un paio di collegamenti, nessuna premonizione. Poi il dilagare della notizia nel mondo. Parte in coda al telegiornale principale, il Tg delle 13.30, a metà del secondo giorno e promette di finire in fretta: “Aspettiamo, dovrebbero salvarlo a minuti”. Invece si complica sempre di più la situazione. Aumenta la sua ridondanza, il suo freddo orrore. Viene ripresa persino da una sconosciuta rete Tv americana, la neonata Cnn di Atlanta di Ted Turner. L’evento si carica ulteriormente come una tempesta di elettricità emotiva contagiosa. Dal tramonto in poi diventa una folle notte di soccorsi rovinosi e improvvisati, uomini acrobati improvvisati. Ognuno cercava di fare qualcosa, perché stare fermi e rassegnarsi all’impotenza con quel pargolo la in fondo, affamato, infreddolito, solo, dentro la terra, incapace e incapaci a tirarlo fuori da quel pertugio come bocca dell'inferno. Un angelo che sta scendendo sotto terra. Così fino all'alba. Tutti gli incubi del buio e di tutte le speranze lattiginose del cuore, sono svanite.


Paura,
percezione,
IMMAGINARIO
La paura del   pericolo è diecimila volte più spaventosa del pericolo vero e proprio quando si presenta di fatto davanti ai nostri occhi e l'ansia è una tortura molto più grave da sopportare che non la sventura stessa per la quale stiamo in ansia. 15 mila automobili parcheggiate intorno, vettura in piazza dov’era isola pedonale, uomini in maglietta e calzoncini, donne con il fazzoletto in mano, bambini che piangono, carabinieri che spingono, Prefetti, poliziotti, vigili del fuoco, preti, parenti, porchettari, venditori di dolciumi, camionisti. Vermicino è il centro del mondo perché Alfredino è cascato nelle fauci dell'orco!
La luce del sole vista da 60 metri sotto terra è un vero miracolo


Perché?
La folla si   accalca sul prato, assedia il pozzo, preme, fuma nervosamente, mangia panini, si disseta. Tutti aspettano, chi è perso con lo sguardo nel nulla e guarda quella feritoia per terra. Ogni tanto, una tenue voce dice dal fondo: “Babbo, tirami fuori di qua, ho freddo, ho fame!”. Il buco si allarga lentamente e a volte d'improvviso, non riesci più a capire nulla, senti che la salvezza parrebbe lì, ad un metro, ma in questo caso, un metro è un'abisso. Il tempo ha perso la sua importanza, il suo significato, tutto si prova subito, anche il più bizzarro dei tentativi. Quasi un segnale maledetto e che non saprei decifrare, non sono uno spara balle, ne mi va di fare teatro esoterico o di quale chissà altra puttanata, su di un fatto così estremo, così impossibile. Eppure reale. Dio, ma dov'eri? Da Cristiano sono portato a pensare che Alfredino sia seduto al Tuo fianco. Come uomo, rimasi, e rimango tuttora sconvolto al solo pensarci.
Per chi ha vissuto quella notte, immagino che sarà d'accordo che questa foto rappresenti ampiamente lo stato d'animo di molti italian@ straziati, impotenti, angosciati, i genitori che giravano in mezzo ai curiosi, alle telecamere senza dir nulla, piangendo e parlando. La mamma tentò di chiamarlo, ma quasi svenne quando si sentì una vocina provenire dal buio di quel buco. Era il suo bambino. Non era il caso di esporla ad emozioni così forti, così soffocanti.
Il Presidente Pertini
A metà di  quell'afoso

pomeriggio di giugno, per fare entrare il vecchio presidente Sandro Pertini, venuto da Roma in nome e per conto del popolo italiano, come si va ai bordi degli incidenti stradali o dei lavori in corso, per affacciarsi, guardare, stupirsi, commuoversi e intralciare. “Arriva il presidente, arriva il presidente!”, dice con tono stupefatto il telecronista: “Chiede di arrivare vicinissimo al pozzo. Ora si sta affacciando dal pertugio. Lo reggono gli uomini della sicurezza. Chiede le cuffie, vuole sentire la voce del bambino”. La gente è profondamente spaesata. Vermicino si trova improvvisamente al centro del mondo per una feritoia nella terra larga mezzo metro per 70 centimetri con Alfredino dentro, quando di Vermicino non conoscevamo neanche in quale regione fossi ubicata. Ogni tanto partono voci anarchiche dagli studi Rai: “Alziamo l'audio!”, anche i tecnici non riescono a gestire la diretta più maledetta fino a quel momento.
Possiamo perdonare un bambino quando ha paura del buio. La vera tragedia della vita è quando un uomo ha paura della luce
                 (Platone) 
Il grande balzo
dell’umanità
Non c'è un   precedente televisivo comparabile a quello che successe a Vermicino nei primi anni ’90 del secolo scorso. Neppure nella remota e celebre notte lunare di Tito Stagno e del comandante Neil Armstrong, 21 luglio 1969, quando il modulo Lem scivola via da Apollo II e dal nero della navigazione scende nell'acquario di sabbia e luce del Mare della Tranquillità, alluna e mostra, in soggettiva, prima i gradini, poi 1o scafandro bianco, poi l'orma, mentre via radio va in onda la frase più celebre dell’aereo spaziale: “E’ il piccolo passo di un uomo, ma è un grande balzo dell’umanità”.



