Notti notturne

martedì 26 febbraio 2013

Storico Lou, pioniere del rock

Matusalemme, pioniere rock
        di Matteo Tassinari

All’età di 72 anni
Lou Reed
equivale ad un Matusalemme nell’iconografia space rock music. La musica rock, nata come espressione giovanile di una ribellione contro l’ortodossia e le regole che ha saputo sapientemente incanalare le esigenze dei giovani di quel periodo. Come ogni rivoluzione si è trasformata in uno stato mentale più che in singoli atti di rivolta. Divenendo una sorta di rivoluzione permanente. Questa è la visione che ha accesso i pionieri del rock, dai Beatles agli Stones, dai Velvet ai Jefferson, da Dylan a Reed, tutti desideravano una rottura netta con il passato e un mondo nuovo ricostruito a propria immagine. Tutte bolle di sapone, che nell’utopia implacabile che oggettivamente rappresentava, ha dato tuttavia input nuovi ed elettrizzanti sul piano dei diritti civili. Per i giovani crescere è un peccato troppo disdicevole per essere contemplato. Quello che è certo è che Lou Reed è stato più di un animale del rock. In realtà è stato l’intellettuale adulto del rock’n roll che ha saputo, proprio come aveva fatto Andy Warhol in altri settori e anche grazie a lui veicolare la cultura “alta” in un formato accessibile alla massa. E nella musica, in pochi sono riusciti a farlo così bene.

    Più mi faccio schifo,     
più      vendo
Poco prima dell’uscita del suo album “Loaded” poco prima del ’68,  in un’intervista dove a Lou Reed viene chiesto se il rock avesse ancora qualcosa da dire, rispose: “Assolutamente si. Penso al rock come ad una grande opera, come ad un’Odissea. Qualcosa che non avrà mai fine fino a quando non ci sarà qualcosa di meglio”. In molti sono concordi nell’affermare che Lou Reed ha reinventato il vocabolario del rock, divenendo un faro alto a cui guardare per capire come vuole essere sguaiata la Fender Stratocaster, la chitarra elettrica rock per eccellenza. E’ infatti incredibile pensare che l’album che ha cambiato il modo d’intendere e di fare musica è stato registrato e mixato in appena quattro giorni per una spesa totale di circa 2.500 dollari tirati fuori da Andy Warhol. Nessuno poteva immaginare che quell’album avrebbe colpito generazioni di musicisti e ascoltatori.
Sobborghi di New York, forse più New Jersey


Suggestion      the
Sunday      morning
L’opera che ha gettonato le basi di tante correnti musicali successive. Artisti come David Bowie, Brian Eno, Iggy Pop, e poi i Rem e gli U2 fino a Sinéad O'Connor, nutrono un debito fondamentale verso i Velvet Underground e verso il loro primo album. Inciso negli anfetaminici anni ’66, esce e spopola con una banana gialla da sbucciare disegnata da Andy Warhol in copertina con chiari allusioni sessuali, rendendo l’album più agibile per il commercio discografico americano di quegli anni. Per rendere l’album meno sofista, il produttore Tom Wilson e Andy Warhol suggeriscono di aggiungere un’altra canzone cantata da Nico. Nasce così la splendida “Sunday Morning”, anche se alla fine, chissà per quali ragioni, e Lou Reed a cantarla. (http://www.youtube.com/watch?v=YuM3SteeAgY).
Lou Reed e Nico
Nico FEMME fatal
Nico, l'ottima fotomodella tedesca nota in Italia soprattutto per la fulminante apparizione ne "La dolce vita" di Federico Fellini. Era una protetta del padre della Pop Art, stessa sorte dei vari Paul Morrissey, Joe Dallesandro, Edie Sedgwick e Ultra Violet di cui il Maestro a fasi alterne s'innamorava. Diventerà una delle attrazioni principali dell'"Explodic Plastic Inevitable Show", spettacolo multimediale prodotto dalla Factory. Ma Lou Reed non è tipo da lasciarsi plasmare come cera: romperà con Nico e lo stesso Warhol già a partire dal secondo album "White light/White heat", romperà il giocattolo nel '70, lasciandone i resti fumanti nelle mani del subentrato Doug Yule. Tre anni più tardi i Velvet usciranno dalle cronache musicali per entrare nella storia. O forse dovremmo dire nella leggenda.
Nico e Warhol

  Banana Deluxe@

from      Andy   


I rapporti fra Nico e Lou diventano troppo tesi, soprattutto perché Reed sente che il gruppo è suo e mal digerisce che altri interpretino le sue canzoni, come fa Nico e la sua splendida voce. C’è anche da dire che l’inserimento della figura di un Angelo Blu nel gruppo, era stata un’imposizione di Andy Warhol, sempre osteggiata da Lou Reed che evidentemente non vuole nessuno a primeggiare insieme a lui. Inizia così una fugace fuga di Lou Reed dai Velvet, e inizia a incidere dischi che a dir la verità non riscuotono un grande successo. Infatti, dopo il clamoroso flop del primo album solista, Reed si ritrova in una situazione di grande ambiguità. Malgrado abbia speso gli ultimi sette anni creando alcune delle canzoni rock più belle che si ricordino, il suo nome è ancora nell’oscurità e la sua carriera artistica quasi fallita. Il primo a non accettare il fallimento di Lou è uno dei suoi più grandi estimatori, David Bowie, all’epoca la più famosa e riverita rockstar.
Da sinistra Bowie, Iggy e Lou

Fusion,       Transformer, Glam

Sarà lui, Bowie, a proporre al colosso Rca, il nuovo album di Lou Reed. Lou, che ha passato molto tempo insieme a Bowie, sua moglie Angie e il suo arrangiatore Mick Ronson, si trova subito a suo agio e ambisce a quel successo e a quel potere che il suo amico collega ha sulle masse nei suoi mega concerti di Londra, Los Angeles, New York. “Transformer”, in un certo senso, offre proprio ciò che offriva Warhol con la sua arte: dichiarata bisessualità, approccio con le droghe, sessualizzazione del rock, costituiscono il Glam dell’estetica “pop” di Andy.


