Notti notturne

martedì 26 febbraio 2013

Storico Lou, pioniere del rock

Matusalemme, pioniere rock
        di Matteo Tassinari

All’età di 72 anni
Lou Reed
equivale ad un Matusalemme nell’iconografia space rock music. La musica rock, nata come espressione giovanile di una ribellione contro l’ortodossia e le regole che ha saputo sapientemente incanalare le esigenze dei giovani di quel periodo. Come ogni rivoluzione si è trasformata in uno stato mentale più che in singoli atti di rivolta. Divenendo una sorta di rivoluzione permanente. Questa è la visione che ha accesso i pionieri del rock, dai Beatles agli Stones, dai Velvet ai Jefferson, da Dylan a Reed, tutti desideravano una rottura netta con il passato e un mondo nuovo ricostruito a propria immagine. Tutte bolle di sapone, che nell’utopia implacabile che oggettivamente rappresentava, ha dato tuttavia input nuovi ed elettrizzanti sul piano dei diritti civili. Per i giovani crescere è un peccato troppo disdicevole per essere contemplato. Quello che è certo è che Lou Reed è stato più di un animale del rock. In realtà è stato l’intellettuale adulto del rock’n roll che ha saputo, proprio come aveva fatto Andy Warhol in altri settori e anche grazie a lui veicolare la cultura “alta” in un formato accessibile alla massa. E nella musica, in pochi sono riusciti a farlo così bene.

    Più mi faccio schifo,     
più      vendo
Poco prima dell’uscita del suo album “Loaded” poco prima del ’68,  in un’intervista dove a Lou Reed viene chiesto se il rock avesse ancora qualcosa da dire, rispose: “Assolutamente si. Penso al rock come ad una grande opera, come ad un’Odissea. Qualcosa che non avrà mai fine fino a quando non ci sarà qualcosa di meglio”. In molti sono concordi nell’affermare che Lou Reed ha reinventato il vocabolario del rock, divenendo un faro alto a cui guardare per capire come vuole essere sguaiata la Fender Stratocaster, la chitarra elettrica rock per eccellenza. E’ infatti incredibile pensare che l’album che ha cambiato il modo d’intendere e di fare musica è stato registrato e mixato in appena quattro giorni per una spesa totale di circa 2.500 dollari tirati fuori da Andy Warhol. Nessuno poteva immaginare che quell’album avrebbe colpito generazioni di musicisti e ascoltatori.
Sobborghi di New York, forse più New Jersey


Suggestion      the
Sunday      morning
L’opera che ha gettonato le basi di tante correnti musicali successive. Artisti come David Bowie, Brian Eno, Iggy Pop, e poi i Rem e gli U2 fino a Sinéad O'Connor, nutrono un debito fondamentale verso i Velvet Underground e verso il loro primo album. Inciso negli anfetaminici anni ’66, esce e spopola con una banana gialla da sbucciare disegnata da Andy Warhol in copertina con chiari allusioni sessuali, rendendo l’album più agibile per il commercio discografico americano di quegli anni. Per rendere l’album meno sofista, il produttore Tom Wilson e Andy Warhol suggeriscono di aggiungere un’altra canzone cantata da Nico. Nasce così la splendida “Sunday Morning”, anche se alla fine, chissà per quali ragioni, e Lou Reed a cantarla. (http://www.youtube.com/watch?v=YuM3SteeAgY).
Lou Reed e Nico
Nico FEMME fatal
Nico, l'ottima fotomodella tedesca nota in Italia soprattutto per la fulminante apparizione ne "La dolce vita" di Federico Fellini. Era una protetta del padre della Pop Art, stessa sorte dei vari Paul Morrissey, Joe Dallesandro, Edie Sedgwick e Ultra Violet di cui il Maestro a fasi alterne s'innamorava. Diventerà una delle attrazioni principali dell'"Explodic Plastic Inevitable Show", spettacolo multimediale prodotto dalla Factory. Ma Lou Reed non è tipo da lasciarsi plasmare come cera: romperà con Nico e lo stesso Warhol già a partire dal secondo album "White light/White heat", romperà il giocattolo nel '70, lasciandone i resti fumanti nelle mani del subentrato Doug Yule. Tre anni più tardi i Velvet usciranno dalle cronache musicali per entrare nella storia. O forse dovremmo dire nella leggenda.
Nico e Warhol