Il pubblico
a casa dentro     il pozzo
In quella notte  devastante, la televisione fa ciò che le sue regole prevedono: registra e fa vedere, fatto che alla gente non poi così chiaro come lo è oggi. E’ l’occhio collettivo che guarda, osserva il viaggio umano. E’ il racconto per immagini di ciò che la scienza e il coraggio umano stanno realizzando. E’ la verità. La Tv che informa, che si accende davanti all’evento, che registra il record di salto in lungo e il record di salto talmente alto da raggiungere la Luna. In entrambi i casi la diretta è mediata da esperti. Passa sempre per gli studi del telegiornale, i collegamenti sono con la voce roca di Ruggero Orlando e i camici bianchi della sala di controllo della Nasa a Houston. Gli esperti accanto al pozzo, i curiosi intorno al buco, il pubblico a casa ma anche loro dentro il pozzo, modulano lo stesso sguardo stupefatto, la medesima pena, l’identica, disarmante, impreparazione. A Vermicino si rompe per sempre la televisione come tutti la conoscevano fino a quel momento. Non è più lei che si accende per starsene un pò tranquilli. Inizia a fare paura alla gente. E’ diventata il mostro che sarà di fronte all’evento, ma è l’evento a infiammarsi davanti alle sue telecamere. È l’evento che, accadendo, la coinvolge e la brucia. Sbriciola il palinsesto, la rende un flusso orizzontale. Amplifica la sua potenza. Si piega alla sua ridondanza. Fa sì che i tentativi di quella notte, i volontari davanti al pozzo, i curiosi in attesa, il pubblico a casa, siano lì non solo per Alfredino, ma anche per lei. Per entrare nel suo racconto, nella sua dinamica di incoronazione perpetua, di narrazione e vertigine, di appagamento narcisistico.
Il     diaframma    
si è    rotto
L’Italia intera è lì. Sospesa per aria fra incredulità e angoscia, impotenza e lacrime. Confusamente percepisce il mutamento che si è innescato, anche se ancora non ha razionalizzato cosa sia il dolore della morte in diretta televisiva. Il mezzo amplifica l'evento tragico non so per quante volte, poi i giornalisti bravissimi nell'eccedere col piede sul pedale del dolore e anche una lacrima diventa il Vaso di Pandora aperto. Quante persone muoiono, sole, senza che nessuno lo sappia o dicano nulla? Tantissime! Questa è la Televisione. Anche se nella morte di Alfredino c'è qualcosa di simbolicamente orribile che non riesco a decifrare, una sensazione che vivo ma che non riesco a dargli un volto, una fisionomia. Eppure avverto che la dinamica della morte di Alfredino, al di là dell'atrocità, le cause e concause tremende, abbia un valore simbolico superiore. Ma non azzardo nessuna ipotesi visionaria, state tranquilli.
Il Vaso di Pandora
Non mi metto
a giocare con le parole, su fatti del genere. L'evoluzione televisiva, era in atto. La gente intuisce comunque che cosa possa diventare quell'elettrodomestico fino ad allora considerato al pari di un frullatore, con la differenza che lì potevi vedere il Tg, il film del lunedì sera e un pò d'avanspettacolo il sabato sera. Ma quel giorno che morì Alfredino, il diaframma di cristallo si è rotto. La Tv non è più solo una finestra sul mondo. Né tanto meno un oblò di leggerezza lunare e spensieratezza del focolare. Quella scatola che ha appena raccontato il sangue versato da Giovanni Paolo II in Piazza San Pietro, svelando nella folla indistinta la mano armata di Ali Agca e il drappo bianco del Papa macchiandolo col suo sangue per accasciarsi nella jeep in accelerazione tra lo scompiglio.
La Tv in noi
Ha   raccontato il caso Moro e le successive mattanze brigatiste, gli intrecci del terrorismo, poi i misteri della P2, le fughe di Michele Sindona e di Roberto Calvi. È ancora la Tv che inquadra il mondo e (più o meno) ce lo spiega. Italia Germania, 1970, vince l'Italia 4 a 3, un Pese unito e in festa. Ecco il senso di Blob. Ma senza allargarci troppo, solo con Vermicino la Tv non sta più fuori, ma dentro di noi. Diventa il nostro respiro notturno, lo sguardo che non ci fa dormire. È l'interruttore che sembra tener vivo Alfredino. È l’altare di un rito collettivo, senza sacerdoti, né esperti, solo volontari, uomini comuni, che si compie sino al sacrificio. È il gorgo che attira lo sguardo, che ipnotizza, che sollecita paura e vertigine, ripulsa e attrazione, fino allo spaesamento, fino al pianto, fino alla fine.
I funerali di Alfredo Rampi

 La gente     pretende
la fine  dell'ansia
Per la    prima volta, la diretta televisiva da Verrnicino diventa lo spettacolo del dolore, afflizione collettiva, audience profonda. La Nazione si ferma. Aspetta lo scioglimento emotivo. Il blocco delle emozioni si sente. La gente non parla d’altro. Pretende la fine dell'ansia. Incita, implora, resiste. Chiede di andare fino in fondo. Vuole agire, ma non sa come. Ma in realtà vuole solo guardare, guardare, guardare. A Vermicino quella notte di giugno del 1981, tra la gente che si accalca, le bancarelle di bibite, le lacrime, le zanzare, la paradossale invisibilità di un pozzo che tutti immaginano di guardare, un pozzo tanto profondo da toccare il cuore di tutti, muore in diretta Alfredino Rampi e nasce la (neo) Televisione. La televisione nel 1981, ha inaugurato da poco il colore. Ha moltiplicato fino a tre le reti della Rai, e per mille quelle di ambito locale, piccole, piccolissime, notturne, merceologiche.