L'amico David
Appena l’album viene
pubblicato incontra il mondo. Diventa un successo che non conosce stop. Il trasformismo di Lou Reed in “Transformer” fa emergere tutta la bellezza e la sensibilità interiore, anche nelle sue forme più eccentriche. “Vicious” è senz’altro una delle canzoni più efficaci dell’album, contraddistinta dal famoso Riff di chitarra di Ronson e da un’interpretazione vocale ambigua. Il termine “Vicious” è ambivalente. Se comunemente significa vizioso, depravato, nello slang di quegli anni e di quel periodo assume altri significati come bello e grandioso. Va detto che per Lou Reed erano periodi non semplici, sia come artista che come uomo, in questo fu determinante l'aiuto dell'amico David Bowie che l'accolse nella sua casa discografica che aveva dato carta bianca a Bowie, l'unico, all'epoca, a guadagnare anche 10 mila dollari a sera per un concerto di 2 ore, per arrivare a cifre da far girar la capoccia, stadi pieni e non sufficienti, palazzetti stracolmi, Bowie non conosceva arresti e ogni sua canzone era destinata a diventare un successo. Si comportò ugualmente con l'amico iguanone Iggy Pop. L'unico neo di Bowie è quella trazione esoterica" la chiamava lui, per il Nazismo. E dici poco? Ma le canzoni da lui scritte nel corso degli anni ritengo siano un'altra cosa, o no?
Ai cultori di copertine al vinile
Sempre assimmetrico
“Prefect day” ha trovato, meritatamente, posto nell’olimpo delle classiche ballate rock grazie anche alla colonna sonora del film “Trainspotting” di Danny Boyle, che lo fa riesplodere, riportandolo alla ribalta. Ma la traccia sul vinile che sbanca è la clamorosa “Take on the wild side”, la canzone più riuscita con un minimo dispendio di energia se così si può dire, proprio per la sua semplicità disarmante se consideriamo il suo incanto così colto. La penna che faceva tremare le rockstar dalle colonne del N.Y.T., Jhon Meddelton, scrisse: “mai proporzione simmetrica in musica ha raggiunto tale fascino, con così esigui mezzi a disposizione. Evidentemente hanno richiesto e ottenuto il massimo da ogni sessione del brano”.

walk on the wild side


L'Amleto
        nel satellite
imprigionato 
Il titolo è preso dall’omonimo romanzo di Nelson Algren che Warhol aveva in progetto di trasformare in musical. I temi centrali sono l’omosessualità, il travestitismo, uso di droghe, prostituzione e voglia di on the road per dirla con Jack Kerouac. Ma il segreto del successo di Transformer è che Lou Reed non si lascia prendere dalla didattica. Non dice ciò che è bene e ciò che è male, dice ciò che è. L’invito di Lou a fare una passeggiata con lui nel sentiero selvaggio della vita. Rimarrà un cult della musica rock and pop. Chiude una sublime “Satellite of love”, una canzone sulla gelosia che mette in risalto la poesia dell’ossessione. Il satellite non è altro che l’uomo che segue la propria donna per controllarla, un Amleto imprigionato, una mancanza di fiducia motivata da un’assoluta devozione ad un amore possessivo e tenero quanto dolcemente feroce. Bowie è il produttore esecutivo del vinile, regalandogli un successo planetario.
Il Baby di Coney Island
Ma l’anno della svolta è il 1975.
Ormai, dopo Rock’n roll animal e Sally can’t dance” lo hanno reso un fenomeno di massa, vezzeggiato, acclamato da critica e pubblico in ogni parte del mondo. Malgrado sia psicologicamente e fisicamente prostrato da dosi di eroina, è proprio in quell’anno che conosce la persona che lo aiuterà a risalire la china: un travestito di nome Rachel. Lineamenti bellissimi, con una personalità forte e un’intelligenza arguta, Rachel si accompagnerà a Lou fino al 1978, tra lo scandalo di tutti benpensanti. Ormai, per questa gente, drogata di tutti i vizi della terra, la provocazione era divenuta un lavoro, un metodo, un metro di vita. Il successo, il divismo assieme, certamente, ad una complessa ispirazione artistica oggettiva, erano padroni di narcisi più o meno dotati, giovani che si sentivano incaricati di qualcosa che nessuno aveva chiesto, ma che è pure vero, considerata l'immediata corrispondenza, in molti aspettavano.  

@ConEy Island
and kiCks@
"Coney Island Baby" diviene il disco più discolo di Lou Reed. La critica lo stronca, il pubblico dice: “Ma questi brani non sono neppure cantati, sono parlati”. Ma questa volta Lou Reed non da segni di risentimento, ma ne è anzi, compiaciuto. Del resto ha chiarito nelle note di copertina. “Alla maggior parte di voi, questo disco non piacerà. Non vi biasimo affatto. Non è per voi”. Per finire con una delle frasi più presuntuose e forti del nuovo Lou Reed: “La mia settimana vale un vostro anno. Non sforzatevi, non potrete capirmi” è il messaggio scritto nel disco.


A chiudere il disco è la title-track,
una delle canzoni più sinceramente autobiografiche dell’intera carriera del cantante, nella quale Lou getta finalmente la maschera e mette a nudo la parte più dolce di quello che è considerato dai più un “duro” del rock, ritrovandosi negli stessi panni dell’Iguanone Iggy che però ha un cammino ancora più travagliato, se è possibile. La morte di Warhol stabilisce un punto di non ritorno per il poeta transformer di New York, come ormai lo chiamano tutti. Si butta nella creazione musicale per dimenticare un lutto così grave per la sua stessa vita, una tristezza dalla quale ci vorranno due anni prima che riprenda a lavorare e fare altri tour. Ai suoi funerali, Lou incontra il co-fondatore dei Velvet Underground John Cale e insieme scrivono un Memorial dedicato ad Andy, “Songs for Drella”, esce nel 1990.
Ora Lou Reed vive a New York e suona, per quel che si sa, quando, come e dove vuole lui. Forse non ha più l'appetito di celebrità che da giovane gli mangiava le budella, per dirla in Punk Rock. Ha 71 anni va spesso al cinema e gusta pane tostato col burro di arachidi e succhi di mirtillo o sciroppo d'acero. C'è chi dice che "Siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno".


giovedì 21 febbraio 2013

Faber, Barone di Gallura

Il Barone di
Munchausen in Gallura

Quando decisi di aprire questo blog, per vostra sfiga e per mia incoscienza, lo feci per un leit motiv ben preciso. Volevo parlare di Fabrizio De Andrè con stile possibilmente diverso, fuori dai soliti strati e sub-strati. Il Munchausen della Gallura, ha sempre avuto un posto preponderante in queste pagine e nella mia vita e sono certo che se non avessi conosciuto Faber, anche di persona dopo corpose bevute e grande soggezione da parte mia, non avrei vissuto come ho vissuto. Poi venne Uma Thurman a confondere i giochi, e il frontespizio se l'aggiudicò lei senza troppi pignoramenti mentali. Ora c'è Alice, la bambina zingara, e lei rimarrà!



