  Banana Deluxe@

from      Andy   


I rapporti fra Nico e Lou diventano troppo tesi, soprattutto perché Reed sente che il gruppo è suo e mal digerisce che altri interpretino le sue canzoni, come fa Nico e la sua splendida voce. C’è anche da dire che l’inserimento della figura di un Angelo Blu nel gruppo, era stata un’imposizione di Andy Warhol, sempre osteggiata da Lou Reed che evidentemente non vuole nessuno a primeggiare insieme a lui. Inizia così una fugace fuga di Lou Reed dai Velvet, e inizia a incidere dischi che a dir la verità non riscuotono un grande successo. Infatti, dopo il clamoroso flop del primo album solista, Reed si ritrova in una situazione di grande ambiguità. Malgrado abbia speso gli ultimi sette anni creando alcune delle canzoni rock più belle che si ricordino, il suo nome è ancora nell’oscurità e la sua carriera artistica quasi fallita. Il primo a non accettare il fallimento di Lou è uno dei suoi più grandi estimatori, David Bowie, all’epoca la più famosa e riverita rockstar.
Da sinistra Bowie, Iggy e Lou

Fusion,       Transformer, Glam

Sarà lui, Bowie, a proporre al colosso Rca, il nuovo album di Lou Reed. Lou, che ha passato molto tempo insieme a Bowie, sua moglie Angie e il suo arrangiatore Mick Ronson, si trova subito a suo agio e ambisce a quel successo e a quel potere che il suo amico collega ha sulle masse nei suoi mega concerti di Londra, Los Angeles, New York. “Transformer”, in un certo senso, offre proprio ciò che offriva Warhol con la sua arte: dichiarata bisessualità, approccio con le droghe, sessualizzazione del rock, costituiscono il Glam dell’estetica “pop” di Andy.


L'amico David
Appena l’album viene
pubblicato incontra il mondo. Diventa un successo che non conosce stop. Il trasformismo di Lou Reed in “Transformer” fa emergere tutta la bellezza e la sensibilità interiore, anche nelle sue forme più eccentriche. “Vicious” è senz’altro una delle canzoni più efficaci dell’album, contraddistinta dal famoso Riff di chitarra di Ronson e da un’interpretazione vocale ambigua. Il termine “Vicious” è ambivalente. Se comunemente significa vizioso, depravato, nello slang di quegli anni e di quel periodo assume altri significati come bello e grandioso. Va detto che per Lou Reed erano periodi non semplici, sia come artista che come uomo, in questo fu determinante l'aiuto dell'amico David Bowie che l'accolse nella sua casa discografica che aveva dato carta bianca a Bowie, l'unico, all'epoca, a guadagnare anche 10 mila dollari a sera per un concerto di 2 ore, per arrivare a cifre da far girar la capoccia, stadi pieni e non sufficienti, palazzetti stracolmi, Bowie non conosceva arresti e ogni sua canzone era destinata a diventare un successo. Si comportò ugualmente con l'amico iguanone Iggy Pop. L'unico neo di Bowie è quella trazione esoterica" la chiamava lui, per il Nazismo. E dici poco? Ma le canzoni da lui scritte nel corso degli anni ritengo siano un'altra cosa, o no?
Ai cultori di copertine al vinile
Sempre assimmetrico
“Prefect day” ha trovato, meritatamente, posto nell’olimpo delle classiche ballate rock grazie anche alla colonna sonora del film “Trainspotting” di Danny Boyle, che lo fa riesplodere, riportandolo alla ribalta. Ma la traccia sul vinile che sbanca è la clamorosa “Take on the wild side”, la canzone più riuscita con un minimo dispendio di energia se così si può dire, proprio per la sua semplicità disarmante se consideriamo il suo incanto così colto. La penna che faceva tremare le rockstar dalle colonne del N.Y.T., Jhon Meddelton, scrisse: “mai proporzione simmetrica in musica ha raggiunto tale fascino, con così esigui mezzi a disposizione. Evidentemente hanno richiesto e ottenuto il massimo da ogni sessione del brano”.