Tele Milanese diventa Canale 5 e apre
le trasmissioni con il vero Mike Bongiorno che sembra finto. Si accendono gli sghembi show in topless su Antenna Tre Lombardia, e i varietà improvvisati su Teleborsa, a Bari. L’etere pulsa di divani, pentole, aste, tappeti, auto a rate, casalinghe mascherate che si spogliano dentro ai loro sogni e ai nostri sguardi notturni. Diventa visibile l’Italia minore, quella che parla in dialetto, che si veste in Tv come fosse domenica, o al proprio matrimonio. Che è bigotta e pagana, si genuflette davanti a Padre Pio e crede al mago Otelma, alle furono alghe scioglipancia di Vanna Marchi.


C'è chi incorona Giorgio
Aiazzone, il mobiliere che spedisce in tutta Italia, isole comprese, re del truciolato. E Maurizia Paradiso, regina dei velluti notturni. Che ha fame di luce. Che in cambio della luce si lascia usare dalle nuove macchine pubblicitarie, “Provare per credere”. Che esibisce le proprie proporzioni fuori standard, presentatrici troppo bionde, comici troppo grassi, esperti senza grammatica, presentatori senza cravatta, come una orgogliosa innovazione contro il conformismo. Contro la noia lessicale della televisione di Stato. La sua insindacabile selezione sulla realtà, le sue gerarchie. Adesso, l’Italia che prima approdava sulle reti Rai solo in forma di cronaca nera o rosa, costume o curiosità, costruisce la propria piazza elettronica. Entra nello spettacolo e lo moltiplica.

Lo      spettacolo
non può     fermarsi!!!

Ci mette    l'estetica, la pancia, il silicone e il botulino. La voglia di giocare e di mettersi in gioco. Telefona in diretta non solo per indovinare il numero dei fagioli, ma anche per raccontare il tradimento del marito, il malocchio che si sospetta, l'inganno subito, il destino nascosto nelle stelle, l’amore atteso, l'amore svanito, l’ultima vacanza, le frustrazioni sul lavoro, il sesso, la malattia. La morte. Era un periodo stranissimo. BISOGNAVA tassativamente, grazie a Berlusconi e i modelli di look e comportamento imposti dalle sue Tv, essere belli, sorridenti, felici anche se non lo si era. Gli anni della claustrofobia, personalmente li definisco. E la vicenda di Alfredino, quel maledetto buco grande quanto una botola, ci porta tutti con i piedi per terra per pochi giorni, poi rimane solo il volto di un bambino senza vita nell'immaginario collettivo rimosso. 
Non perde mai l'occasione
La  so lita Fede
L’accaduto di Vermicino, ha un interruttore involontario, Emilio Fede: “Ero il direttore del Tg1. Quel venerdì, in riunione, a metà mattina, preparando il telegiornale delle 13.30, sentivo che nella scaletta mancava qualcosa di emozionante. Il caporedattore Andrea Melodia, mi dice di questo fatto che sta accadendo vicino a Roma, in un posto chiamato Vermicino. Mi racconta del bambino, del buco e che stanno per salvarlo. Bello”, gli dice Emilio Fede al suo collaboratore. “È importante, seguiamolo” conclude. Anche la Rai invia una 3 telecamera mobili due giornalisti e 2 fotografi e cine operatori.


La signora Rampi, mamma di Alfredino
Allora   ne avevamo
solo una. Cosi in coda al tg ci colleghiamo. La vita comune e lo spettacolo della morte comune, entrano in Tv con Vermicino, Alfredino. La vita comune diventa una messa in scena mondiale. La gente avverte questo. Prima di Vermicino la Tv era verticale, dirigista. Poi diventa orizzontale. Il cambio in scena avviene in periferia, in un luogo desolato, un prato, senza storia. L’evento si crea nel luogo più inaspettato e persino la politica avrà il suo daffare. Sembra proprio che questa vicenda abbia un valore alto, non so, ma l’impressione è questa, che da Vermicino in poi la Tv s’è mangiata tutti, metaforicamente, e chi no.


Alfredino Rampi viene
dichiarato morto alle 6.20 di sabato 13 giugno. Con i primi raggi del nuovo sole, si smontano i set giornalistici d’appoggio, dalla Cnn al Times, si chiudono i collegamenti e si aprono le polemiche. I proprietari del terreno vengono arrestati. L’operaio che ha scavato il pozzo artesiano viene arrestato. La vita dei genitori di Alfredino, Franca e Nando Rampi, viene passata al setaccio dai giornali oltre che essere devastata dall’accaduto. Come mai il bambino giocava da solo? Davvero si è trattato solo di una disgrazia? Tutti cercano un colpevole che possa alleggerire la colpa collettiva per lo spettacolo inscenato dal destino o chissà chi. Ma sono tutte domande false, i genitori di Alfredino sono i più colpiti dalla morte del bimbo. Li chiamerei sciacalli chi ha osato chiedergli come mai era solo. Ma come, un bambino non può essere da solo? In campagna? Certo, semmai i responsabili sono chi ha lasciato un buco così profondo aperto e chissà se qualcuno lo sapeva. In ogni caso, al di la di ogni stupida congettura, la gente è tramortita.
La gente

