Notti notturne

venerdì 28 dicembre 2012

Paura e delirio alla Stazione




  Ore 23,45 e


il sole      è calato


         di Matteo Tassinari
La quotidianità di un tossicomane è semplice: deve rubare soldi per comprarsi l’eroina, altrimenti non sopravvive. Non esistono mezze misure, scelte non ne ha, alternative neanche mezza, doppi sensi neppure, non esiste fraintendimento. E' tremendamente chiaro, troppa lucidità che un pò deve essere per forza sfumata. Neppure il libero mercato è così chiaro: domanda-offerta-prezzo. Nella tossicomania però t’incasini in un sacco di storie che non vorresti neppure vedere in film, ma che l'"ero" da iniettarti, t’impone di soccombere. Furti, scippi, spaccio, prostituzione, un romanzo che è meglio non leggere. O se proprio si vuole, solo leggere, non vivere. Tutto è proteso verso l’orizzonte di un sole calante, verso una latitudine di mare che non si conosce se non ci si è, sfortunatamente, già stati.
Chi fosse il gatto o la volpe ha poca importanza. Il genere era questo
  The Cat and the Fox
Ci    chiamavano il gatto e la volpe, senza aver mai saputo chi dei due fosse il gatto e chi la volpe. Eravamo angosciati dalla crisi in arrivo entro un'ora massimo e dal fatto che non avevamo un quattrino. Il destino e la disperazione, ci portò nel viale della Stazione, luogo deputato ad incontri fra omosessuali o sessuofobi in generale, gente che vivrebbe solo per il sesso in pratica, gente malata. Scrutammo le prede, io e Widmer. Cominciò la nostra guerra, o se volete caccia metropolitana. Alla fine, il fiuto da animali notturni che sviluppammo per esigenze superiori ai nostri voleri, ci portò a conoscere un tizio pelato oltre le 50 primavere. Lo facemmo soffrire molto. Eravamo in macchina per patteggiare qualcosa che lo interessava parecchio, che aveva a che fare con tempeste ormonali e testosteroni insubordinati. Terminazione nervose poco carine, molto grevi.
Città di notte

Già quel modo
dozzinale di discutere le "bastarde cose", rendeva ancora più schifosa la situazione. Una delle cose più irritanti per un eroinomane in down è il sentir ridere o sentirsi raccontare una barzelletta: l’ironia non gli si confà in quel momento. L'ironia, è una dimensione assente dal palcoscenico chiodato del tossico. Ci facevamo le pere, non eravamo gente che andava per il sottile e non aveva affatto problemi del tipo far la spesa. E le volgarità gratuite ci disturbavano parecchio. Come l’ironia. Non fate mai gli ironici con chi ha sete d'eroina, potreste finire a coltellate senza essere i primi. Potrebbe pensare che lo state prendendo per il culo per com'è ridotto, il tossico. Scappate fino a quando siete in tempo. Credetemi.
L'angelo della morte, il pusher

Molti pusher
in piazza
sono morti così, anche amici o amiche, come Pietro di Ravenna, 19 coltellate nel ventre per rubargli 14 grammi di brown sugar al lemon per squagliarla. Il tossico in down è una furia incontrollabile e il gay, inconsapevole di tutto ciò e dei seri pericoli che stava passando, riprese a cianciare: “Ci so fare di bocca, vi farò divertire fino a farvi rizzare il cazzo bello duro. Lo sapete che un uomo conosce meglio di una donna i punti più sensibili di un altro uomo, no?” disse con aria fiera di se e un'impostazione femminea innaturale come un caco con mozzarella e pandoro al cioccolato e foglie d'insalata. Ero schifato e gli occhi di Widmer notai che lo erano più dei miei. Anzi Widmer, non era schifato, era proprio incazzato e non ce la faceva più a reggerlo. Non per quello che stava dicendo, intuisco ora, a distanza di 30 anni, per come neppure 20enni c’eravamo ridotti. Ora, avendone 50 e rotti, più rotti che 50, mi sono fatto le mie ragioni che allora ignoravo profondamente. Come si cambia, per non morire, cantava la rossa Mannoia.
"Perfect day", Lou Reed. Clicca, una giornata "felice" di un tossicomane 

Preda    avvistata,
preda fottuta


Sudanti e pronti a sferrare l’attacco, quando sarà solo con sé stesso e non potrà chiedere aiuto a nessuno, quando capirà che a noi del sesso non importa nulla, allora, a quel punto, avremmo la preda stretta al muro. Era un gioco al massacro dove non vinceva il più forte o il più cattivo, ma il più disperato. Io e Widmer, in preda ad un’astinenza sempre più feroce, ci guardammo in faccia per un istante e comunicarci che avevamo trovato il modo di far soldi. Subito. I disperati eravamo noi due tossici, incazzati con tutto e tutti, in giro a quell’ora di notte e così determinati da Miss Eroin. Potevamo combinare solo cose più o meno repulse e insane. Iniziò la contrattazione: “Quanto ci dai per una bocca” gli chiedemmo fintamente interessati dalle sue voglie sessuali quando l’astinenza non ci avrebbe concesso neppure l’erezione. “Cosa? Ma io non pago. Se vi va, vi faccio un pompino, con calma, bello tirato, ma di soldi non se ne parla. Qua di cazzi in giro ce ne sono quanti ne voglio, figuriamoci se devo mettermi a pagarli. Mica ce l’avrete d’oro. O forse si? Dai tiratelo fuori qui davanti a tutti e ve lo prendo in bocca”.
*Non è viale per gay*
Delle smanie sessuali di quel tizio non ce n’è fregava niente, e l'ho già scritto. Volevamo moneta. Denaro. Soldi. Dobloni. Lira. Oro. Anche roba sporca (rubata) da scambiare subito con eroina, tipo stereo, hi-fi, biciclette olandesine protagoniste degli schifosi anni '80. Eravamo ancora sul viale della Stazione, quando l’idea geniale venne a Widmer. Come un falco, da dietro, visto che io ero seduto davanti a fianco del tizio, rubò le chiavi della macchina mentre eravamo fermi ad un semaforo rosso. Capì immediatamente cosa fosse venuto in mente a Widmer, il suo piano fu il mio senza che lui me lo dicesse e scesi dalla vettura anch’io, lasciando il tizio con la macchina ferma senza chiavi al semaforo rosso. Ma ancora per quanto?