walk on the wild side


L'Amleto
        nel satellite
imprigionato 
Il titolo è preso dall’omonimo romanzo di Nelson Algren che Warhol aveva in progetto di trasformare in musical. I temi centrali sono l’omosessualità, il travestitismo, uso di droghe, prostituzione e voglia di on the road per dirla con Jack Kerouac. Ma il segreto del successo di Transformer è che Lou Reed non si lascia prendere dalla didattica. Non dice ciò che è bene e ciò che è male, dice ciò che è. L’invito di Lou a fare una passeggiata con lui nel sentiero selvaggio della vita. Rimarrà un cult della musica rock and pop. Chiude una sublime “Satellite of love”, una canzone sulla gelosia che mette in risalto la poesia dell’ossessione. Il satellite non è altro che l’uomo che segue la propria donna per controllarla, un Amleto imprigionato, una mancanza di fiducia motivata da un’assoluta devozione ad un amore possessivo e tenero quanto dolcemente feroce. Bowie è il produttore esecutivo del vinile, regalandogli un successo planetario.
Il Baby di Coney Island
Ma l’anno della svolta è il 1975.
Ormai, dopo Rock’n roll animal e Sally can’t dance” lo hanno reso un fenomeno di massa, vezzeggiato, acclamato da critica e pubblico in ogni parte del mondo. Malgrado sia psicologicamente e fisicamente prostrato da dosi di eroina, è proprio in quell’anno che conosce la persona che lo aiuterà a risalire la china: un travestito di nome Rachel. Lineamenti bellissimi, con una personalità forte e un’intelligenza arguta, Rachel si accompagnerà a Lou fino al 1978, tra lo scandalo di tutti benpensanti. Ormai, per questa gente, drogata di tutti i vizi della terra, la provocazione era divenuta un lavoro, un metodo, un metro di vita. Il successo, il divismo assieme, certamente, ad una complessa ispirazione artistica oggettiva, erano padroni di narcisi più o meno dotati, giovani che si sentivano incaricati di qualcosa che nessuno aveva chiesto, ma che è pure vero, considerata l'immediata corrispondenza, in molti aspettavano.  

@ConEy Island
and kiCks@
"Coney Island Baby" diviene il disco più discolo di Lou Reed. La critica lo stronca, il pubblico dice: “Ma questi brani non sono neppure cantati, sono parlati”. Ma questa volta Lou Reed non da segni di risentimento, ma ne è anzi, compiaciuto. Del resto ha chiarito nelle note di copertina. “Alla maggior parte di voi, questo disco non piacerà. Non vi biasimo affatto. Non è per voi”. Per finire con una delle frasi più presuntuose e forti del nuovo Lou Reed: “La mia settimana vale un vostro anno. Non sforzatevi, non potrete capirmi” è il messaggio scritto nel disco.


A chiudere il disco è la title-track,
una delle canzoni più sinceramente autobiografiche dell’intera carriera del cantante, nella quale Lou getta finalmente la maschera e mette a nudo la parte più dolce di quello che è considerato dai più un “duro” del rock, ritrovandosi negli stessi panni dell’Iguanone Iggy che però ha un cammino ancora più travagliato, se è possibile. La morte di Warhol stabilisce un punto di non ritorno per il poeta transformer di New York, come ormai lo chiamano tutti. Si butta nella creazione musicale per dimenticare un lutto così grave per la sua stessa vita, una tristezza dalla quale ci vorranno due anni prima che riprenda a lavorare e fare altri tour. Ai suoi funerali, Lou incontra il co-fondatore dei Velvet Underground John Cale e insieme scrivono un Memorial dedicato ad Andy, “Songs for Drella”, esce nel 1990.
Ora Lou Reed vive a New York e suona, per quel che si sa, quando, come e dove vuole lui. Forse non ha più l'appetito di celebrità che da giovane gli mangiava le budella, per dirla in Punk Rock. Ha 71 anni va spesso al cinema e gusta pane tostato col burro di arachidi e succhi di mirtillo o sciroppo d'acero. C'è chi dice che "Siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno".