è molto strana

Occhi estraniati davanti alla prima diretta di un fatto tragico che ha catalizzato il mondo intero. I giorni successivi a quella notte di mezza estate furono incentrati sulla morte di questo bambino in , ad essere incapace di focalizzare quello che è accaduto, perché ciò che è successo, supera la comprensione che la gente ha dei mezzi d’informazione nei primi anni ’80. Per questa ragione è stata presa allo scoperto, tutta quanta, d’improvviso, impreparati come un ladro sorpreso con le mani sul malloppo. Forse quello di Alfredino, è il primo momento della Tv del dolore, con la differenza che c’è scappato il morto, mentre in programmi impregnati di sangue e coltelli, ora, se l’inventano con gli autori le vittime, i Plastici di Porta a Porta voluti in studio con i criminologi  nel salotto buono di Bruno Vespa.
Fu la fine
Il pomeriggio una gragnola di disgrazie insormontabili, una attaccata all’altra. Oggi sono la fortuna economica pubblicitaria della Tv i programmi televisivi dove il dolore diventa droga pura, tumore, scomparse, assassini, adrenalina grifagna che tiene alta la suspense, in pigiama, tutti davanti alla Tv. E’ un rito collettivo. Vissuto da tantissime persone, mai accaduto prima. Come un futuro camuso, la gente non riesce a staccarsi dall'elettrodomestico più potente e portatore di notizie. Quasi tutti svegli anche se stanchi, distrarsi con lo stordimento dato da vicende che dell’umano non hanno nulla. A volte penso che molta gente voglia farsi male, davvero.
Come    quando partono 
le macchine in Formula1, alla partenza, cioè quando è maggiore la possibilità che avvenga un incidente, lo share è altissimo, picchi d’ascolto stellari, sbaragliano la concorrenza, pubblicità e denaro come piovesse e attenzione massima dei telespettatori nella speranza inconscia di un "patapamf", e non dico il resto. Poi il tempo passa e la gara si fa monotona e la gente cala enormemente. Perché volete il sangue dei piloti visto che mi fanno schifo gli sport dove ci sono motori? La gente è strana. O forse stronza. Dopo 20 ore circa il mondo vede il corpo di Alfredino. Finalmente ce l'hanno fatta a portarlo fuori da quella trappola infernale. I sandaletti sono slacciati, forse è stato proprio Alfredino a slegarseli, forse per stare un pò meglio, in quella dannata notte di mezza estate quando conoscemmo la Tv.
Fine della prima diretta televisiva.
E la Televisione scoprì il dolore.
Fu la fine.

giovedì 3 aprile 2014

Pink floyd: giù dall'altare!

1967, Syd Barrett, cofondatore dei Pink Floyd
Le        miserie
dei
Waters, Mason, Gilmour, Wright
Cambridge, 6 di St Margaret's Square


        di Matteo Tassinari
Ssi, sti qua non ce la 'contano giusta. La band con maggior successi di critica e di pubblico al mondo. Mi sembra evidente, chiamandosi Pink Floyd, qualsiasi musicista s'inchina e ascolta solo. Solo un ombra gigante sovrasta la gloria del gruppo: SYD! E Syd qua, Syd là, Syd sopra, Syd sotto...(Richard Wright).
Tanti si sono domandati di che malattia soffrisse Barrett. Sono state avanzate le ipotesi della schizofrenia, del disturbo bipolare e della sindrome di Asperger senza che la sua patologia fosse mai chiarita del tutto. 
L'uso di droghe psicotrope da parte di Barrett, negli anni sessanta, è ampiamente documentato. In parecchi ritengono che le droghe siano state il fattore scatenante della sua follia. Ma i veri colpevoli sono i suoi amici nella foto in alto, avendolo lasciato solo a sé stesso e al suo delirio, massacrandolo con la paura mentale nascosta nelle parole di alcune canzoni del Fluido Rosa e che solo loro cinque potevano capire. Ora, sappiamo solo ce non era amore “Wish You Were Here”, ma l’ennesima rasoiata ai suoi disturbi mentali e che nessuno sapeva e poteva decriptare e capire.
“Di certo l'acido ha avuto qualcosa a che fare con tutto ciò, ma non sappiamo se sia stato l'acido ad accelerare il processo che avveniva nel suo cervello, oppure se ne sia stata la causa. Nessuno lo sa. Io sono sicuro che le droghe un effetto l'hanno avuto”.
 Dov'è andato finire Syd 
Dov'è andato a finire Syd Barrett? Dov'è il cofondatore e promotore principale della band che nessun altra band ha mai neppure sfiorato o s'è provata neanche ad immaginare? "C'è del marcio a Cambridge" e il "sonno della ragione ha creato mostri", per dirla un poco con Goya e un'altro poco con Shakespeare. Perché tutto volge al confondere le acque tra musica, film, telegrammi sconosciuti e recapitati a Cambridge al numero 6 di St Margaret's Square, dove risiedeva Syd con la mamma troppo premurosa.
Ci sono passaggi oscuri, cinici nella storia del Fluido Rosa. Atmosfere sospese, clima evanescente, condizioni rarefatte, ambienti distanziati, intervalli pesanti, rapporti diradati, sospiri duri, sottili come la punta di un coltello affilato. Provate a riascoltare l'interrogazione di Johnny Gordon, amico d’infanzia di Syd Barrett che di tutti gli intervenuti finora è l'unico che abbia sollevato la questione cruciale, e poi ditemi se questi non ci hanno preso in giro! Volete un esempio? Nel lato B di "Atom heart mother", Waters parla in prima persona come fosse Syd, ma nel finale si rivolge ad un interlocutore che può essere solo Syd, rivolgendogli frasi che solo lui poteva capire e non erano riferimenti sereni e in pace e sempre in riferimento alla sua dannata passione per le droghe psichedeliche, girando il coltello nella ferita. Solo chi conosce bene la storia del Fluido Rosa può capire.
 Il "pezzo" pregiato
Syd Barrett durante una prestazione pubblicitaria, quando ancora viveva di varie forme artistiche, dalla pittura alla letteratura, trovando nella musica il suo brillante pazzo espressivo. Certo, gli errori commessi dal povero Syd (si, povero, perché quello che ha patito, forse non lo sa neppure lui). Era indiscutibilmente il "pezzo" pregiato, il diamante folle, il delirante utopista, il Dna del centro, il pirata più ebbro di un gruppo di ragazzi scalpitanti formatosi a Londra nel 1965.
Musica planetaria

