Notti notturne

mercoledì 18 giugno 2014

Gabo, un secolo a Macondo

   Marquez
 scrittore a
Macondo
         di Matteo Tassinari 
Ogni scrittore sa che la prima battaglia di un'opera si combatte quando se ne redige l'inizio. E’ a partire da lì che l'autore può sedurre il lettore, tante volte distratto se non diffidente o peggio ancora indifferente, o perderlo addirittura del tutto, definitivamente. Quando il grande scrittore Gabriel Garda Marquez (1927-2014), scrisse le prime frasi di “Cent'anni di solitudine” (già il titolo è una magistrale stoccata), imbroccò la dimensione giusta: “Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendìa si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio”. La magia del narratore ci sta per intrappolare.
Macondo, era un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano...
Realismo magico,
del quale Marquez fu maestro, è imprescindibile allontanarsi nel tempo, narrare lo straordinario e il solito alla stesso modo, con la stessa intensità, assegnare ai ricordi il valore del mito, e tutto ciò con la massima scioltezza, è materia di grandi Narratori, proprio con la "N" maiuscola. In questo caso, con la “M” di Marquez, maiuscola, colui che ha ridato vita e dignità alla cultura dei popoli sudamericani, rendendoli protagonisti come tutti gli altri abitanti del pianeta, grazie alle vicende profonde, vive, crude, aspre, ma sempre riuscite, mai scollegate dalla realtà e stanchi come esausti di essere considerati gli ultimi della terra. "Sono latini i popoli più solari" era l'opinione dei Paesi sudamericani del narrante.
Il Narratore
 architettonico
Munito e abile nella narrazione, agevole, fluente, spedita e disinvolta a tutto e a tutti, Marquez è lo scrittore prospero e potente, continuamente pervaso di un’ironia tagliente, quasi inevitabile, data dal destino, che in Sudamerica è visto da molti come la voce misteriosa di Dio.
Grande amico del poeta Alvàro Mutis, che come lui era colombiano ed entrambi provenienti da quella formazione culturale legata a filo doppio ed estremamente all'umanesimo moderno o odierno, non importa la definizione attuale, il punto di partenza è l'uomo coi suoi bisogni, i più profondi e quelli più semplici, ma che tali non sono mai. Fu proprio Mutis ad ispirare Fabrizio De André nel suo ultimo album "Anime salve", e in maniera particolare nella fantastica "Smisurata preghiera" che forse sarebbe più corretta definirla un'invocazione, più che una canzone, seppur di livello molto alto. Faber scoprì l'ennesimo tappeto di nuovi e stupendi versi, quelli della summa del "Gabbiere di Maqroll" e il suo "consegnare alla morte una goccia di splendore".
Alvàro Mutis poeta scrittore colombiano
Il Diniego di Pasolini
I suoi capolavori strutturati da complesse tocchi architettonici narrativi, spesso intrecciati fra materia e mistero, storia e leggenda, con una struttura di interpretazione molteplice di livelli di lettura, soprattutto metaforico, con un uso sapiente di allegoria ed figura retorica di tipo sintattico. Doveroso ricordare lo sfregio che Pier Paolo Pasolini volle fare allo scrittore sudamericano, definendolo un grande bluff in suo “Scritto Corsari” pubblicato dal Corriere della Sera, dove lo definiva un furbo della rivoluzione socialista in sudamerica, contigua con potere spessi affiliati alla Cia.
Contin
l’intellettuale
italiano:
Márquez è indubbiamente un affascinante burlone, tanto è vero che gli sciocchi ci sono tutti cascati. Ma gli mancano le qualità della grande mistificazione (Dante fu un mistificatore?, è la domanda che un dantista tedesco pose all’orecchio di un suo collega, come riferisce Contini?
Se Cent’anni di solitudine, romanzo considerato come l'opera maggiore dell'autore pubblicato originariamente da una casa editrice Sudamericana di Buenos Aires nel 1967 e in seguito è stato tradotto in trentasette lingue vendendo la bellezza di 25 milioni di copie: "Ricorda un po’ Il Gattopardo, anche per gli equivoci che ha suscitato nella palude del mondo che decreta i successi letterari, questo significa che fra Tomasi di Lampedusa e Marquez non ci sia molta distanza". Così Pasolini su Marquez, e non aggiungo, ne tolgo nulla. Lascio il giudizio singolo ad ognuno, senza condizionare nulla, tenendo la mia opinione per me  auguri.
L'ispirazione
non         avvisa
“Lo scrittore colorato”, come lo definì la scrittrice cilena Isabel Allende, ha comunque dato alla letteratura latina la consapevolezza della propria individuale coscienza, dei propri codici sociali, della propria identità, connettendo la cultura del vecchio continente con il Pianeta intero, non per attaccarsi alla nefanda globalizzazione, semmai per non essere da essa schiacciati, conservando la tradizione del loco latino in un mondo che possa sorgere e risorgere.
La scrittrice cilena Isabel Allende 
   Un mondo    che 
     aprirà la    vena               creativa
di numerosi narratori sudamericani dal 1960 fino ad oggi. Divine l’egida popolare del suo mondo, il simbolo maximo, l’insegna irreprensibile della sua chimerica, epica, mirabile, immaginaria Macondo, la zona periferica, il settore di cinta della povertà dignitosa del fondo del fango, costruito con superbia utopia e ironia dalla fantasia clemente quanto fervida di uno scrittore colorato nei sentimenti espressi suoi suoi libri, che predilige "il loco" per dimostrare dove avviene "il tutto", perché Marquez quando scriveva era capace di scrivere per tutto, s'avvertiva l'ampiezza data identità minore, dalla Colombia ad oggi. Per questo, oggi Marquez è ritenuto lo scrittore più famoso e affermato in lingua spagnola dopo Miguel de Cervantes nel 17esimo secolo. Marquez ha raggiunto una celebrità letteraria che ha originato paralleli con grandi autori della letteratura, da Mark Twain a Charles Dickens, oltre a produrre, col suo stile, tanti altri narratori.
Isabel de Macondo, paesino di fantasia di Centanni di solitudine