giovedì 21 febbraio 2013

Faber, Barone di Gallura

Il Barone di
Munchausen in Gallura

Quando decisi di aprire questo blog, per vostra sfiga e per mia incoscienza, lo feci per un leit motiv ben preciso. Volevo parlare di Fabrizio De Andrè con stile possibilmente diverso, fuori dai soliti strati e sub-strati. Il Munchausen della Gallura, ha sempre avuto un posto preponderante in queste pagine e nella mia vita e sono certo che se non avessi conosciuto Faber, anche di persona dopo corpose bevute e grande soggezione da parte mia, non avrei vissuto come ho vissuto. Poi venne Uma Thurman a confondere i giochi, e il frontespizio se l'aggiudicò lei senza troppi pignoramenti mentali. Ora c'è Alice, la bambina zingara, e lei rimarrà!



























Come una
troia prudente
di Matteo Tassinari
La musica lo sedusse, un po’ alla volta, come una troia prudente e senza fretta, come piace "fare" ai clienti delle "buttane" (da bottana) come diceva Faber scherzando con Dori Ghezzi. Cominciò con qualche mormorio fioco, una cascata di neve silenziosa ma cospicua. Poi divenne balbuzie e piano piano acquistò la freschezza di un linguaggio che, per quanto elementare, era comunque il suo. Un unicum fantastico, dentro solo magia poetica. Un orgasmo quasi corporeo, senza sporcare. La musica per Fabrizio, fu anche una necessità, non poteva farne a meno della sua paurosa amicizia. Lei e lui arrivavano allo stesso livello, nessuno era più importante dell'altro\a. In famiglia tutti si esprimevano in modo non truccato, in assoluta coerenza con le scelte di ciascuno.
L’avvocatura, il management,
la politica, l’insegnamento. Lui non era capace di esprimersi a quei livelli, con quel misto di vocazione genuina e, si dice oggi, di professionalità. Così scelse la chitarra e la magica fantasia dei versi per mollare definitivamente la toga, in realtà senza averla mai messa. Ma lo vedete Fabrizio De André con la toga? E' esercizio mentale che richiede molta fantasia e soprattutto fervida, una pennellata di grottesco su una tela di burlesque. Fortunatamente, diciamo ora, perché quello che non è riuscito ad altri, ci ha pensato lui. Scoprì che se prendeva una chitarra la suonava meglio di tutti i suoi amici e stupiva gli altri con quella voce profonda, stupendo se stesso, come gli altri lo stessero a sentire. Fabrizio era troppo affascinante. Qualsiasi donna negli anni '70 avrebbe pagato per passare una notte con Faber. Così divenne artista, una volta per tutte, esonerato da sciocchi cerimoniali goliardici universitari. Perché ad un musicista, quindi ad un appunto un artista che ci sa fare con le donne, nessuno gli rimprovera di essere un tipo ruvido, chiuso in se stesso, o di mangiare con le mani o scoparsi troppe fighe. Agli avvocati e agli insegnanti invece si, a loro può capitare.
Fabrizio De André e Dori Ghezzi
 I morsi    della storia 
Il suo canzoniere universale attinge alle fonti piu' disparate: dalle ballate medievali alla tradizione provenzale, dall'"Antologia di Spoon River" ai canti dei pastori sardi, da Cecco Angiolieri ai Vangeli apocrifi, dai "Fiori del male" di Baudelaire al Fellini dei "Vitelloni". Temi che negli anni si sono accompagnati a un'evoluzione musicale intelligente, mai incline alle facili mode e ai compromessi. De Andrè usava il linguaggio di un poeta non allineato, ricorrendo alla forza dissacrante dell'ironia per frantumare ogni convenzione. Nel suo mirino, sono finiti i "benpensanti", i farisei, i boia, i giudici forcaioli, i re cialtroni di ogni tempo. Il suo, in definitiva, è un disperato messaggio di libertà e di riscatto contro "le leggi del branco" e l'arroganza del potere. Di lui, Mario Luzi, uno dei maggiori poeti italiani del Novecento, ha detto: "De André ha una storia e morde davvero". 