Così   il tizio
si   trovò
fermo in un incrocio centrale della città. Per di più a motore spento e senza la possibilità di riaccenderlo. Widmer, con la faccia di un killer psicopatico gli urlò: “Dacci dei soldi o buttiamo via le chiavi della tua macchina e ti lasciamo qui a motore spento in mezzo all’incrocio con le macchine dietro il culo rotto che suonano”. E lui: “Ma che dite, siete pazzi. Chiamo la Polizia! Ragazzi fate i bravi... lo so che vi bucate”. A Widmer gli s’irrigidirono i muscoli del collo e sicuramente anche delle gambe e gli urlò in faccia: “Ah, lo sai che ci foriamo la pelle, eh? E allora brutto frocio, cazzo aspetti a darci un pò di grana”. Quel: “lo so che vi bucate”, a Widmer non era proprio piaciuto. Non gli chiesi mai il perché, ma notai che da rapina semplice, dopo quella frase, poteva diventare rapina con molestie fisiche. Lui, intanto, ormai cotto, iniziò a mostrare i primi segni di cedimento psicologico: “Quanto volete? Eccovi dieci, anzi tenete venti mila lire, eh... dieci a testa! Mi pare che sia andato bene il colpo?! Di più non posso darvi. Forza ragazzi, datemi le chiavi, sta per arrivare il verde. Per favore”.
Semaforo verde! "Voglio almeno 200mila lire!!!".
Ho pisciato    sulla
  vostra     normalità   
Vidmer  sapeva che il suo potere contrattuale poteva ottenere di più e so per certo, messo com’era, che era capace di gettare le chiavi della macchina del tizio nella fogna, lo avrebbe tranquillamente in quel momento. Il semaforo segnava ancora rosso. Penso, in qualche modo, di aver indotto Widmer a mollare dopo che c’aveva sganciato un centone, il giusto per una buona pera in due. Widmer ne voleva di più, altri soldi. Pochi secondi e sarebbe scattato il verde: “Cazzo!Dacci i soldi, bocchinaro che ti rompo il culo con un palo! Di più!!! Ne voglio di più di cento mila! Altri, questi non bastano. Voglio almeno duecento mila lire” e via altre quarantamila lire. “Dobbiamo farci una pera - sputava Widmer, ormai più alterato di un esagitato - stiamo male, abbiamo i brividi, la febbre. Lo capisci! Stiamo molto male, più di te, brutto stronzo finocchio! Dacci quei soldi... cazzo!”.


La morte è un’usanza che tutti, prima o poi, dobbiamo rispettare
Era una guerra tra  perdenti. La stazione era il luogo d'aggancio, poi il piano sequenza scattò appena il verde comparve sul semaforo. Le macchine dietro cominciavano a suonare. Il tizio sganciò altre cinquanta mila lire. Widmer, con gli occhi gonfi di cloroformio, adrenalina e down, gli tirò le chiavi nel sedile posteriore della vettura, mentre le macchine suonavano forte, come fossimo allo stadio. Noi scappammo per una stradina dalle parti del bar Nazionale, un locale che faceva angolo proprio all’incrocio dove si era svolta tutta la scena. Imboccammo una stradina di corsa che ci portò dietro ad una piazza che ci avrebbe dileguato in un attimo. Saremmo scomparsi nel buio, ma con la lira pronti a comprare un paio di grammi d'eroina. Quel poveretto scappò con la paura fra le dita dei piedi e delle mani. Io e Widmer l'avevamo già dimenticato. In testa avevamo solo due siringhe cariche di calma piatta. Obiettivo Ravenna!
Stazione di Ravenna