La formazione base 
era composta dal chitarrista Roger Keith "Syd" Barrett, dal bassista Roger Waters, dal batterista Nicholas Nick Mason e dal tastierista William Wright. David Gilmour, in un'intervista al National Post, fornì una sua diagnosi: Barrett era epilettico, ma soffriva solo di crisi parziali; le luci del palco e le droghe avrebbero provocato le crisi, scambiate per malattia mentale.
Nel dicembre del 1967 si aggiunge al gruppo il chitarrista David Jon "Dave" Gilmour, che si affianca sostituendo definitivamente Barrett, progressivamente emarginatosi dal gruppo a causa del pesante uso di Lsd e di una forma conseguente di alienazione mentale, vivendo con la madre per 47 anni nel silenzio più assoluto. Usciva il mattino a comprarer igiornali e per comprare quel che gli serviva. Questa era diventata la sua vita.
 Un portento balzo verso l'apogeo      siderale
Parlava sol con lei a parte momenti di sana follia. Come scriverò poco più avanti, i tentativi, le prove, i mancamenti, le invidie reciproche, soprattutto con Waters il quale prese lo scettro del comando carismatico del gruppo. La musica, a livello planetario, fece un portentoso balzo verso l'apogeo più siderale possibile per rimanere al di sopra di tutte le altre band.

   La        mente
nell'ombra
Su Syd  è stato scritto di tutto. Che era un puro di spirito ed è rimasto schiacciato dalla macchina del successo. Che il suo animo delicato e libero non poteva reggere alle pressioni di quel mondo. Che appena ha smesso di divertirsi si è spento, che non sopportava l'idea di essere un leader, che la sua stessa fama lo inorridiva e naturalmente l'acido ha fatto il resto.
Syd Barrett
Tutto vero, però io so che Syd era veramente diverso da chiunque altro, interrogate i suoi compagni di scuola e tutti vi parleranno dell'ombra che ogni tanto passava sul suo sguardo luminoso, la sua impenetrabilità, l'indecifrabilità del suo sorriso. Sembrava fosse sempre a conoscenza di cose che noi ignoravamo, cose talmente lontane che non valeva nemmeno la pena tentare di spiegarle. Ma soprattutto era schifosamente l’ombra che ormai l’aveva circondato per sempre, l’ombra dell’assenza, tanto assente da mancare anche a se stesso.
Incompa tibilmente
amico di   Waters
Lo stesso in "Pearless", lato A di "Meddle". In "Nobody home", dove addirittura Roger attribuisce alle proprie scarpe gli elastici che tenevano chiuse quelle di Syd. In "The Wall", sempre Waters, con l’aiuto perfido del regista Alan Parker, era riuscito nella difficilissima impresa di parlare di suo padre e di Syd come fossero una persona sola, mantenendo l'ambiguità dall'inizio alla fine. Però, in "The final cut" l'equilibrio si rompe e la figura paterna prende il sopravvento. Così, appena ne ha l'occasione, con "A Momentary Lapse of Reason", Gilmour ristabilisce la centralità impossessandosene.

Tu lo     sapevi!
E se non fosse stato abbastanza chiaro, visto che Rick Wright e Nick Mason (tastierista e batterista) obbedivano come chiwawa a lui come avevano obbedito a Waters. Si torna ancora, perentoriamente sul vulnus, in "The division bell", dove oltre a un brano strumentale intitolato "Marooned", si può ascoltare "Poles apart", un concentrato di senso di colpa fra i più lancinanti che siano mai stati composti.
Bisogna avere un cuore di pietra e lo spirito malvagio per quanto infido e perverso, per non sentirsi male quando Gilmour il pungente dice a Syd: "Lo sapevi. Lo sapevi che per te sarebbe andato tutto storto e per me tutto a meraviglia". Non solo. Il disprezzo e l'insensibilità di Davide (Dave) Gilmour, arriva a picchi siderali, che neanche con un trip, di quelli belli e potenti, riusciresti a raggiungere, quando gli ricordò che ormai i Pink Floyd, per Syd, il Diamante pazzo, erano diventati, per lui, solo un ricordo. Grazie Gilmour, grande chitarrista, orribile essere umano.
Syd Barrett
Serivere
non       sgradire