Come una
troia prudente
di Matteo Tassinari
La musica lo sedusse, un po’ alla volta, come una troia prudente e senza fretta, come piace "fare" ai clienti delle "buttane" (da bottana) come diceva Faber scherzando con Dori Ghezzi. Cominciò con qualche mormorio fioco, una cascata di neve silenziosa ma cospicua. Poi divenne balbuzie e piano piano acquistò la freschezza di un linguaggio che, per quanto elementare, era comunque il suo. Un unicum fantastico, dentro solo magia poetica. Un orgasmo quasi corporeo, senza sporcare. La musica per Fabrizio, fu anche una necessità, non poteva farne a meno della sua paurosa amicizia. Lei e lui arrivavano allo stesso livello, nessuno era più importante dell'altro\a. In famiglia tutti si esprimevano in modo non truccato, in assoluta coerenza con le scelte di ciascuno.
L’avvocatura, il management,
la politica, l’insegnamento. Lui non era capace di esprimersi a quei livelli, con quel misto di vocazione genuina e, si dice oggi, di professionalità. Così scelse la chitarra e la magica fantasia dei versi per mollare definitivamente la toga, in realtà senza averla mai messa. Ma lo vedete Fabrizio De André con la toga? E' esercizio mentale che richiede molta fantasia e soprattutto fervida, una pennellata di grottesco su una tela di burlesque. Fortunatamente, diciamo ora, perché quello che non è riuscito ad altri, ci ha pensato lui. Scoprì che se prendeva una chitarra la suonava meglio di tutti i suoi amici e stupiva gli altri con quella voce profonda, stupendo se stesso, come gli altri lo stessero a sentire. Fabrizio era troppo affascinante. Qualsiasi donna negli anni '70 avrebbe pagato per passare una notte con Faber. Così divenne artista, una volta per tutte, esonerato da sciocchi cerimoniali goliardici universitari. Perché ad un musicista, quindi ad un appunto un artista che ci sa fare con le donne, nessuno gli rimprovera di essere un tipo ruvido, chiuso in se stesso, o di mangiare con le mani o scoparsi troppe fighe. Agli avvocati e agli insegnanti invece si, a loro può capitare.
Fabrizio De André e Dori Ghezzi
 I morsi    della storia 
Il suo canzoniere universale attinge alle fonti piu' disparate: dalle ballate medievali alla tradizione provenzale, dall'"Antologia di Spoon River" ai canti dei pastori sardi, da Cecco Angiolieri ai Vangeli apocrifi, dai "Fiori del male" di Baudelaire al Fellini dei "Vitelloni". Temi che negli anni si sono accompagnati a un'evoluzione musicale intelligente, mai incline alle facili mode e ai compromessi. De Andrè usava il linguaggio di un poeta non allineato, ricorrendo alla forza dissacrante dell'ironia per frantumare ogni convenzione. Nel suo mirino, sono finiti i "benpensanti", i farisei, i boia, i giudici forcaioli, i re cialtroni di ogni tempo. Il suo, in definitiva, è un disperato messaggio di libertà e di riscatto contro "le leggi del branco" e l'arroganza del potere. Di lui, Mario Luzi, uno dei maggiori poeti italiani del Novecento, ha detto: "De André ha una storia e morde davvero". 

La ruota valoriale
La politica non gli interessa, anche se nel 1971 disse ad un giornale: “Al governo vedrei soprattutto degli economisti, tecnici, piuttosto che dei politici”. Vorrei solo precisare, che i tecnici a cui fa riferimento De Andrè, non erano certo quelli della lobbie bocconiana ed eurocratica che ha governato l’Italia nell’anno di grazia 2012 di nostro Signore, attraverso un suo primissimo uomo, il professor Mario Monti, con nostro enorme supplizio. “Ancora oggi non ho capito cosa sia esattamente la virtù e l’errore. Basta spostarci di latitudine e vediamo che i valori diventano disvalori e viceversa. Non parliamo poi dello spostarci del tempo. C’erano morali nel Rinascimento e nel Medioevo che oggi non sono più riconosciute. Adesso stiamo vivendo questa gran tormento per la perdita dei valori. Bisogna aspettare di storicizzarli. Penso non sia vero che i giovani d’oggi non abbiano nulla in cui credere, come molti sostengono. Hanno dei valori che noi non siamo ancora riusciti a cogliere perché siamo troppo affezionati ai nostri". Ciò per dire che lui non aveva nessuna verità assoluta in cui credere,  non aveva alcuna certezza in tasca e, quindi, non poteva regalare nulla a nessuno e gli andava già molto bene se poteva offrire attraverso le sue canzoni qualche emozione. Un pò come le prostitute di vocazione, quelle che fanno il mestiere con impegno e sono contente solo se guadagnano onestamente le loro palanche.

Human Project Brulesque Tournè Faber
Il tormento delle
interviste

Nei concerti, quando Faber doveva presentare i brani, per lui era un momento di tormenta generale, un frangente a cui avrebbe fatto volentieri a meno: “Una canzone che debba essere spiegata, è una canzone mal riuscita” diceva per difendersi contro platee sempre più folte e chiassose e una stampa sempre più famelica di notizie di questo giovane autore dotto e che parla di puttane e taglia gole d'Angiporto come fossero amici suoi. Quando presentava uno dei suoi capolavori, “La buona novella” era solito introdurre il discorso a questa maniera: “Gesù fu il più grande rivoluzionario della Storia e un rivoluzionario non può che essere laico.
Cristo non    appare mai, ma c’è   sempre.
E’ il profeta dell’amore che dalle quinte determina tutto”. E poi via due ore di musica filata senza neanche un respiro fatto voce, tutta musica e parole cantate. Erano periodi dove i giovani ascoltavano più Marcuse che Cristo, era ovvio: “Ho scritto queste canzoni in pieno ’68, fregandomene delle critiche di tutti che dicevano: ‘Noi andiamo in piazza a lottare e prendere manganellate dai poliziotti e tu ci parli di Cristo?’. Non avevano capito quanto le due cose, Cristo e il ’68, avessero molte cose in comune. Resto convinto che ‘La buona novella’ abbia una forte carica rivoluzionaria non solo materiale, ma per chi è riuscito a capirlo, anche spirituale. Pensare che quello che gli studenti chiedevano, non era poi così lontano dagli insegnamenti di Cristo”. De André, da non credente che si è professato fino alla fine degli anni '70, dopo il sequestro con la moglie Dori Ghezzi, disse: "Ora, ho qualche difficoltà se qualcuno mi bestemmia di fianco. Prima non ci pensavo neppure".