La ruota valoriale
La politica non gli interessa, anche se nel 1971 disse ad un giornale: “Al governo vedrei soprattutto degli economisti, tecnici, piuttosto che dei politici”. Vorrei solo precisare, che i tecnici a cui fa riferimento De Andrè, non erano certo quelli della lobbie bocconiana ed eurocratica che ha governato l’Italia nell’anno di grazia 2012 di nostro Signore, attraverso un suo primissimo uomo, il professor Mario Monti, con nostro enorme supplizio. “Ancora oggi non ho capito cosa sia esattamente la virtù e l’errore. Basta spostarci di latitudine e vediamo che i valori diventano disvalori e viceversa. Non parliamo poi dello spostarci del tempo. C’erano morali nel Rinascimento e nel Medioevo che oggi non sono più riconosciute. Adesso stiamo vivendo questa gran tormento per la perdita dei valori. Bisogna aspettare di storicizzarli. Penso non sia vero che i giovani d’oggi non abbiano nulla in cui credere, come molti sostengono. Hanno dei valori che noi non siamo ancora riusciti a cogliere perché siamo troppo affezionati ai nostri". Ciò per dire che lui non aveva nessuna verità assoluta in cui credere,  non aveva alcuna certezza in tasca e, quindi, non poteva regalare nulla a nessuno e gli andava già molto bene se poteva offrire attraverso le sue canzoni qualche emozione. Un pò come le prostitute di vocazione, quelle che fanno il mestiere con impegno e sono contente solo se guadagnano onestamente le loro palanche.

Human Project Brulesque Tournè Faber
Il tormento delle
interviste

Nei concerti, quando Faber doveva presentare i brani, per lui era un momento di tormenta generale, un frangente a cui avrebbe fatto volentieri a meno: “Una canzone che debba essere spiegata, è una canzone mal riuscita” diceva per difendersi contro platee sempre più folte e chiassose e una stampa sempre più famelica di notizie di questo giovane autore dotto e che parla di puttane e taglia gole d'Angiporto come fossero amici suoi. Quando presentava uno dei suoi capolavori, “La buona novella” era solito introdurre il discorso a questa maniera: “Gesù fu il più grande rivoluzionario della Storia e un rivoluzionario non può che essere laico.
Cristo non    appare mai, ma c’è   sempre.
E’ il profeta dell’amore che dalle quinte determina tutto”. E poi via due ore di musica filata senza neanche un respiro fatto voce, tutta musica e parole cantate. Erano periodi dove i giovani ascoltavano più Marcuse che Cristo, era ovvio: “Ho scritto queste canzoni in pieno ’68, fregandomene delle critiche di tutti che dicevano: ‘Noi andiamo in piazza a lottare e prendere manganellate dai poliziotti e tu ci parli di Cristo?’. Non avevano capito quanto le due cose, Cristo e il ’68, avessero molte cose in comune. Resto convinto che ‘La buona novella’ abbia una forte carica rivoluzionaria non solo materiale, ma per chi è riuscito a capirlo, anche spirituale. Pensare che quello che gli studenti chiedevano, non era poi così lontano dagli insegnamenti di Cristo”. De André, da non credente che si è professato fino alla fine degli anni '70, dopo il sequestro con la moglie Dori Ghezzi, disse: "Ora, ho qualche difficoltà se qualcuno mi bestemmia di fianco. Prima non ci pensavo neppure".