L'efferato    Gilmour, il bel biondo che suona la Fender come un angelo con dieci dita per mano, staffilante gli domanda perché si sia lasciato ripetere che era il "loro ragazzo d'oro", con toni ricattatori e minacciosi e che non avrebbe mai perso quella luce negli occhi. Syd non rispose. Ma il suo silenzio dimostrò la differenza tra i due musicisti. Il biondo glaciale come quando suona, capace di sciogliere i ghiacciai con la sua Fender, il "matto" era l'anima della Band.
Smarrir la strada, stando alla porta
Dopo la sua morte trovarono un suo scritto in un quaderno dove erano scritte le seguenti parole: "Servire e non gradire, aspettare e non venire, stare a letto e non dormire, aver cavallo che non vuol dire essere servitore, che non vuole obbedire, esser in prigione e non poter fuggire, essere ammalato e non poter guarire, smarrir la strada, stare alla porta quando non vogliono aprire, avere un amico che ti vuol tradire, son dieci doglie da morire".
Pensare che c'è chi ha avuto il coraggio nefando di sostenere che quell'album, quello suonato quando Syd era ancora in se, è solo un prodotto ben confezionato, che non aggiunge nulla alla storia dei Pink Floyd. Solo 3 Bestie, potevano comportarsi così "pornograficamente". Ma hanno suonato come nessun'altro!
La storia stride forte, come un muro o un uomo che ti da la mano mentre per metà brucia o come una mucca che ti guarda fissa gli occhi mentre pascola o un maiale che vola fra le Ciminiere di Boston.
Men Horse
L'uomo Cavallo
il Fluido Rosa quasi al completo,
manca solo il fondatore, Syd
Big       Pig
Tutti      e due
Il maiale volante, creazione dei Pink Floyd usata durante i concerti
Vuoi la nota
Lirica?
L'avrai!
Nella testa di Barrett, i pensieri, in tutti questi anni di prigionia dorata, si devono essere stratificati al punto che sono diventate entità spirituali, seguendo la logica lisergica dell'artista. Immagino che dica di non credere che non me ne sia accorto, amico-nemico mio, lo so che intervieni solo per far parlare me. Vuoi la parola del Lirico? L'avrai!
Un aneddoto, prima: "Di tutte le canzoni di Syd contenute nei due album del '70, non ho mai nascosto che la preferita è "Dark globe". Bene, qualche anno fa, a Londra, Waters andò a Londra ad un concerto dei R.E.M. Anche se non li conosceva personalmente, prima dello spettacolo passò dal camerino a salutarli. Lo  accolsero come una star, un The Big o Pig, con estrema gentilezza, anzi con una deferenza perfino imbarazzante.
Michael Stipe, rifiutò la mano di Waters
Tutti
tranne uno,
il cantante Michael Stipe, che se ne restò seduto in un angolo senza nemmeno guardarlo, se non di sbieco e mai negli occhi. Alla fine del concerto, era l'ultimo brano, proprio Stipe torna al centro del palco e sorprendendo i suoi stessi compagni, da solo, si mise a cantare proprio "Dark globe", così, a cappella, come veniva era buona comunque.
Era un omaggio o un rimprovero? Tu che ne dici bel chitarrista dai biondi, lunghi capelli?
"I duellanti"
Ormai era fatto fuori oltre che esserlo davvero, così in prima linea se la giocavano a colpi di dispetti Waters e Gilmour definiti dai giornali americani e londinesi "I duellanti" e quelli in seconda battuta, Wright e Mason, che hanno sempre fatto quello che il capo, Roger Waters, diceva e voleva. Tengo specificare che tutto ciò non cambia nulla e che la band number one rimane inesorabilmente unica.
Chi ha dato di più in quanto ad emozioni e profondità? Sfumature e orientamenti? Cori  e intuizioni uniche, geniali, brillanti, estrose e sempre azzeccate? Un coacervo di elementi che conoscevano alla perfezione la musica e nessuno l'ha saputa trasmettere come loro. Sul piano umano, invece, è un crollo, scoprire queste malsane ambiguità, mancanze d'animo, lotte per la leader del gruppo a colpi di trovate musicali. Forse sta proprio qui la chiave del loro successo, la grande disputa fra Gilmour e Waters, dimenticandosi del tutto di chi li ha instradati. E' la legge del tradimento, sentimento molto odierno.    
Notate l'assenza delle ciglia, proprio come Bob Geldof in
"The wall" quando se le rade riducendo il volto ad una maschera di sangue
Quando Syd
ci salutò
Era palese a quel punto. La tortura era diventata una guerra di interpretazioni, allusioni, riferimenti, simboli, da spaccarsi la testa e andare ancora più in la di quanto non fossi già. E accadde un giorno del 1978, che Waters, durante un mega concerto al Central Park di Manhattan anch'egli sorprendendo tutti i suoi amici di band e di fronte al parco pieno stracolmo con mega schermi da tutte le parti, se ne uscì con una dichiarazione che spiazzò tutti, imprevista, feroce: "Anch'io ho pensato spesso a noi come a dei sopravvissuti. Anch'io, quando Syd è impazzito non avrei scommesso un penny sul nostro futuro.
Richard Wright, tastierista
Nel loro primo album c’era
una tale concentrazione di idee musicali, idee di Syd, dalla prima all’ultima, che non era lecito sperare di ripetere nulla di simile e noi le abbiamo sperperate. Perché quelle idee erano splendidamente infantili e di tutti noi solo Syd era fatto per non crescere mai. A questo principio mi sono sempre aggrappato scrivendo le mie canzoni, partendo dall'idea elementare tenendola ferma, metodo di Syd. Tutto il resto è tecnica, decorazione, furbizia.
Syd con Ian Emo Moore and friend, Ibiza 1969
Mi viene da ridere quando sento parlare di Dark side come del ‘disco perfetto’, come fossero state tutte quelle cure maniacali a farne il più grande successo di ogni tempo, ma non è così. E’ la paura che c'è dentro, la rabbia, la disperazione, è quello che le mie parole e la mia musica hanno lasciato intatto nonostante ogni raffinatezza. Un giorno ho cercato di spiegarlo a Rick Wright, ma dopo cinque minuti ho smesso perché ho capito dal suo sguardo che non aveva la minima idea di cosa stessi dicendo".
Discografia     d'oro
Fin troppo chiaro. Niente altro da aggiungere! Se non che, è sempre bene ricordarcelo, che sto scrivendo della Band che ha saputo portare il suono ad una vetta più alta e somma della poesia e di tutti i quadri del pittore Diego Rodríguez de Silva y Velázquez, Caravaggio, Giotto e pure Bosch compreso Van Gogh!
Il loro suono era veramente 
cristallino. Anche se non eri un esperto di musica, capivi che non era lasciata perdere una nota, una svisata col plettron, tutto era al posto giusto, e soprattutto non si scriveva nulla di più di quello che si doveva suonare. Lo sbaglio di molti. Far molto rumore affinché la gente si accorga di quell'artista, che verrà giudicato esclusivamente un cialtrone casinista. Erano il punto da dove non capivi se partivi o arrivavi. Ne di più, ne di meno. Il giusto. La perfezione. Il manlio di luce. Il fluido rosa. Voglio dire, al di la dello slang giovanile anni '70, questi ragazzi hanno toccato davvero milioni di cuori. Come sono migliaia i club fondati in onore della band di Cambridge. La loro discografia, fanno sapere gli economisti della musica, viene definita la più redditizia in termini di diritti d'autore, vale a dire che la loro musica è quella più consumata e richiesta, quindi la più pagata al mondo. 
Nella visione di Waters del film "The wall" diretto da Alan Parker,
Bob Geldof è suo padre morto in guerra e il bambino è Syd Barrett
Il verso assurdo
di un’oca     impazzita
Ma anche la più grande lezione, se mancano i protagonisti, va in parte sprecata. Syd ha insegnato il valore della semplicità perché della semplicità aveva il coraggio, tutte quelle nenie demenziali, quelle rime puerili. Prendete una canzone come "Bike", c'è tutto Syd, la gioia di un bambino prodigio, per la sua prima bicicletta, l'entusiasmo per il cestino agganciato al manubrio, il disagio, very british, di non poterla dare alla bambina che gli piace tanto, perché quella bici l'ha solo presa a nolo, l'intuizione che la stessa bambina sarebbe perfetta per lui ma, e su questo 'ma' la canzone finisce nel verso assurdo di un’oca impazzita, chi avrà più il coraggio di fare cose simili.
Dal prisma al cerchio che spezza
il maglio e frantuma in colori il fascio di luce
La Fender Esquire specchiata di Syd
"Abbiamo avuto la sfortuna di perderlo, ma anche la fortuna di averlo".
(It's a little creepy)
E’ l'inizio che conta, Dave, come nella vita di ognuno. Si decide tutto entro il primo anno, dopo è solo questione di aggiornamento. È stato così anche per i Pink Floyd, sono un albero cresciuto da quel virgulto, per questo l'hanno tenuto in vita, per questo l'hanno tradito come ogni adulto tradisce il bambino che fu. Soprattutto quando è arrivato il successo, quello vero, quello che toglie la libertà e la verginità: "Credo di essere stato il primo a capirlo, il mondo ci osannava per "Dark side" e io sentivo che non potevamo più essere amici, che quei Pink Floyd erano morti, che fra me e loro sarebbero cominciati i problemi arcaici, quelli insormontabili. E se siamo riusciti a combinare ancora qualcosa di buono è stato solo per Syd, ma qui mi devo fermare, e tu sai perché”.