Walzer per un amore
Ma molti l'avevano ormai etichettato come un disco anacronistico proprio perché parlava di Cristo nel pieno della rivolta. Veduta corta, del resto è un dolente malessere che si perpetua a quanto vedo. Ma il lato più divertente e paradossale de "La buona Novella", fu che la Rai censurò l'intero disco, mentre Radio Vaticana lo mandava in onda giornalmente senza problemi. Strano poi che dopo l'uscita dell'Lp, molti teologi invitassero Fabrizio ai loro convegni che lui disdiceva in quanto diceva: “Io non ho nulla da spartire con la teologia, ne con l’antropologia, tanto meno con la metafisica” limitandosi a rendere più umani i tanti personaggi che erano vicini al passare di Cristo. Forse, uno dei tanti Unicum storici che i dotti e insipienti non hanno saputo cogliere. Quante chiappe dovrebbero saltare nel mondo dei dotati in cattedra, i più furbi. I più orribili.
Il poeta colombiano Alvàro Mutis e Fabrizio De André
Appunti in un battito d'ali
Come Fabrizio ha sempre cantato, anch’io credo che siano le persone a creare i problemi che non cambiano e rovinano i più indifesi. E' un gioco vecchio e automatico. Se i cosiddetti migliori di noi avessero il coraggio di sottovalutarsi almeno un po’, vivremmo in un mondo infinitamente migliore: “Le vere domande e le vere risposte, non sono fatte di parole. Sono fatte di azioni, di gesti concreti e pochi, non molti”. Su questo punto trovo una forte similitudine. “Un intellettuale non integrato, lo capisco. E’ uno che soffre, legge dentro le righe e capisce quello che sta succedendo prima e molto più degli altri, che lo capiranno dopo 10 anni almeno. Questo è il ruolo dell’intellettuale, un trono dorato solitario. Guardate Pasolini!” Mi stupì Faber quando disse.
“Se si integrano anche
gli artisti, come
sta in gran parte succedendo, c’è l’abbiamo tutti nel culo! Siamo davvero finiti! Perché l’intellettuale non ha bisogno d’integrarsi, non deve farlo proprio. E' il suo modo di vivere, al di fuori di tutte le categorie, per essere più autorevole ed equo nei giudizi. L'integrazione è sinonimo di corruzione, che sia di denaro come di cultura. Se è fottuto lui, l'intellettuale. lo siamo anche noi. L’artista è un anticorpo che la società deve crearsi contro il Potere, le arroganze dei Palazzi. Sono persone rare, molto spesso sconosciute alla massa, ma è da coloro che dobbiamo andare”. Ora, e non è una battuta, se clicchiamo su Google, "da chi andare" (provate?), la prima risposta che vi sarà fornita sarà: "Da uno psichiatra". Segno dei tempi, inconfutabile. Come direbbe Woody Allen: "Non ho paura di morire. E' solo che non vorrei essere lì quando questo succede". L'assenza della sopportazione al dolore, non è requisito odierno.
Frammenti di 800, il brano Burlesque per antonomasia

Serviva l'esempio,
giunse De      André
Come il viandante non si appella al diritto, ma all’esperienza, non gli interessa la fedina penale, ma il passato, il vissuto delle persone che s’incrociano col suo andar per direzione ostinata e contraria. Intuisco come Faber sia stato per moltissimi autori, uno spartiacque per l’innovazione della canzone, passando da “Bandiera gialla” o “Piccolo grande amore” a “Crueza de ma” o “L’antologia di Spoon River”. Potrei fare mille esempi, di personaggi che hanno detto, “se non ci fosse stato De Andrè…”: La Mannoia, Capossela, Vecchioni, Battiato fino ai più giovani come Silvestri e l’ultimo Jovanotti, la postilla su questa dato di fatto inconfutabile la ceruleò con lacca rossa e timbro, il maestro Pietro Piovani che confermò questa figura di esempio, dove la canzone poteva essere anche accostata all’amore, alla guerra, ai diseredati, denunciando il potere fine a se stesso ma poteva essere qualcosa di più. Oggi è semplice cantare di omosessualità, delle carceri che sono orrori di fronte gli occhi di tutti, delle maggioranze e dei loro stermini a scapito delle minoranze. Era impossibile pensarlo di poterlo fare anche quando Gaber cantava della sua “Torpedo blù”. Serviva l’esempio: Fabrizio De André nacque nel 1940 anche per questo, oltre che per bere.
Per     Faber,
la poesia    non è
tanto Dylan che considera comunque uno tra i più grandi esempi della cultura mondiale musicale, ma in Brassens la cultura è un sostrato necessario e Fabrizio trova più facile il territorio della poesia, perché un vecchio è più imbevuto di alcol e di cultura. “In questo Brassens è un giovane, molto più giovane di Bob Dylan” e infatti del narratore di questioni francesizzanti, suonò mezzo repertorio e arrivò a dire quello ho detto all’inizio io di De André, ossia, che se non avesse conosciuto Brassens, De André non saprebbe se avesse vissuto come ha vissuto, facendone la cifra totale della sua esistenza musicale e culturale. Non volle mai incontrarlo di persona, evitandolo appositamente in certe occasioni, per timore di rompere questo idillio che era scoppiato nell'anima del giovane Fabrizio. Un metre-à-pensar, come avrebbe detto Faber. “Con Cohen è stata una specie di infatuazione, non regge il paragone con gli altri, soprattutto con Brassens. Una attrazione quasi mistica, del resto ogni sua canzone, alcune autentici gioielli, sembrano invocazioni da cattedrali. Quando canta sta con le mani conserte e guarda in alto. L’ho visto diverse volte in questa posizione evocativa”. Una delle prime canzoni che scrisse, Il testamento, la fece ascoltare all’amico Gino Paoli, che appena finita disse: “E’ bellissima! Ma dopo una canzone così, cos'altro puoi scrivere?”, per sua definizione rimase come "sciroccato" dalla forza del testo e dalle tonalità oscure della musica che Fabrizio era riuscito a comporre.
Fabrizio De André con Fernanda Pivano
Anche lei in direzione ostinata e contraria, un talento smisurato nel tradurre non solo le parole, ma l’anima e lo spirito di un’epoca. Sulla strada che corre verso l’Ovest del futuro. Libero chi legge, recita il titolo della meravigliosa raccolta di scritti pubblicati ad un anno dalla sua morte, nel 2010.
All'origine,
una goccia splendore
Diceva di andare in “direzione ostinata e contraria” e come lo faceva lui, così chiaramente, non è riuscito a nessuno. Si possono fare dei paralleli, ma nulla è concesso a similitudini. Anche in campo estero, lo evidenzio perché in molti avranno pensato Cohen, Brassens, Brel... Certo, per uno che come lui riteneva brutta ogni sua canzone appena la provava a cantare di fronte ad un pubblico non potrebbe essere diverso. Per lui era certo, anzi autentico, il quid che l’ha spinto a scrivere ogni suo testo, quella canzone, quel libro, quell’articolo. “Una canzone che ha bisogno di essere spiegata è una canzone mal riuscita” come a rinforzare questa ipotesi all’origine di ogni “goccia di splendore” e disfarla appena questa diviene pubblica, un prodotto musicale, un titolo in mezzo ad altri a fare a cazzotti per essere più in alto.
Meglio     Gaber,
per quelle     cose