Walzer per un amore
Ma molti l'avevano ormai etichettato come un disco anacronistico proprio perché parlava di Cristo nel pieno della rivolta. Veduta corta, del resto è un dolente malessere che si perpetua a quanto vedo. Ma il lato più divertente e paradossale de "La buona Novella", fu che la Rai censurò l'intero disco, mentre Radio Vaticana lo mandava in onda giornalmente senza problemi. Strano poi che dopo l'uscita dell'Lp, molti teologi invitassero Fabrizio ai loro convegni che lui disdiceva in quanto diceva: “Io non ho nulla da spartire con la teologia, ne con l’antropologia, tanto meno con la metafisica” limitandosi a rendere più umani i tanti personaggi che erano vicini al passare di Cristo. Forse, uno dei tanti Unicum storici che i dotti e insipienti non hanno saputo cogliere. Quante chiappe dovrebbero saltare nel mondo dei dotati in cattedra, i più furbi. I più orribili.
Il poeta colombiano Alvàro Mutis e Fabrizio De André
Appunti in un battito d'ali
Come Fabrizio ha sempre cantato, anch’io credo che siano le persone a creare i problemi che non cambiano e rovinano i più indifesi. E' un gioco vecchio e automatico. Se i cosiddetti migliori di noi avessero il coraggio di sottovalutarsi almeno un po’, vivremmo in un mondo infinitamente migliore: “Le vere domande e le vere risposte, non sono fatte di parole. Sono fatte di azioni, di gesti concreti e pochi, non molti”. Su questo punto trovo una forte similitudine. “Un intellettuale non integrato, lo capisco. E’ uno che soffre, legge dentro le righe e capisce quello che sta succedendo prima e molto più degli altri, che lo capiranno dopo 10 anni almeno. Questo è il ruolo dell’intellettuale, un trono dorato solitario. Guardate Pasolini!” Mi stupì Faber quando disse.
“Se si integrano anche
gli artisti, come
sta in gran parte succedendo, c’è l’abbiamo tutti nel culo! Siamo davvero finiti! Perché l’intellettuale non ha bisogno d’integrarsi, non deve farlo proprio. E' il suo modo di vivere, al di fuori di tutte le categorie, per essere più autorevole ed equo nei giudizi. L'integrazione è sinonimo di corruzione, che sia di denaro come di cultura. Se è fottuto lui, l'intellettuale. lo siamo anche noi. L’artista è un anticorpo che la società deve crearsi contro il Potere, le arroganze dei Palazzi. Sono persone rare, molto spesso sconosciute alla massa, ma è da coloro che dobbiamo andare”. Ora, e non è una battuta, se clicchiamo su Google, "da chi andare" (provate?), la prima risposta che vi sarà fornita sarà: "Da uno psichiatra". Segno dei tempi, inconfutabile. Come direbbe Woody Allen: "Non ho paura di morire. E' solo che non vorrei essere lì quando questo succede". L'assenza della sopportazione al dolore, non è requisito odierno.
Frammenti di 800, il brano Burlesque per antonomasia