Il riferimento
continuo ed enigmatico, insinuazioni che capisce solo chi segue da molto vicino queste cose o dai protagonisti stessi delle vicende che risiedono dietro la Band più completa nel panorama musicale pop-rock degli anni '70. Da bambini si sono ritrovati in cima al monte più alto, poi a scendere era diventato difficilissimo a quelle condizioni, a quel punto così alto, caotico e vertiginoso. Quante pressioni, tensioni, tournè, problemi coi discografici, con registi quando componevano colonne sonore, "The wall", una per tutte, ma non solo, quello è stato l’ultimo colpo riuscito arrivato ai fans del gruppo di Cambridge.
A volte mi chiedo cosa ci sia stato di così speciale da far nascere i Pink Floyd in un raggio chilometrico così ridotto, tutti quanti nei dintorni di Cambridge. Come se qualcosa o qualcuno volesse tratteggiare il punto centrale, il quid sfuggente, come quando per misteri insondabili s'infarcisce la mente di strati di dissolvenza che cancella ogni forma di socialità, da qui gli ultimi 50 anni di Syd Barrett, che non sono proprio pochini.
Mai chiesto un soldo, mai dato un soldo da loro e lui viveva a Cambridge con sua mamma Erano tutti e quattro di Cambridge a parte Gilmour che era di Londra, ma era sempre a Cambridge, fucina di talenti feroci e pronti a tutto pur di irrompere l'immaginario, per dirla con Jim Morison, che si davano il ritrovo in uno studio ormai in disuso. Il resto lo sappiamo e non sto certo a riscrivere l'apoteosi del Fluido Rosa che tanto ha incantato il mondo intero,  
"Wish you were here", dove i riferimenti velati a Syd sono a decine
40 anni