Nessuno    nasce cattivo,
e penso, per converso, che le circostanze esistenziali, talvolta, siano così fittamente intersecate fra di loro e così saldamente fasciate, da perdere ogni metro di giudizio umanamente possibile. Noi, io e Widmer eravamo dalla parte dei rapinatori, è un dato di fatto, quindi non c'erano proprio scusanti. Il tizio voleva fare solo un pò di sesso "alternativo", scegliendo però le persone sbagliate nel momento sbagliato e che di "alternativo" non avevano proprio nulla. Si diventa schizzinosi quando si ha una scimmia che da Cita sta diventando King kong e che ti balla sulle spalle. Un tossico in astinenza farebbe molte cose pur di aver un grammo di roba, è pericoloso, una bomba ad orologeria ma il timer non l'ha lui. Grottesca apocalisse di un fine serata di fine millennio con ritmi, rutti e contenuti di una tele-novela brasilera-romagnola, finita sotto i portici della basilica di San Francesco a comprare l’impasto e carburare ancora per qualche ora. A Ravenna incontrammo Luca. C’imbarcammo sulla sua macchina, un Cx Citroen, anche lui in piazza a Ravenna dove spacciavano le cose impuri, meno tagliate, quindi più buone. Ci fermammo sulla Romea, in un angolo. In tre fermi, in silenzio,  al buio e ad operazione finita, con i Doors alla radio con "Radio on the storm", boccheggiavamo con gli occhi chiusi e ci stropicciavamo il naso e ripetendo: “Cazzo s’è buona sta roba, si fa sentire...” e cose così. L’omosessuale non esisteva più. Non aveva fatto niente di male quell’uomo, se non capitare nel posto sbagliato, con due tipi sbagliati e nel momento sbagliato. Per noi non era altro che un meteorite silurato per un attimo in una galassia folle, giusto il tempo per capire che con due tossicodipendenti in astinenza non si cazzeggia. Ora Widmer è morto. Mi pare in Belgio, comunque da quelle parti d'Europa la.



























venerdì 21 dicembre 2012

L'eroe borghese

L’eroica       normalità di
   Giorgio Ambrosoli

         di Matteo Tassinari

Aveva invitato alcuni amici a casa sua per assistere ad un incontro di box per il Campionato europeo dei pesi massimi. Era l'11 luglio 1979 e a casa di Giorgio Ambrosoli squillò il telefono. L'avvocato alzò il ricevitore: "Pronto?". Silenzio. Solo un respiro affannato, forse per incutere più paura, come dire non ti parlo, ma so dove sei. "Pronto, chi parla", continua a chiedere l'avvocato Ambrosoli. Dall'altra parte il respiro si abbassa, fino a chiudere la comunicazione. Quasi indifferente, Ambrosoli, che di minacce ne aveva già ricevute tante, non volle dare peso al fatto. Non disse nulla agli amici con cui aveva visto l'incontro di boxe fino a quel momento. Erano circa le 22, 20. L'incontro finisce. Spegne la tv e accompagna a casa un amico. Ritorna verso casa. Sta chiudendo la serratura della portiera della sua auto, una Fiat 127 rossa. Qualcuno si accosta. Chiede: "Avvocato?". "Sì". Scende un secondo uomo dall'altra parte dell'auto: "Mi scusi avvocato Ambrosoli?". Chi parla è William Joseph Aricò, un killer italo-americano e ingaggiato dal finanziere Michele Sindona per uccidere il liquidatore della sua banca. Spara quattro colpi con una 357 Magnum a distanza ravvicinata. Ambrosoli muore all'istante.
Giorgio Ambrosoli (17 ottobre 1933 – 11 luglio 1979avvocato milanese, poi nel settembre 1974 nominato dal governatore della Banca d'Italia Guido CarliCommissario liquidatore della Banca Privata Italiana
*L'ANTEFATTO*

Nel 1971 si addensarono sospetti sulle attività del banchiere siciliano Michele Sindona. La Banca d'Italia, attraverso il Banco di Roma, investigò sulle sue attività nel tentativo di evitare il fallimento degli Istituti di credito da questi gestiti: la Banca Unione e la Banca Privata Finanziaria. Le scelte dell'allora governatore Guido Carli, erano motivate dalla volontà di non provocare il panico nei correntisti, ma nessuno pensava a quello che Ambrosoli di lì a poco avrebbe scoperto. Quasi come un vaso di Pandora aperto all'improvviso. Fu accordato un prestito a Sindona, anche grazie all'amicizia con l'amministratore delegato dell'istituto, Mario Barone. Fu così inserito al terzo livello dell'amministrazione, cambiando le regole dello statuto bancario che, fino ad allora, prevedeva solo due cariche fino a quel momento.