Quando Pasolini disse che gli italiani erano 54 milioni di fascisti, gli ho dato perfettamente ragione”. Quando una persona si sente frustrata ed è costretta ad ubriacarsi sconciamente ogni giorno per riuscire a superare le proprie frustrazioni. Accade l'impotenza. "Una sera Mina m’invitò a cena con la mia ex moglie Puny per chiedermi se volevo fare una tournè con lei in teatro: mi dice, 'Tu conquisti le platee, io il loggione'” gentilissima" ma Faber le rispose di no. Ero terrorizzato solo all’idea di cantare in pubblico, poi assieme a Mina sarebbe stato una debacle". Così Mina si rivolse a Gaber, che accettò subito. Ecco Gaber è l’esatto opposto di De André, il senso del pubblico gli scorre nelle vene. In questo senso Gaber è un Papa, Faber, nonostante la sua grandezza, neanche un catecumeno.


Stregato     dalla Sardinia
"Rimini, è un disco molto triste, terribile a tratti”. Forse è vero che è un disco di passaggio, ma sbaglieremmo a considerarlo secondario, perché Fabrizio, in Rimini, dove vanno a passare le loro vacanze estive un certo tipo di persone, seguendo certi tipi di clichès e codici di comportamento, scoppia tutta la piccola borghesia, nei suoi lati peggiori, un cancro molto diffuso ed estremamente pericoloso, perché non prende mai posizione. E, in ultima, il sottoscritto, a Rimini, ci ha vissuto per 25 anni. “Non faccio nomi, perché le persone cambiano, i fatti restano e fanno la storia, conformano la fisionomia di una città”. La prima volta che la sentì, quando ascoltai: “Ma voi che siete a Rimini, tra i gelati e le bandiere”, ho capito che ci aveva sgamato e non c’era attenuante o storia a cui appigliarsi per venirne fuori, non vi era giustificazione che reggesse a quel brano. Anche perché Federico Fellini, disse Faber, c’aveva già pensato molti anni prima di lui con “I Vitelloni”. Esiste una sorta di nemesi, che ogni tanto annienta i malfattori, ma non ne annulla le malefatte. Per questo, forse, la Sardegna lo stregò, Rimini non era dolce.
Fabrizio nella sua tenuta a l'Agnata

Kraus, Lenin, poi Bakunin

Vladimir Ul'janov Lenin diceva che l’etica è l’estetica del futuro. Grazie al cazzo, preferisco Karl Kraus che ribadisce che l’etica è l’estetica sono una sola cosa già ora e da sempre! Come sono convinto che la giustizia può diventare arte se coltivata con passione personale, come possa divenire la tortura di chi non ha difese alla stessa sua altezza. E non trovo nulla di più etico ed estetico di un disco incentrato, basato sui Vangeli apocrifi. Ma Bakunin fece ingresso nel pensiero dell’ancora giovane De Andrè: “Capì che gli anarchici sono dei santi senza Dio, dei miserabili che aiutano chi è più miserabile di loro”. Partendo da questa scoperta si è concesso il lusso di parlare anche di Gesù, prima in "Si chiamava Gesù" e poi ne “La buona novella” e oggi mi viene il dubbio che anche lui non fosse che un anarchico convinto di essere Dio. O forse questa convinzione gliela hanno attribuita altri. Da Bakunin passò a Stirner, e da una visione collettivista ne scoprì una molto più profonda, quella individualista. Dopo tutto ci vuole troppo tempo a trovare gente con la quale vivere quelle idee dai più ignorate, così se le viveva da solo. Più semplicemente, ricordo che in tv gli chiesero come immaginava la società del Duemila. E lui, in modo estremamente distaccato, rispose più o meno così: una società per lo più nomade, separata da due diverse fruizioni dell'economia. Da una parte coloro che riusciranno ancora a scambiare denaro contro merce e dall'altra un'economia che si potrebbe definire del dono, se non addirittura del mutuo soccorso. Penso che gli individui che utilizzeranno questa seconda forma di scambio saranno più numerosi degli altri e probabilmente migliori, più ricchi da un punto di vista spirituale.
Un murales ad Orgosolo in Sardegna dedicato a De André

Un borghese che tradì
le sue origini
Ad un certo punto lo definirono proletario. “Proletario io? Ne si ne no. E’ pur sempre un’etichetta, sicchè la rifiuterei, come rifiuterei tutte le etichette che nel corso degli anni hanno cercato di appiopparmi addosso”. Comunista, democristiano, socialista, borghese, ecologista, persino fascista. “Se sono più modestamente un anarchico, è perché l’anarchia prima ancora che un’appartenenza, un catechismo, un decalogo, tanto meno un dogma, è un modo di essere dello spirito, uno stato d’animo, una categoria dell’anima”. Tutti lati del suo carattere che lo accompagnavano da quando era bambino, quando preferiva giocare a biglie e scommetterci sopra e inventare parolacce per strada con una bande di compagni, piuttosto che stare in casa a fare il signorino di buona famiglia, quale comunque era e quale è rimasto per molto tempo, fino ai 17 anni, vivendo sulla sua pelle la drammatica schizofrenia di chi abita contemporaneamente da entrambi i lati della barricata. Un magnifico borghese che tradì le sue origini sociali per cantare in chiave trobadorica medievale di prostitute, disertori di guerra, amici fragili, barboni, indiani uccisi da un "generale di 20 anni con occhi turchini e giacca uguale e figlio del temporale".