Serviva l'esempio,
giunse De      André
Come il viandante non si appella al diritto, ma all’esperienza, non gli interessa la fedina penale, ma il passato, il vissuto delle persone che s’incrociano col suo andar per direzione ostinata e contraria. Intuisco come Faber sia stato per moltissimi autori, uno spartiacque per l’innovazione della canzone, passando da “Bandiera gialla” o “Piccolo grande amore” a “Crueza de ma” o “L’antologia di Spoon River”. Potrei fare mille esempi, di personaggi che hanno detto, “se non ci fosse stato De Andrè…”: La Mannoia, Capossela, Vecchioni, Battiato fino ai più giovani come Silvestri e l’ultimo Jovanotti, la postilla su questa dato di fatto inconfutabile la ceruleò con lacca rossa e timbro, il maestro Pietro Piovani che confermò questa figura di esempio, dove la canzone poteva essere anche accostata all’amore, alla guerra, ai diseredati, denunciando il potere fine a se stesso ma poteva essere qualcosa di più. Oggi è semplice cantare di omosessualità, delle carceri che sono orrori di fronte gli occhi di tutti, delle maggioranze e dei loro stermini a scapito delle minoranze. Era impossibile pensarlo di poterlo fare anche quando Gaber cantava della sua “Torpedo blù”. Serviva l’esempio: Fabrizio De André nacque nel 1940 anche per questo, oltre che per bere.
Per     Faber,
la poesia    non è
tanto Dylan che considera comunque uno tra i più grandi esempi della cultura mondiale musicale, ma in Brassens la cultura è un sostrato necessario e Fabrizio trova più facile il territorio della poesia, perché un vecchio è più imbevuto di alcol e di cultura. “In questo Brassens è un giovane, molto più giovane di Bob Dylan” e infatti del narratore di questioni francesizzanti, suonò mezzo repertorio e arrivò a dire quello ho detto all’inizio io di De André, ossia, che se non avesse conosciuto Brassens, De André non saprebbe se avesse vissuto come ha vissuto, facendone la cifra totale della sua esistenza musicale e culturale. Non volle mai incontrarlo di persona, evitandolo appositamente in certe occasioni, per timore di rompere questo idillio che era scoppiato nell'anima del giovane Fabrizio. Un metre-à-pensar, come avrebbe detto Faber. “Con Cohen è stata una specie di infatuazione, non regge il paragone con gli altri, soprattutto con Brassens. Una attrazione quasi mistica, del resto ogni sua canzone, alcune autentici gioielli, sembrano invocazioni da cattedrali. Quando canta sta con le mani conserte e guarda in alto. L’ho visto diverse volte in questa posizione evocativa”. Una delle prime canzoni che scrisse, Il testamento, la fece ascoltare all’amico Gino Paoli, che appena finita disse: “E’ bellissima! Ma dopo una canzone così, cos'altro puoi scrivere?”, per sua definizione rimase come "sciroccato" dalla forza del testo e dalle tonalità oscure della musica che Fabrizio era riuscito a comporre.
Fabrizio De André con Fernanda Pivano
Anche lei in direzione ostinata e contraria, un talento smisurato nel tradurre non solo le parole, ma l’anima e lo spirito di un’epoca. Sulla strada che corre verso l’Ovest del futuro. Libero chi legge, recita il titolo della meravigliosa raccolta di scritti pubblicati ad un anno dalla sua morte, nel 2010.
All'origine,
una goccia splendore
Diceva di andare in “direzione ostinata e contraria” e come lo faceva lui, così chiaramente, non è riuscito a nessuno. Si possono fare dei paralleli, ma nulla è concesso a similitudini. Anche in campo estero, lo evidenzio perché in molti avranno pensato Cohen, Brassens, Brel... Certo, per uno che come lui riteneva brutta ogni sua canzone appena la provava a cantare di fronte ad un pubblico non potrebbe essere diverso. Per lui era certo, anzi autentico, il quid che l’ha spinto a scrivere ogni suo testo, quella canzone, quel libro, quell’articolo. “Una canzone che ha bisogno di essere spiegata è una canzone mal riuscita” come a rinforzare questa ipotesi all’origine di ogni “goccia di splendore” e disfarla appena questa diviene pubblica, un prodotto musicale, un titolo in mezzo ad altri a fare a cazzotti per essere più in alto.
Meglio     Gaber,
per quelle     cose


Quando Pasolini disse che gli italiani erano 54 milioni di fascisti, gli ho dato perfettamente ragione”. Quando una persona si sente frustrata ed è costretta ad ubriacarsi sconciamente ogni giorno per riuscire a superare le proprie frustrazioni. Accade l'impotenza. "Una sera Mina m’invitò a cena con la mia ex moglie Puny per chiedermi se volevo fare una tournè con lei in teatro: mi dice, 'Tu conquisti le platee, io il loggione'” gentilissima" ma Faber le rispose di no. Ero terrorizzato solo all’idea di cantare in pubblico, poi assieme a Mina sarebbe stato una debacle". Così Mina si rivolse a Gaber, che accettò subito. Ecco Gaber è l’esatto opposto di De André, il senso del pubblico gli scorre nelle vene. In questo senso Gaber è un Papa, Faber, nonostante la sua grandezza, neanche un catecumeno.