di follia     solitaria
Più o meno la stessa aura o alone luminoso di Eric Burdon, che comunque, oh, mica è uno qualsiasi. Oppure casi come, al contrario, di morti ridotti allo stremo, come la leggenda più leggendaria di tutte, Robert Plant dei Led Zeppelin, ora ridotto all'ombra del mito che era, una cara vecchia zia cui si vuole un gran bene ma che non fa più strappare i capelli a nessuno. Invece Jim Morrison è morto e al Père Lachaise i becchini devono rimuovere ogni giorno una quintalata di fiori dalla sua tomba.Però, scusatemi, devo dirlo, Syd non è morto subito, sono passati 40 anni dalla sua attività d’artista alla sua morte, voglio dire, non è morto all’istante. E' impazzito, si, d’accordo, ma ha condotto un'esistenza "tranquilla" a casa sua, anche se afflitta, cupa e tradita. E non sono affatto d’accordo con chi dice: "In fondo se l’è cercata", chiudendo così, alla bell'è meglio una dilatazione dei nervi irrecuperabile, un fremito dell’emotività continuo che solo Syd ha conosciuto, solo Syd ha sopportato per 45 anni l’affronto dei suoi "amici" e il dolersi fino ad ammettere la sua nullità quando è stato Lui l’iniziatore del firmamento Rosa. Tra le sue carte: "In confronto è stata molto più drammatica la mia di vita, allora perché?". E dalle carte ritrovate, c’è un passaggio che dice: "Perché lui (Waters in primissima battuta, in seconda Gilmour ma molto dopo Roger, Wright e Mason due coniglietti) dev'essere nel mito e io nella patetica nota a piè di pagina degli epigoni?".
Quanti     soldi persi
per colpa di Syd
Ma c'è  chi si lamenta, e forse qualche ragione ce l'hanno, del comportamento nichilista di Syd Barrett. Parlo dei due manager che seguivano i Pink Floyd, Peter Jenner e Andrew King, due imprenditori di etichette musicali indipendenti che colsero subito il potenziale della Band. Proprio Jennet, disse al giornale NME: "La prima volta mi sono attenuto a una discreta referenzialità. Ma oggi sono di pessimo umore. Avete un’idea dei soldi che io e Andrew King abbiamo perso per colpa di Syd? All'inizio ha avuto un crollo. D'accordo, stava male. Non si poteva pretendere che continuasse a suonare in quello stato. Rimanere con Barrett e non seguire i Pink Floyd è stato un errore madornale e possiamo prendercela solo con noi stessi. Ammetterete però che è stata anche una bella dimostrazione di fiducia e di affetto. Dove voglio arrivare?








Non volò una mosca
A questo voglio arrivare, che quando ha incominciato a stare un pò meno male, quando l'ha smessa con l’acido e ha trovato un pò di tranquillità, ecco, allora un pò di gratitudine per noi poteva tirarla fuori, mica gli si chiedeva di tornare quello di prima, sarebbe bastata una cosina qualsiasi, anche tirata via, anzi, fatta male sarebbe stata ancora più barrettiana, lui si era esiliato in casa ma nel mondo c’erano legioni di fan in attesa, pensate alla febbre che avrebbe procurato la notizia di un nuovo disco di Syd! Non un ritorno sul palco, figuriamoci, grasso e pelato com' era, no, un semplice disco, alla EMI c'erano dei tecnici in grado di fare cose straordinarie, sarebbe bastato che Syd suggerisse un accordo, un passaggio, e quelli avrebbero tirato fuori tutto il brano, un brano di Syd! Il ritorno della leggenda! E invece non volò una mosca".
Lo       chiamano
Uomo    Lupo
Non so perché, lo penso, ma Syd, a mio avviso, non parlava solo per sé. Nella sua vita ingiuriata dal comportamento bestiale dei Pink Floyd, chissà a quante persone avrà pensato che in modo più silenzioso avrà sentito vicino o similari. Per esempio avrà ricordato il mitico Peter Green, che fonda i Fleetwood Mac. Con loro ottiene un enorme successo, dopodiché, apparentemente senza motivo, li abbandona, realizza da solo un album straordinario come "The end the game" e subito dopo scompare nel nulla per dieci anni. Dieci anni in cui, si scoprirà che fa il becchino sotto falso nome e quando non fa il becchino è internato in un ospedale psichiatrico. Poi, com'era scomparso, riappare! Fa qualche altro disco, dopodiché sparisce di nuovo.
Lo
rintracceranno
qualche 
anno più tardi a Richmond, dove vive come un barbone e i bambini del quartiere lo chiamano l'Uomo Lupo, per la barba e capelli incolti, poi tagliò tutto anche le ciglia. Ecco, chiedete in giro chi è Peter Green, non lo sa nessuno. Eppure ha lasciato dei capolavori, oltre a formare un gruppo che ha continuato a mietere successi anche dopo la sua scomparsa. Syd Barrett invece è un'icona. E' come Morrison o Hendrix, senza però essere morto. Oppure pensate a Brian Wilson, l'anima dei Beach Boys, con una testa molto ma molto più complessa di quella dei Boys, un autentico genio, simile a Barrett, tanto intelligente da impazzire da un giorno all'altro.
A questo punto, anche per la desolazione vera, non ho chiuse o chiose finali da redarre, se non questa battuta di Syd: "La sua band ha un nome molto originale. Ma chi le ha suggerito il nome Pink Floyd?". "Gli alieni!", disse Syd Barrett, fondatore dei Pink Floyd, ad un giornalista mentre discutevano sull'origine del nome della band. Poi scomparse.
P.S. Tutto il materiale virgolettato è stato raccolto da una maxi inchiesta del New Musical Express, settimanale britannico (NME), organizzatore anche di eventi con la partecipazione di artisti emergenti nella scena musicale internazionale presso il teatro Koko di Londra. Forse, anzi senza forse, è la rivista musicale più attendibile e prestigiosa al mondo del mondo del rock e sottogeneri, fondata nel 1952.