Ministri di temporali
La domenica delle salme è un grande affresco in stile Bruegel: in esso la supposta fine della storia viene smascherata per quello che è: un'altra delle tante menzogne che i poteri utilizzano per celare l'avidità oscena del loro potere protetto dalla legge. De André li vede tutti, non ne perde uno: "i trafficanti di saponette (che mettono) pancia verso est", "la scimmia del quarto Reich che balla la polka sopra il muro", "il ministro dei temporali / in un tripudio di tromboni / che auspica la democrazia / con la tovaglia sulla mani e le mani sui coglioni". La domenica delle salme, non si udirono fucilate e il gas esilarante presidiava le strade.

De André con Mauro Pagani
La     domenica della salme si portò     via tutti i
pensieri e le regine del tua culpa affollarono i parrucchieri. E' un vero collage d'immagini che come il gico del riflesso del vetro, specchia una società malferma, muffosa, incapace a reagire di fronte ai suprusi del potere contro le minoranze. Come non rivedere, quasi fosse un vecchio documentario, le immagini di chi, nei decenni scorsi, guadagnava un applauso in più (con il corrispettivo aumento del conto in banca) recitando solidarietà con saluti a pugno chiuso e che oggi, magari, l'applauso in più e l'ingrossamento del portafoglio lo guadagna con monili tricolori all'occhiello della giacca? Ma come, insieme a loro, non vedere anche tutti coloro i quali applaudivano o si indignavano a comando e che continuano ancora oggi, impotenti comparse, a "gonfiarsi" nelle piazze (il popolo delle piazze) e davanti ai tribunali "in un coro/di vibrante protesta" quando la politica della società dello spettacolo lo richieda, magari, guarda caso, proprio all'ora del Tg? 

martedì 5 febbraio 2013

Pussy Riot in Siberia (3)

Una preghiera      a
Maria per      la libertà

di Matteo Tassinari

Marija Alechina, Nadezda Tolokonnikova ed Ekaterina Samucevic (d’ora in poi Nadja, Masla e Katerina), le Pussy Riot che dalle navate della Cattedrale di Mosca hanno innalzato per 40 secondi in diretta mondiale la loro preghiera punk, ora sono rinchiuse in colonie penali per tre anni. L’accusa è di “blasfemia, vandalismo motivato da odio religioso e ostilità verso le autorità”. Tutto per 40 folli secondi che hanno inchiodato gli occhi del mondo su quanto stava accadendo nella Cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca. Una preghiera Punk, invocando l’intervento della Vergine Maria per la liberazione da un potere opprimente che lo zar Vladimir Putin, il gay macho più frocio della terra, perpetua a danno del "suo" popolo. In termini psichiatrici, gli studiosi, la chiamano "tendenza omosessuale macho-culatona”. In pratica come i Village People, il gruppo musicale degli anni settanta dove ad esibirsi c’erano un consorzio di travestiti d’ogni tipo. Al processo d’appello a Katja è stata concessa la libertà vigilata, mentre Màsa e Nadja sono state trasferite in colonie penali, rispettivamente in Siberia e Mordova.
Nadja e Màsa prima d'essere disperse nella sperduta Siberia
 I Gulag al tempo di Putin

Colonie penali, le chiamano. In Siberia le considerano uguali ai vecchi Gulag. Con gli stessi intendimenti e finalità. Si va dalla spoliazione delle proprie convinzioni alla "profanazione" della personalità attraverso metodi violenti e privazione dei diritti fondamentali, frustrazioni e riduzione in schiavitù. Ma in quei fantastici, irripetibili 40 secondi, Putin non gli devono essere proprio piaciuti. 40 secondi per non morire, e che hanno fatto breccia in una dittatura silenziosa, ma terribilmente feroce e opprimente. “Prima di tutto viene quello - dice Nadja dalla sconfinata provincia di Perm all’inizio della Siberia. "Neanche la paura del Gulag o Colonie Penali, dove mi trovo ora e chissà fino a quando rimarrò. Qui, se duri un anno, in queste condizioni, sei già fortunata. Bisogna essere forti, soprattutto moralmente, convinte e ferme sulle proprie idee che Cristo è con noi e non con il Patriarca russo Kirill. Se ti lasci andare fai il loro gioco e sei finita senza che nessuno possa vederti, perché qua non esisti e la propria assenza la vivi quotidianamente. Non vedo mio figlio da quel giorno che ballammo nella Cattedrale di Cristo Salvatore”.

Morire per delle idee?
“Ora mi tornano alla mente tutti i libri letti e scritti da Aleksandr Solzenicyn”, lo scrittore e storico russo che attraverso i suoi scritti ha fatto conoscere al mondo le mostruosità avvenute nei Gulag, paragonati ai campi di sterminio nazisti ma ritenuti più silenziosi anche se le vittime, affermano gli studiosi, sono certamente di più. Erano considerati i campi di lavoro forzato per i dissidenti del sistema sovietico.“Mi sembra” continua Nadja, "di sentirlo parlare.
Finalmente capisco
in pieno il senso di quelle parole. Qualcuno che parla di rivoluzione vera e a tutti i costi, basta con le teorie e alle analisi, piantiamola di parlarci addosso, smettiamola di dire, dire e non fare nulla. Servono gesti forti, azioni che portino l’attenzione sulla repressione del due politico religioso, Kirill e Putin”. Viene in mente “Morire per delle idee” di De Andrè, dove irride i Movimenti italiani dal ’60 ad oggi cantando: Ora se c'è una cosa amara e desolante, è quella di capire all'ultimo momento che l'idea giusta era un'altra, un altro movimento, moriamo per delle idee, va bè, ma di morte lenta. Gli apostoli di turno che apprezzano il martirio lo predicano spesso per novant'anni almeno”. Sempre geniale Faber, libero da ogni schema di parte e qualsiasi bon ton, dai Rolex agli Eskimo di una volta.
E' già leggenda
  Attacco a seni scoperti              
Il motivo per cui è nato il Movimento Pussy Riot e la performance della Cattedrale, s’inserisce in una serie di “attacchi” pacifici, a seno scoperto, suonando musica rock con chitarre elettriche, ballando, cantando, urlando l’infamia dell’amministrazione putiana che tanto piace a Berlusconi. L’unico Movimento come risposta allo scriteriato sodalizio fra Putin e la Chiesa russa. Una corporazione che mozza il fiato alla carotide del popolo attraverso una dittatura silente ma di pietra. Il Patriarca Kirill, complice in modo orrendo, ha più volte evangelizzato i fedeli in Cristo al nome del politicante Vladimir Putin e del suo mafioso establishment, insistendo senza freni nell’esortarli a non partecipare alla manifestazioni di protesta contro Putin e di votarlo. Questo è la base da cui nasce l’indignazione di un movimento mai visto prima nella storia rivoluzionaria, fatto di sole donne decise a performance che non sono rimaste all’interno della cortina di ghiaccio imposta dal satrapo nazifascista. 
Chissà perché piace a Silvio? Truccato mi ricorda il Joker
Sull'Altare, il luogo
del      Sacrificio