Le incredibili dichiarazioni di Andreotti sull'avvocato Ambrosoli


Se l'andava cercando
diceva Andreotti
Dopo le parole espresse sulla morte di Ambrosoli dal senatore a vita (a vita) e documentate in questo video dal "Divo", Andreotti cercherà penosamente, senza riuscirvi, di rattoppare qua e la cercando di sviare quello stridente per quanto dolente: "Sono stato frainteso". Una frase detta con quello stupore plastificato scolpito in faccia tipico dei democristiani doc e di chi beneficia di un'ingenuità scaltra. Ancora una volta s'è visto come il lupo perda il pelo ma non il vizio, dicendo castronerie o bestialità come questa, la più inquietante: "Il potere logora chi non ce l'ha". Il senatore si dice costernato e sorpreso dall'indignazione emersa dopo le sue dichiarazioni. "Sono molto dispiaciuto - spiegò la scatola nera di questo Paese - che una mia espressione in gergo romanesco abbia causato un grave fraintendimento sulle mie valutazioni delle tragiche circostanze della morte del dottor Ambrosoli". Con quel "se l'andava cercando", spiega Andreotti, "intendevo fare riferimento ai gravi rischi ai quali il dottor Ambrosoli si era consapevolmente esposto con il difficile incarico assunto da Carli"Il primo commento del figlio, l'avvocato Umberto Ambrosoli, è lapidario e limpido: "quelle parole si commentano da sole". 
Ogni verità contiene la sua perfezione come ogni menzogna
Intervista a Giorgio Ambrosoli
Don Chisciotte
nel mondo
Ci sono momenti, frangenti e stagioni in cui bruscamente e con malagrazia diventa tutto più prezioso, autentico, elevato. Come il saluto ad Anna, moglie di Ambrosoli, al telefono prima di dormire, per rincuorarlo nella sua ricerca, farsi sentire vicino quando un'entità più che mai astratta come lo Stato. gli aveva scaricato addosso un peso impugnabile e atroce. Sarò un idealista che crede ancora nei tanti Don Chisciotte della Mancia sparsi per il mondo a combattere le proprie battaglie per la legalità, ma quando qualcosa di robusto stava per saltare è sempre intervenuto qualcuno per bloccare ogni iniziativa dell'Avvocato.
Moderato e figlio della borghesia milanese 
Ambrosoli con Craxi
Neanche un pool gli avevano affidato, che era il minimo in un compito così temibile atrocemente potente. Anche perché non ci troviamo davanti ad un Serpico o un super-poliziotto o uno 007, ma ad un moderato, figlio della tradizionale borghesia milanese, per idee, stile di vita e di costume, avvocato. Ambrosoli si dedicò con intransigenza e semplicità a quello che era stato chiamato a fare da quello Stato fantasma in cui lui credeva. Aveva 45 anni e aveva anche la stoffa, l’intelligenza e soprattutto la forza per fascicolare in aula di dibattimento ogni ossessivo tentativo di salvataggio della banca voluti da politici di alto livello in combine con la criminalità organizzata. Mentre la loggia massonica P2 faceva da regista nell’offensiva esiziale quanto letale per screditare l'immagine di Ambrosoli.
Intanto lo
stesso avvocato
rimaneva attonito - risulta dagli scritti sue agende - scoprire la diffusione della corruzione e d'illegalità, delle trame, delle connivenze, dei tradimenti che hanno per protagonisti uomini di alto rango dello Stato, ministri, magistrati, banchieri, cardinali. L'avvocato di Milano non riusciva a nascondere il suo stupore, lo si capisce leggendo i suoi diari e le sue agendine, di fronte alle rivelazioni continue dei tradimenti, delle trame, delle connivenze che avevano per protagonisti uomini di alto rango dello Stato. Coloro che dovevano proteggere il suo lavoro, essere dalla sua parte quanto meno, quella della legge, per poi rivelarsi avversi rivali, antagonisti avversari, alleati tutti insieme per neutralizzare la legge e ogni sforzo dell'avvocato. Basta guardare che facce!
A Milano la gente ha cominciato ad uscire di casa la sera. Basta la notizia di una manifestazione, di un convegno, di un corso per lezioni, una festa perché tutti accorrano. Sono gli anni del boom, della contestazione, gli anni delle bombe passati attraverso tanti travestimenti fisici e ideologici. La situazione economica appare più serena. C'è un'espansione del credito e degli investimenti la disoccupazione cala. Qualcuno scrive che è arrivata l'ora del sentimento.
Sindona è invelenito, accusa Ambrosoli di aver nascosto documenti di aver dichiarato il falso per farlo risultare colpevole. In aula, Ambrosoli illustra i tracciati dei depositi fiduciari e il suo asettico racconto ha suggestioni romanzesche. Per questo gli avvocati di Sindona lamentano una carenza di documenti che sarebbero stati negati dall'autorità italiana, attaccandosi più alla forma dell'eloquio che alla sostanza di quel che diceva il liquidatore incaricato dallo Stato. Tutto fumo negli occhi per guadagnare tempo, il lavoro preferito e in cui sono espertissimi alcuni avocati. Il clima è teso. Intanto hanno trovato in un ufficio accanto a quello di Ambrosoli, una pistola smontata dentro un cestino nell'ufficio dell'avvocato, un segnale chiaro: "ti smontiamo come questa pistola e ti buttiamo nei rifiuti".
Sono i primi anni '60. Al centro Licio Gelli con il senatore a vita Andreotti
L'ennesimo
muro di gomma         
Ambrosoli è chiaramente impaurito e pensa alla sua famiglia. Non dice nulla alla moglie, si tiene tutto dentro per non impaurirla. Pensa alla potenza criminale di Sindona, alla sua forza mafiosa, alle sue capacità d'intimidazione a qualsiasi livello, alto o basso. Ma per questo non si ferma. Anzi, rinforza l'azione investigativa documentando i legami tra Sindona, mafia, il bancarottiere Roberto Calvi trovato impiccato sotto il ponte Blackfriars (Frati Neri) a Londra, la banca del Vaticano attraverso il presidente dello Ior Paul Marcinkus dal 1971 al 1989, il quale, grazie all'inchiesta di Ambrosoli, si scoprì che finanziò Solidarnosć in Polonia e i Contras in Nicaragua allo scopo di contrastare l'espandersi di ideologie filomarxiste, come in altri Paesi  latini, la famigerata banda della Magliana vicina a Roberto Calvi, Licio Gelli della loggia massonica P2 e i suoi contatti con politici di primo livello.
*L'inciampo*
L'avvocato, nonostante i tanti tranelli tesi, mantiene intatta la sua credibilità di testimone, di liquidatore agli occhi del mondo. Intanto i difensori di Sindona sperano di coglierlo in fallo su qualche cavillo procedurale o burocratico per togliere peso alla forza dirompente del suo lavoro che non ammetteva sbavature. Ma lo screditamento continuo dell'immagine pubblica  di Ambrosoli da parte dei legali di Sindona (e non solo) puntano su 3 elementi: 1)Ambrosoli ha gravi responsabilità per l'aiuto dato alla giustizia americana. 2)E' colpevole di aver affrettato la procedura di estradizione. 3)E' responsabile d'aver affossato la Banca controllata da Sindona a tutti i costi. Giogrio Ambrosoli viene ammazzato per questi motivi e per un'altra, forse preminente: il commissario liquidatore di Milano, diviene l'inciampo per molti e per questo diverrà la pietra sepolcrale di misteri roventi per molti personaggi potenti e discutibili, nel migliore dei casi.
Wall Street
La persecuzione
nei suoi confronti è antica, crescente. Le minacce via via sono sempre più corpose. Ambrosoli, solo, si è trovato di fronte un nemico troppo potente, legato a uomini politici di governo, alla finanza internazionale, dalla City di Londra a Wall Street alle Banche svizzere, lo Ior, i Servizi segreti, americani e non solo italiani, massoneria, mafia, banda della Magliana. Un grumo di illegalità e misfatti inconfessabili. Il rancore e la vendetta hanno avuto sempre un ruolo preminente nell'animo di Sindona. E' un giocatore perenne che affida tutto a se stesso e alla prossima mano di carte, non si sente mai sconfitto. L'avvocato di Milano viene ucciso per questo coacervo di moventi.
14 luglio 1979, funerali di Giorgio Ambrosoli. Al centro la vedova Anna, Lorenza con i figli Francesca, Filippo, Umberto
Lettera alla moglie
Anna carissima,
Sono le 21 del 25/2/1975 e sono pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I. (Banca Privata Italiana) atto che non soddisferà molti e che mi è costato una gran fatica. Non ho timori per me, semmai pressioni per farmi sostituire, ma è certo che faccende alla Verzotto e il fatto stesso di dover trattare con gente di ogni colore e risma non tranquillizza affatto. È indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il Paese. Ricordi da giovani le speranze mai realizzate di far politica per il Paese e non per i partiti? Ebbene, a quarantanni, di colpo, ho fatto politica e non per un partito, o per interessi personali. Con l’incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho sempre operato nell'interesse del Paese, che nella mia testa significava per la gente, creandomi solo nemici perché tutti quelli che hanno per mio merito avuto quanto loro spettava non sono certo riconoscenti perché credono di aver avuto solo quello che a loro spettava. Ed hanno ragione, anche se, non fossi stato io, avrebbero recuperato i loro averi parecchio tempo dopo. I nemici non aiutano e cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria e, purtroppo, quando devi firmare centinaia di lettere al giorno, puoi anche firmare fesserie. Qualunque cosa succeda, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere. Abbiamo amici che ti potranno aiutare. Sei sempre con me Anna. 
tuo Giorgio