Un secolo
di libertà
Il 1967, per Marquez, è l'anno della completa e totale affermazione mondiale. Scrive il suo capolavoro che lo porterà sulle vette del mondo: “Cent'anni di solitudine”, autentico diamante del cosiddetto "realismo magico". Il libro ha un successo irresistibile, fino ad essere riprodotto in 37 lingue, e stampando ben 60 milioni di copie, risultate lo stesso insufficienti in certe zone del mondo, dove il libro non è riuscito ad arrivare nonostante la richiesta.
Un libro   contagioso,
solo a partire dal
meraviglioso titolo e tutto l'immaginario che ne può scaturire, in letteratura mai lessi titolo più bello. In Spagna, solo la Bibbia ha venduto più delle opere di Gabriel Garcia Marquez, lo "scrittore colorato", in Spagna conosciuto proprio con questo soprannome datogli dall'Allende. Nel 1973, dopo il colpo di Stato in Cile, torna la passione civile per il Socialismo sudamericano indipendente dall'Impero Usa, tornando a scrivere per molte riviste, anche col cipiglio rivoluzionario, reporter su reporter, sul campo e lascia per due anni la letteratura per dedicarsi a quelli che definiva: "Le ingiustizie dei grandi a scapito dei più poveri". Critica apertamente il dittatore cileno Pinochet per la sua assoluta ferocia e la sua Polizia violenta e criminale, colpevole di aver ammazzato migliaia di persone fra attivisti politici e civili, oppure solo perché appena sospettati.
Augusto Pinochet, l'ordine pubblico grazie
alla tortura e pena di morte in Cile negli anni '70
   L'autunno
   del patriarca
Nel 1975 riprende il suo cammino di scrittore con "L'autunno del patriarca" dove effettivamente la tematica fondamentale espressa dal romanzo è che l'esercizio del potere porta ad una vita senza reali rapporti umani ma drammaticamente solitaria. Nel 1981, poi, pubblica Cronaca di una morte annunciata. Non poteva mancare il premio Nobel per la Letteratura. Lo vince nel 1982  Nobel. E’ innamorato dal socialismo e dalla sua concretizzazione nel mondo Latino.
Questo lo porta ad avere forti simpatie per l’ex leader venezuelano Hugo Chávez. Poi, giusto per non lasciarci soli, s’inventa un altro capolavoro. Alla fine di tutto, penso che il suo aforisma che suona così: "Non c’è atto di libertà individuale più splendido che sedermi a inventare il mondo davanti ad una macchina da scrivere” è la frase che esprima meglio di tutte la natura umana di Marquez, il suo temperamento basato sul'impero della fantasia, forse anche come antidoto alle angustie sociali che i popoli sudamericani sono abituati a dover soccombere. E non è affatto retorica!
Bogotà, nove milioni di abitanti, divisa in 20 quartieri