Penso che fosse proprio necessario, indispensabile cantare dentro la cattedrale la canzone “Maria Vergine, liberaci da Putin” e non fuori o ai margini della cattedrale, ma proprio là, sull’altare del Sacrificio, luogo severamente privato alle donne, quindi giudicate doppiamente simbolico e controcorrente. In un volantino reso pubblico dalle Pussy Riot di Mosca, si legge: “Siamo rimaste sorprese dalla campagna violenta e diffamatoria che ne è seguita” al punto che l’attore ‘tricheco biondo’, Gerard Depardieu, più largo che alto, scappato dalla Francia per diventare cittadino Russo a tutti gli effetti e affetti economici, ha detto: “Neanche a Parigi succedono fatti di tale gravità” riferendosi al concerto delle Pussy nella cattedrale. “Sicuramente in Francia le avrebbero date fuoco a quelle pazze scatenate” giusto per imbonirsi il macho Putin e alleggerire la posizione delle tre donne.

Gerard Depardieu (soprannominato Cassapanca) e Putin che gli sta lontano.
Infatti, l'idea che gli puzzi l'alito e la cute, la da il "bisteccone" francois

"Putin s'è pisciato addosso"

Ma sembrano davvero fatte di una tempra coriacea e compatta, le “Giovanne D’Arco” di Mosca. “Le minacce che abbiamo ricevuto sono sproporzionate al nostro attivismo. In realtà, crediamo che Putin si sia voluto vendicare di quella volta che abbiamo cantato ‘Putin si è pisciato addosso’ nella Piazza Rossa coperta dalla neve e dalle persone divertite. Noi, felicissime, abbiamo alzato al massimo il volume e i watt che le nostre casse possedevano, affinché la notizia della pipì dell’Imperatore fuoriuscita dal water, si sentisse il più lontano possibile” ha detto Màsa pubblicamente al termine del processo.  Il fatto che Dmitri Medvedev, primo ministro di tutte le Russie, si sia esposto così nettamente riguardo la questione delle Pussy Riot e a loro favore chiedendone la liberazione immediata, sta a significare, secondo tutti gli analisti che conta quasi nulla nella terribile verticistica gerarchia del potere russo. Chiaramente, l’esibizione nella cattedrale di Cristo Salvatore ha offerto il pretesto ufficiale per sbatterle in Siberia e togliersele di mezzo una volta per tutte, appoggiato da tutti i media e Poteri forti. Ricordiamo, per chi non lo sapesse, che nella storia Sovietica, l’obiettivo dei sovrani russi dei Gulag, non era quello che la pena venisse scontata, ma che ad un certo punto, imprecisato, della pena, succedesse qualcosa d’imprevisto e irrecuperabile all’internato\a. In Siberia, tanto, sparisce tutto, scriveva Aleksandr  Solzenicyn in un suo libro



Rivoluzione      in rosa
(e   gialla)

Ora, le autorità russe, è notizia di pochi giorni fa, si sono ulteriormente imbaldanzite e offese, perché nel brano “Putin si è pisciato addosso”, le Pussy, iniziano a cantare dicendo: “Rivolta in Russia!”. In queste parole i burocrati e autocrati del Cremlino hanno colto "sentimenti, intenti e finalità sovversive, atte all’istigazione insurrezionale da parte di attivisti molesti per la quiete pubblica”. Nadja, considerata una delle strateghe del Movimento, si trova nel Gulag di Perm in Siberia a fianco del fiume ghiacciato Kama e ai piedi dei monti Urali, disse quando ancora era in libertà: “Così impara a non portare i pannoloni”, ironizzò riferendosi a Putin in una conferenza stampa dov’era presente anche il campione del mondo di scacchi e attivista Garry Kasparov.
Quando il senso della misura è pura propaganda
"Cristo, nella Russia di Putin,
sarebbe     un teppista"


E’ difficile sopportare la lontananza da chi fa parte della propria vita: “A me non mi ferma neppure la consapevolezza di rischiare il Gulag a causa del mio attivismo” dice Màsa  dispiaciuta per il fatto che gli è vietato leggere. “Non ci è permesso ricevere libri. Mia mamma mi ha spedito la Bibbia, l’unica eccezione. Ma ancora non è arrivata”. Gesù fu accusato di blasfemia da Kaifa, sommo sacerdote e capo del sinedrio ebraico. Oggi, 2mila anni dopo e con l’articolo 213 della costituzione russa, Cristo sarebbe stato accusato di teppismo. "Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali. Più umilmente, io predico ballando nella Cattedrale di Gesù al suono del Punk Rock, la mia libertà. Predico senza volere nulla in cambio se non la possibilità di vivere in un posto dove si possa parlare di ciò che si vuole e non si è sottomessi ai sempre più pochi ricchi e sempre più potenti. La Russia, sta marcendo perché i russi non si rivoltano e la chiesa Ortodossa è collusa alla mafia della Duma” conclude la corrispondenza di Màsa.
Un arsenale alla fine della guerra fredda mai esplosa nel film "Lord of war"