Anni '70,
i più oscuri
Ma Anna subisce un contraccolpo emotivo acuto e ingestibile che non regge e la porta in uno stato d’agitazione. L'Italia è sotto pressione. La Dc arranca. Il Pci è un gigante dai piedi d'argilla. Anna, la moglie di Ambrosoli, di primo impulso vorrebbe partire per Roma, andare da Carli, mostrargli la lettera e convincerlo a togliere subito l’incarico a suo marito. Calcola che può farcela senza essere scoperta, andare e tornare in giornata senza che il marito se ne accorga.
Velocemente
telefona all’Alitalia e compra un biglietto andata e ritorno per Roma. Poi ha un momento di titubanza e pensa che sia meglio sentire Giorgio Balzaretti, un amico di famiglia giudicato di buon senso dallo stesso Giorgio Ambrosoli. Le racconta quello che le è accaduto, della lettera. Lui fa di tutto per calmarla, dicendogli che metterà a posto tutto lui. Balzaretti va subito da Ambrosoli e l’avvocato milanese risponde brusco: “Anna deve comportarsi come una moglie siciliana. Deve stare zitta nelle mie cose, stare al mio fianco sempre, ma sostenermi nel silenzio. Lei è l'unica che può fermarmi e questo io ora non lo voglio”. Per anni la moglie vive nell’angoscia che suo marito possa essere ucciso. Angoscia, a conti fatti, per nulla stravagante. Tenta più volte di capire il lavoro del marito, senza insospettirlo per non innervosirlo. E’ attenta ad ogni parola che dice, non gli sfugge nulla, soprattutto i discorsi con i suoi amici più cari, nella speranza di carpire e capire il mostro che minacciava la vita di suo marito. Fatica a dormire è ansiosa ma non lo vuole far vedere. Da quel giorno sa che ad ogni ora può arrivare la notizia che non avrebbe mai voluto sentire. Ambrosoli sa che la sua morte è vicina. La sente dentro di se, come un nocciolo dentro un frutto. “Lotta dura senza paura”, “La classe operaia unita vincerà”, “Basta con gli aumenti facciamo pagare la crisi al padrone” sono le urla che si portano in giro i cortei milanesi a metà degli anni ’70, periodo aspro, affannoso, teso da tutte le parti sociali e politiche.
             La foto segnaletica di William Joseph Aricò, il killer di Ambrosoli