L'amore      al tempo 
dell'Aids
E’ il 1985. Nasce “L'amore ai tempi del colera”, dove pensa all'amore come ad uno stato di grazia, non come ad uno strumento per raggiungere un fine, ma come l'alfa e l'omega, in se stesso compiuto. Fa dire a Florentio Ariza: “Io sono una nullità, non guarirò mai fino alla fine dei miei giorni. La fiamma dell'amore mi ha colpito e brucio senza rimedio. Lei è una spina piantata dentro di me, è parte di me ovunque io vada e ovunque lei si trovi”, il resto rimane solo da leggere. Subito.
Nel 1999 viene colpito da un cancro linfatico, ma riesce a sconfiggere la malattia. Nel 2002 pubblica la prima parte della sua autobiografia Vivere per raccontarla. Nel 2005 torna alla narrativa con quello che è il suo ultimo romanzo, Memoria delle mie puttane tristi. Lo scrittore messicano Jorge Volpi scrive che due figure si ergono come maestri delle lettere latinoamericane: Jorge Luis Borges e Gabriel Garda Marquez.
Jorge Luis Borges

  il clima era meno

floreale
Osserva che da lontani non potevano sembrare più opposti perché (uno “bronzeo e malinconico” e l’altro “spigliato e schiamazzatore”, uno “malgrado sé stesso vicino alla destra” e l'altro “vicino alla sinistra di Fidel Castro”, incarnano cammini antitetici. Uno liscia ogni spigolo e ogni angolo, “frastorna le parole”, l’altro è “un torrenziale demiurgo di genealogie e prodigi”. In effetti, due anni prima di ricevere il Nobel, Marquez scriveva in riferimento a Borges, che fu sempre al Premio: “E’ lo scrittore con più alti meriti artistici in lingua castigliana”. Da parte sua, l'argentino, che raramente menzionava i suoi contemporanei, e si scusava dicendo che la cecità gli impediva di leggerli, quando gli dissero che Marquez si era manifestato sorpreso per aver ricevuto il Nobel prima di lui, rispose con il suo proverbiale stile: “Ebbene, devo essergli grato per questo errore: lui lo merita e io no”.
Cartagena de Indias
Arare il mare
Un romanzo come "Il generale nel suo labirinto", del 1989, costituisce un vero contributo della letteratura alla storia. È un'opera su Simon Bolivar, presentato quando, dopo aver rinunciato alla presidenza della Gran Colombia, lascia Bogotà per viaggiare a Cartagena de Indias attraverso il fiume Magdalena, alla volta dell’Europa. La morte lo sorprende in viaggio. Il personaggio è presentato anche nelle sue contraddizioni con vera magistralità.
      Si tratta di chi,
dopo avere liberato mezzo continente, si lamentava alla fine di “aver arato nel mare”. Verso la fine del suo discorso in Svezia, Marquez confessò: “Di fronte alla sconvolgente realtà che nel corso di tutto il tempo umano è dovuta sembrare un’utopia, noi inventori di racconti, che crediamo a tutto, ci sentiamo in diritto di credere che non sia troppo tardi per iniziare a creare l'utopia contraria. Una nuova e impetuosa utopia della vita, in cui nessuno possa decidere per gli altri perfino sul modo di morire, dove l’amore sia possibile e la felicità anche e dove le stirpi condannate a cent’anni di solitudine abbiano, per sempre, una seconda opportunità sulla Terra”.
Molti anni dopo, di fronte al plotone... 
In un borgo   della    Mancia
La giornalista argentina Graciela Melgarejo indicava che pochi inizi di un’opera letteraria in spagnolo saranno ricordati come questi due: “In un borgo della Mancia, che non voglio ricordarmi come si chiama” e “Molti anni dopo di fronte al plotone di esecuzione", incipit da feticisti perché si conosce l'autore. Due memorabili punti di partenza.
La straordinaria capacità narrativa che ha distinto Marquez, è diventata con il tempo proverbiale e celebre, palese e notoria. Oggi, ma non è il caso di Marquez, è possibile raggiungere la fama senza perdere il beneficio dell’anonimato. Si diventa famosi così in fretta, che di solito non se ne accorge nessuno. Perché non è facile abbandonare i racconti o romanzi di Gabo, anche solo per riprendere fiato. Qualcosa di ipnotico scaturisce dalla penna dell’autore di “Il generale nel suo labirinto” e di “Dodici racconti raminghi”, e crea complicità che noi lettori non sappiamo evitare. La gentile dismisura di personaggi e paesaggi è, in fondo, una metafora della natura e della storia di un continente. Con il sorriso e il suo modo affabile, così come la prosa, Màrquez rivendica tuttavia una giustizia e una dignità che costatava vilipendiate in molti Paesi dell'America Latina.