I nuovi
ricconi russi
La Russia, secondo un rapporto di "Médecins Sans Frontières", è tra i primi dieci Stati più corrotti al mondo. La corruzione, l’abbruttimento dello Stato sociale ormai inesistente, soprusi di ogni genere sedati con la violenza e l'omicidio, dipingono un Paese che s’è trovato con gli arsenali pieni e le guerre terminate. Molti ricchi russi sono divenuti tali grazie al commercio mondiale di quelle armi in disuso per gli arsenali, ma non per le guerre in Africa, dove vengono pagati in diamanti, droga o materiale utile all’industria bellica moderna. Chi compra più i Kalasnikov Ak-47, se non quelle popolazioni come la Siria, o tutto il Corno d'Africa, che insanguinano le strade e campi al ritmo di centinaia di morti a massacro, cioè quando ancora dai media come notizia non è considerata una tragedia? Oggi, per farla corta, la Russia è diventato un Paese che s’è allargato troppo e in silenzio e che ha ruoli di primo livello nei rapporti import-export in affari di turpi origini: armi, droga, pietre preziose, prostituzione, organi umani, esportazione di modelli mafiosi. Una polveriera pronta ad esplodere e far molto rumore.
Le Pussy Riot durante i loro 40 secondi di protesta
contro Putin nella Cattedrale di Mosca



40 secondi per denunciare Putin

Queste tre donne, poco più che ragazze, sono di costituzione culturale e intellettuale alta e non hanno nulla a che vedere con la Ciccone o Yoko Ono che hanno subito raccolto la palla al balzo per offrire la loro solidarietà a chi non l’aveva chiesta. No, loro non ascoltano la Ciccone dagli Abruzzi e sapranno per notorietà chi è la Ono, la donna che uccise i Beatles, e se ne curano poco. Parlano invece molto del filosofo Nikolaj Aleksandrovic Berdjaev, dissidente anticomunista, espulso dalla Russia dai Bolscevichi per emigrare in Francia o di Michail Bulgakov che non appoggiò mai il regime di Stalin e per schernirlo, in molte sue opere come “Cuore di cane” o “La corsa”, lo derideva attraverso slogan davvero raffinati. Le Pussy Riot non hanno solo monopolizzato le luci della ribalta mondiale con poco o nulla (ma tanta spregiudicatezza e creatività da spaccare!) e grazie alla loro disperazione e i loro abiti dai colori sgargianti e vivaci, i passamontagna colorati forte, rosa, gialli, verdi, blu. Qui sento odore di santità.

Protesta Pussy Riot, Cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca

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Nadja in uno dei trasferimenti per poi sparire alla periferia di Perm in Siberia

L'asse    Tiennamen-Mosca
Le attiviste incarcerate sono esperte di repressione putinista, lo si capisce dai loro florilegi passati, dalle loro lettere. Allo stesso tempo però riescono a sfoderare un sarcasmo irresistibile. Quando penso alla canzone “Putin si è pisciato addosso” comincio a ridere, un riso amaro, d’accordo, ma la risata è assicurata. Come è assicurata la commozione per queste belle, dolci e forti donne. Soprattutto il loro reale indignato stupore per il regime che le vuole stremate e servili, che le ha rinchiuse ricoprendosi di vergogna come tutti sanno, mi ha conquistato. Si quell”’indignato stupore” mi ha steso. In questa fase dobbiamo essere il megafono delle loro straordinarie imprese e voci illuminate. Anche se in prigione, le Pussy Riot stanno vincendo agli occhi del mondo, come il ragazzo che in piazza Tiennamen fermo una colona di carri armati con due bandierine. Certo, per loro, e chissà per quante altre persone, non è così semplice, ma sono loro per prime a darci il coraggio, la forza di dire no a chi ti vuole cambiare, a chi non gli stai bene così come sei e allora ti devasta fino allo sconquasso totale, fisico e psichico. A voi non tremerebbero le vene celesti dei polsi?
L'artista Petr Pavlenski si è cucito la bocca a sostegno delle Pussy Riot
Le vuole stremate e servili
Nadia, invece, dice di non essere irritata per il fatto d’essere rinchiusa in una Colonia Penale in Siberia. Nutre però un rancore politico, vero come il mio nome, dalle dimensioni colossali. Gli è insopportabile la negazione di qualsiasi libertà: “E’ sul campo dei diritti civili che si gioca il destino del mondo”, ha detto Nadèzda o Nadia. “Bisogna scorgere il disegno superiore nei piccoli gesti, la tendenza precisa in un insieme di segni che sembrano casuali, ma che in realtà sono originati dall’insopprimibile desiderio di poter essere chi sono, senza dover piacere per forza a qualcuno che t’impone un regime di vita che è avverso al nostro”.
Il metropolita Kirill di Smolensk e Kaliningrad, Patriarca di Mosca. 
Solo il suo orologio costa 25 mila euro. Alla notizia, lui ha smentito

Siamo tutti    Pussy Riot
In un volantino precedente alla ballata punk rock in cattedrale, a firma delle 40 ragazze che hanno partecipato all’intera impresa, c'era scritto: “A preoccuparci è il fatto che lo stesso luogo sacro che lei, Patriarca Kirill, crede profanato da noi, sia indivisibile da Putin! Ecco perché cantiamo alla Madonna con fede autentica di cacciare da questo posto chi disonora la casa di Cristo. Lei,  con il suo comportamento politico, economico, sociale e religioso disonora i più alti ideali umani in Russia e tutti i precetti della fede come un’offesa a ciò che è sacro. Nella preghiera-canzone abbiamo espresso il nostro dolore, condiviso da milioni di cristiani russi, perché lei, Patriarca Kirill, ha permesso che la religione diventasse l’arma di una campagna politica sleale, perché ha spinto i fedeli a votare per una persona le cui azioni sono ben lontane dalla realtà divina. Noi non possiamo avere fiducia in lei Patriarca Kirill se permette e incarna questo comportamento che del cristianesimo non ha nulla. Anzi, senza forse, il sistema politico russo, è lontano come il sole dalla terra, riguardo alla voce della rivoluzione per disperazione e libertà. Pregheremo per tutti coloro che ci augurano di scontare anni e anni di prigione e tortura in questo inferno bianco, dove esiste solo la neve e finestre con vetri spezzati. Nel mondo d’oggi non si può considerarsi cristiani e volere la prigione per come viene considerata”.

















E' tanto, troppo di più

Quel che fa più rabbia in questa storia, è che un fatto del genere, così palese, evidente, chiaro, che è riuscito ad andare sotto i riflettori dei magici Network principali americani, panarabi e di tutto l'oriente, Europa compresa ovviamente, non può chiudersi facendo finta che non sia successo nulla. Perché qualcosa è successo quel pomeriggio in agosto in cattedrale. Oggi e per sempre, siamo tutti Pussy Riot!, guai a colui\ei che pensa ad una bravata adolescenziale. E' tanto, troppo di più.