   Pietra sacrificale
Ambrosoli fece ciò che sentiva di dover fare. Lo fece in modo grande e insieme "normale". Ed è questo modo di agire che mi fa amare quest'uomo, questa pietra sacrificale su cui si sono scaraventati addosso interessi di cricche e consorterie che hanno travolto la sua vita e famiglia. Avrebbe potuto vivere una vita agiata, tranquilla, con le sue serene abitudini e invece si battè con una furia e tenacia del tutto simili a Falcone e Borsellino. Solo a scriverle queste parole ci sente banali. Tuttavia, in faccia a tutti i portaborselacchécollaboratori di manicafiduciariservi, prestanomi, tirapiedialter egofactotumadulatoriscagnozzi, bracci destri e ausiliari, è semplicemente bello pensare che si possa essere anche diversi dai galoppini che siamo abituati a vedere a bracciate nel golfo di Messina o nella giunta regionale del Lazio o Lombardia.
La caduta degli angeli ribelli, Hieronymus Bosch


   Non seguì il
  verso del legno
La figura dell'avvocato Ambrosoli rappresenta chi ha a cuore la legalità, la giustizia fatta esigenza nella pratica vissuta nella nostra vita. Sarebbe stato facile per lui, aver salva la vita. Minuscoli cedimenti, qualche aggiustamento di rotta, abbozzare qualche nome troppo potente, seguire il "verso del legno" (un modo di dire siciliano che significa far finta di niente), qualche azione neppure visibile accompagnata da una piccola firma in calce a un foglio. All’esterno, tutto quanto avrebbe avuto l’apparenza di un atto dovuto. Ma tutto questo non era nelle corde dell'eroe borghese, nessun aggiustamento, niente mediazioni o salvataggi della banca, avrebbe significato violare la legge, far pagare il peso finanziario ai cittadini, i contribuenti italiani che Ambrosoli viveva il dovere di tutelare. Troppo enfatico? Non so che farci. Non è questione di essere alla ricerca di eroi e tutte quelle stronzate adolescenziali. Ciò che centra e sconcerta è scoprire fino a quale livello la malvagità umana possa arrivare. Centra la miseria intellettuale, la calunnia usata come arma per screditare le persone e distruggerle, centra il silenzio di troppe persone oggi ancora riverite e che hanno armadi pieni di scheletri. 

sabato 8 dicembre 2012

Kubrick, scorbutico di primo fregio


Il terzo occhio di Manitou

C’è    chi l'ha definito così. Chi invece sostiene che incarnava alla perfezione l'essenza esasperata del tecnicismo registico. Chi invece era persuaso - e intimorito - dal suo talento visionario, quella capacità di vedere le cose oltre le cose e fra le cose. Altri l’hanno bollato col marchio a dardi neri come "paranoico lisergico". Era capace di girare una scena anche 200 volte. Chiedetelo a Malcom McDowald, interprete di “Arancia Meccanica”, che con la febbre a 38 ha dovuto ripetere la scena 21 volte, proprio quando veniva bagnato e malmenato dai suoi ex amici Drughi, per volere del regista. "Perfezionismo patologico", lo chiamo io, per la sua impeccabile pulizia narrativa e scenografica.
Drughi al Milkova Bar bevono Latte più o "migliorato" con Perfettina, sostanza allucinogena che stimola l'input della violenza nell'uomo. Una scena di "Arancia meccanica".

Perfezionismo patologico"
Sty.KuB.

Kubrick era      questo
e tanto altro, penso molto più di quello che abbiamo capito di lui. Ho sempre rifiutato l’idea balzana e pseudo romantica dell’artista che appartiene ad un altro pianeta, chimerico, epico, fantastico e inaccessibile. L’ho sempre rifiutata perché mi pare fosse una gran cagata, oltre che un luogo comune insopportabilmente triste e cerebro labile. Ma se dovessi fare un’eccezione e frantumare per un attimo questa mia “regolina”, penso che il regista più isolato per scelta e che navigava davvero in un mondo inesplorato e senza mappa, era proprio Kubrick. In questo senso il labirinto di “Shining” diviene la conferma di questa segregazione sospirata quanto bramata e bagnata di Lsd 25, per sua stessa ammissione. Anche sul set di Arancia Meccanica (e si vede) ha fatto ampio uso di Lsd, rumoreggiava lo stesso McDowald che appena poteva si vendicava del regista padre-padrone, anche parlandone male. Per lui era prassi regolare vivere nel castello St. Alban's, a due ore di macchina da Londra e vivere il suo spazio interiore immerso in questo edificio immenso e isolato.
Addio
alle scene?