Non sono ricco, sono
un povero coi soldi
La tempesta e poco dopo il sole senza incertezze,
vivere al mare è un modo di essere.
Anche nella precarietà degli affetti, del lavoro,
delle situazioni si impara un certo equilibrio,
una rete di abitudini, forse sopravvivenza, 

Come un attimo senz’aria

Macondo y mariposas amarillas



Mauricio Babilonia
Da lì, il suo comunismo, la sua rabbia con le grandi potenze, il suo sogno di un orizzonte sociale più equo. Nel discorso in occasione del premio Nobel nel 1982 affermò il suo impegno civile: “L'originalità che ci viene riconosciuta senza serve nella letteratura, ci viene poi negata con ogni tipo di sospetti nei nostri difficilissimi tentativi di cambiamento sociale.
Perché pensare che la giustizia sociale che gli europei d'avanguardia tentano di imporre nei proprio Paesi non possa essere anche un obiettivo latinoamericano con metodi diversi in condizioni differenti? No: la violenza e il dolore smisurato della nostra storia sono il risultato di ingiustizie secolari e amarezze inenarrabili, e non una congiura ordita a tremila leghe da casa nostra. Tuttavia, molti dirigenti e pensatori europei lo hanno creduto, con l'infantilismo dei nonni che hanno dimenticato le proficue follie della loro giovinezza, come se, non fosse possibile altro destino se non quello di vivere alla mercé dei due grandi padroni del mondo. È questa la dimensione della nostra solitudine”.
Dea, annunzia el
ritorno
Fermina Daza era in cucina ad assaggiare la minestra per la cena, quando udì il grido di orrore di Digna Pardo e il baccano della servitù e poi quello del vicinato. Buttò via il cucchiaio per assaggiare e cercò di correre come poteva col peso invincibile della sua età, gridando come una pazza pur senza sapere ancora cosa stava accadendo sotto le fronde del mango e il cuore le si frantumò quando vide il suo uomo supino nel fango, già morto in vita, ma che resisteva ancora un ultimo minuto al colpo di coda della morte affinché lei avesse il tempo di arrivare. Riuscì a riconoscerla nel tumulto attraverso le lacrime del dolore irripetibile dovute al morire senza di lei. La guardò, per l’ultima volta. Per sempre. Con gli occhi più luminosi. Più tristi. E riconoscenti che lei gli avesse mai visto in mezzo secolo di vita in comune, riuscendo a dirle con l’ultimo respiro. “Solo Dio sa quanto ti ho amata”. 
                           da l'amopo ral temr rel colea