Dopo 3 Premi Oscar,
7 Golden Globe e un David di Donatello, l’attore americano Jack Nicholson, a 76 anni, “potrebbe decidere di ritirarsi”. Secondo il sito web RadarOnline, che cita una fonte di Hollywood, “la sua memoria non e’ piu’ quella di una volta: non riesce piu’ a ricordarsi le battute da recitare”. Tornando a quel labirinto di gelo all’esterno dell’albergo Overlook in Colorado in "Shining", dove Jack Nicholson alcolista, sperduto tra le montagne e distante ore di viaggio da qualunque centro abitato, vuole fare a pezzetti con un ascia la sua famiglia, bimbo compreso, perché glielo hanno detto due bambine morte un secolo prima con la conferma di un maggiordomo nel bagno. Il tutto è vissuto solo ed esclusivamente nella mente di Torrance. La distanza siderale, le luci color argento, offrono la percezione dell’ossessione folle dell’eremo fatto bozzolo. Solo neve, freddo e cielo sidereo. E’ il distacco dal mondo fisico, ma a questo punto anche da quello mentale di un uomo smarrito nei dedali tortuosi della sua psiche arroventata di Jack Torrance, il personaggio interpretato da Nicholson ("il mattino ha l'oro in bocca").
Stili
 diametralmente opposti
Nel bellissimo, accorato, cerebrale "Barry Lindon", invece, il “terzo occhio di dio” trasforma quella stessa luce di crepuscolo in bellezza ed esercizi d’estetica allo stato puro. La macchina da presa diventa un gioco che registri e memorizzi la capacità versatile del burattinaio cineasta. Un autodidatta che disse giovanissimo: “Non imparai nulla a scuola d’arte drammatica. Ho imparato di più vedendo un film che leggendo pesanti e noiosi toni sull’estetica del cinema. La migliore educazione al fare film, è farne uno. I fondamenti tecnici in fondo sono semplici, mi viene naturale interessarmi di loro, e con essi scavare a fondo in un soggetto, scoprendo fatti e dettagli, mi fa piacere e mi diverte”. Un manierista ossessivo, razionale, che girava la pellicola come Messi fa rullare il pallone. Stessa poesia. Stili opposti e similari nell'atto dell'intuizione, il fulmineo barlume del genio, l'inaspettata risposta ad ogni domanda. Il 1964 è l’anno de “Il dottor Stranamore", Ovvero: "come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba”, prima black comedy nella storia del cinema. La consacrazione totale all’Olimpo giunge quattro anni dopo, con il sudatissimo “2001: Odissea nello spazio” (1968), che riceve numerosissime nomination agli Oscar, pur vincendo solo quello per gli effetti speciali. Il film è, oggi, come molti altri di Kubrick, materia di studio nelle antologie delle scuole di cinema.


Ma Hollywood è 

sempre stata contraria alla dipendenza proclamata dal regista stesso, denunciano le macchinose premiazioni che odoravano di pregiudizio. Per questo ha sempre pagato caro il conto con le Major, a causa delle sue intemperanze e dinamiche creative autonomiste e indipendenti da ogni intrusione di qualsiasi produzione. Anche se poi trovava sempre la grande casa che gli firmava in nero l'assegno per un film. Per la Major, era un incasso assicurato. Ma lo Star-system hollywoodiano lo scrisse per sempre nel libro nero in ricordo del maccartismo più bieco e oscurantista di ogni paranoica idea di cultura anticomunista e ossessivamente tradizionalista. Per questo motivo la scelta di andare via dagli Stati Uniti per vivere definitivamente in Inghilterra in un castello del 1700.


Scorbutico di
primo fregio
Kubrick rimane uno scontroso di primo fregio. Se Lebowski è l'uomo più pigro del mondo, Kubrick è senz'altro il più scostante, scorbutico e visionario oltre che grande consumatore di Lsd. Di questa sua riluttanza, ne sa qualcosa il regista giapponese Osamu Tezuka, considerato il padre o addirittura "il dio dei manga". Kubrick era un ammiratore del fumettista, tanto da averlo invitato a collaborare al progetto 2001: Odissea nello spazio, per la sezione elementi visivi e speciali. Tezuka avrebbe però cortesemente declinato per via del carattere spocchioso per il quale Kubrick era noto sul set e non solo. Si venne a sapere, per ammissione stessa di Tezuka, che era letteralmente terrorizzato dall'immagine pervenutagli di Kubrick.
Barry Lyndon
Lo spaventava la sua
stessa fama di uomo ingovernabile e anarchicamente perso. Non gli è mai stato agevole, effettivamente, affaticarsi in equipe essendo un solido quanto forte accentratore del set. Riassumendo la semantica poetica dell’opera kubrikiana, lo stesso regista, appare consapevole del fatto che la tragedia umana suprema di oggi su cui si sta dipanando il futuro stesso del creato, è quella della stupidità che può essere battuta solo dalla visione di altre possibilità. "Barry Lindon", opera museale solo per l'imponenza visionaria uscita nel 1975, è il tentativo di ripercorrere il tempo e creare un nuovo modello ambientale ripescato dal passato. Barry Lyndon è un film che assume un ruolo importante nella filmografia di Kubrick, perché costituisce il momento di maggiore libertà e distanza dai temi sociali, filosofici e politici che a Kubrick sono sempre stati attribuiti: violenza, politica, sesso. È un film fortemente visivo, un dedalo di immagini di 187 minuti ricco di immagini e riferimenti estetici (dovute alle vastissime ricerche condotte dall'autore) da farne la più ampia e rigorosa rappresentazione del Settecento che il cinema abbia mai prodotto. Una grande tessitura visiva iniziata in esterni, nella profondità di campi lunghissimi e nella fredda luce del nord, dove le figure si stagliano nette sugli orizzonti sconfinati o chiusi. Questa scelta implicò l'utilizzo di lenti rivoluzionarie, studiate dalla Zeiss per la NASA, oltre all'impiego di nuove macchine da presa messe a punto dalla Panavision Picture.
Il falò   delle banalità
Ma    Hollywood e le sue Major, tutte queste intemperanze non le gradiva affatto. Per questo gli fu sempre contro dedicandogli appena un paio di Oscar tecnici e non di sostanza. Certo non era un grande pulpito dal quale giungeva il diktat, ma proprio perché consumatore industriale di principi attivi conosceva meglio il potere delle "spezie". La tragedia della banalità di massa e individuale, quella un po’ frivola ma anche macha, è considerato detrito per il L’assenza di direzione che volge verso la ripetitività come esorcismo della nullità sparsa nelle città, diventa un deterrente ulteriore per fuggire da un mondo che non ha mai accettato ne cercato alternative a se stessi. Una tragedia di nuovo tipo, adiacente alla crisi identitaria di questo inizio di Millennio, che in Eyes Wide Shut viene ricordata non poco.



Portatore      di MidCult
Non     svettano più eroi come Edipo e Antigone, ed è un peccato ciò.  Ma si muore e si uccide in quanto portatori di Midcult, quella cultura di massa piccolo-borghese che come tale, a differenza di quella delle masse popolari, si nutre di prodotti che aspirano all'Alta Cultura, ai salotti. E’ ferma ancora al '700. L’occhio centrale scruta e s'accorge che agli uomini è vietato il soffio deistico, uomini non più parlati da dei, neppure da dei soltanto simbolici, ritornando alla polvere da cui erano nati. E non appare più tragedia, ma soltanto un bieco horror della serialità, che postula consuetudini in costume stilistici seriali.

D'ogni      demenza
il senso
Quando un regista entra nell'Olimpo dei grandi, non si può discutere su chi sia meglio di chi, anche considerando il fatto che una notevole parte dei più grandi registi attuali siano stati influenzati dalla grandezza di Stanley. Ma se pensiamo lo stesso di Scorsese o Brian De Palma, c’accorgiamo che almeno una 30 di registi hanno trafugato nel suo genio, a cominciare da Quentin Tarantino. Stanley Kubrick, moriva con il set di “Eyes Wide Shut” ancora in essere, tant’è che il finale, a mio avviso e non solo, non è stato girato da lui in quanto già morto.
Provate a farci caso
e    vedere attentamente quel film. Notate gli ultimi cinque minuti quanto siano diversi in luce, angolazioni della cinepresa, ritmo scenografico, sceneggiatura, rispetto a tutto il resto del lungometraggio, che rimane comunque e in ogni caso uno dei suoi lavori peggiori. “Preferisco non sapere come girerò una scena” diceva Kubrick “mi piace risolvere i problemi a percorso inoltrato, senza seguire una capillare disciplina di idee o qualcosa di prestabilito”. E infatti, chi ha lavorato con lui, come Matthew Modine, racconta che quando qualcosa non funzionava sul set, sospendeva tutto per mezzora e s’isolava con la sua macchina per scrivere e creare una variante rispetto al copione iniziale. E così si ripartiva. Con un poco di civetteria, fa dire a Malcom McDowald sempre in “Arancia meccanica”: “Gli idioti si affidano alla ragione, mentre i geni si abbandonano all’ispirazione”. Inevitabile leggere in quelle parole lo stile di Kubrick, vanesio per quanto misantropo. Si dice che “Arancia Meccanica” sia stato girato in grande parte sotto l’effetto di allucinogeni e verrebbe da dire complimenti, considerato il risultato ottenuto.
 Non era tipo da Fesbuc
Non è certo mai stato soggetto dedito alle feste mondane, sia per il suo carattere dark o noir, direbbero su Fesbuc, come del resto è sempre stato mal sopportato dall’establishment hollywoodiano per la troppa indipendenza e capacità di realizzare cult storici senza l’ausilio delle Major americane, perfetta metafora odierna della legge: “O con me o contro di me”. Per questo ha vinto un solo Oscar, per di più tecnico, quasi una presa in giro. Così anarcoide, era contro lo star system americano e il suo semplicistico modo di invadere ogni spazio vergine, distruggere ogni segmento naturale, ogni intenzione spontanea, e questo non gliel'hanno mai perdonato. Questo stallo idiosincratico, era la cifra dei rapporti fra un grande regista che otteneva tutto ma nessuno poi gli dava il compenso che gli spettava. Quasi una beffa, come a dire in 50 anni di grandi opere cinematografiche ad altissimo livello, vi attaccate agli effetti speciali di Odissea 2001.
Film Directors: martin scorsese / quentin tarantino/ alfred hitchcock /         
stanley kubrick / george lucas / tim burton
Disse Martin
"La gente pensa sia un peccato che Kubrick abbia girato così pochi film in vita sua. Io dico sempre che quelli che ha fatto bastano per dieci vite. Kubrick ha ampliato la nostra concezione di quello che è possibile mostrare in un film. E, secondo me, nel far questo è riuscito in realtà a espandere la coscienza che abbiamo di noi stessi. Le crudeltà di cui siamo capaci, il nostro struggerci per qualcosa a cui è impossibile dare un nome, le forze che ci spingono verso direzioni strane e perturbanti". 
 (Copy@interview N.Y.T., Martin Scorsese)