Stregato     dalla Sardinia
"Rimini, è un disco molto triste, terribile a tratti”. Forse è vero che è un disco di passaggio, ma sbaglieremmo a considerarlo secondario, perché Fabrizio, in Rimini, dove vanno a passare le loro vacanze estive un certo tipo di persone, seguendo certi tipi di clichès e codici di comportamento, scoppia tutta la piccola borghesia, nei suoi lati peggiori, un cancro molto diffuso ed estremamente pericoloso, perché non prende mai posizione. E, in ultima, il sottoscritto, a Rimini, ci ha vissuto per 25 anni. “Non faccio nomi, perché le persone cambiano, i fatti restano e fanno la storia, conformano la fisionomia di una città”. La prima volta che la sentì, quando ascoltai: “Ma voi che siete a Rimini, tra i gelati e le bandiere”, ho capito che ci aveva sgamato e non c’era attenuante o storia a cui appigliarsi per venirne fuori, non vi era giustificazione che reggesse a quel brano. Anche perché Federico Fellini, disse Faber, c’aveva già pensato molti anni prima di lui con “I Vitelloni”. Esiste una sorta di nemesi, che ogni tanto annienta i malfattori, ma non ne annulla le malefatte. Per questo, forse, la Sardegna lo stregò, Rimini non era dolce.
Fabrizio nella sua tenuta a l'Agnata

Kraus, Lenin, poi Bakunin

Vladimir Ul'janov Lenin diceva che l’etica è l’estetica del futuro. Grazie al cazzo, preferisco Karl Kraus che ribadisce che l’etica è l’estetica sono una sola cosa già ora e da sempre! Come sono convinto che la giustizia può diventare arte se coltivata con passione personale, come possa divenire la tortura di chi non ha difese alla stessa sua altezza. E non trovo nulla di più etico ed estetico di un disco incentrato, basato sui Vangeli apocrifi. Ma Bakunin fece ingresso nel pensiero dell’ancora giovane De Andrè: “Capì che gli anarchici sono dei santi senza Dio, dei miserabili che aiutano chi è più miserabile di loro”. Partendo da questa scoperta si è concesso il lusso di parlare anche di Gesù, prima in "Si chiamava Gesù" e poi ne “La buona novella” e oggi mi viene il dubbio che anche lui non fosse che un anarchico convinto di essere Dio. O forse questa convinzione gliela hanno attribuita altri. Da Bakunin passò a Stirner, e da una visione collettivista ne scoprì una molto più profonda, quella individualista. Dopo tutto ci vuole troppo tempo a trovare gente con la quale vivere quelle idee dai più ignorate, così se le viveva da solo. Più semplicemente, ricordo che in tv gli chiesero come immaginava la società del Duemila. E lui, in modo estremamente distaccato, rispose più o meno così: una società per lo più nomade, separata da due diverse fruizioni dell'economia. Da una parte coloro che riusciranno ancora a scambiare denaro contro merce e dall'altra un'economia che si potrebbe definire del dono, se non addirittura del mutuo soccorso. Penso che gli individui che utilizzeranno questa seconda forma di scambio saranno più numerosi degli altri e probabilmente migliori, più ricchi da un punto di vista spirituale.
Un murales ad Orgosolo in Sardegna dedicato a De André

Un borghese che tradì
le sue origini
Ad un certo punto lo definirono proletario. “Proletario io? Ne si ne no. E’ pur sempre un’etichetta, sicchè la rifiuterei, come rifiuterei tutte le etichette che nel corso degli anni hanno cercato di appiopparmi addosso”. Comunista, democristiano, socialista, borghese, ecologista, persino fascista. “Se sono più modestamente un anarchico, è perché l’anarchia prima ancora che un’appartenenza, un catechismo, un decalogo, tanto meno un dogma, è un modo di essere dello spirito, uno stato d’animo, una categoria dell’anima”. Tutti lati del suo carattere che lo accompagnavano da quando era bambino, quando preferiva giocare a biglie e scommetterci sopra e inventare parolacce per strada con una bande di compagni, piuttosto che stare in casa a fare il signorino di buona famiglia, quale comunque era e quale è rimasto per molto tempo, fino ai 17 anni, vivendo sulla sua pelle la drammatica schizofrenia di chi abita contemporaneamente da entrambi i lati della barricata. Un magnifico borghese che tradì le sue origini sociali per cantare in chiave trobadorica medievale di prostitute, disertori di guerra, amici fragili, barboni, indiani uccisi da un "generale di 20 anni con occhi turchini e giacca uguale e figlio del temporale".



Ministri di temporali
La domenica delle salme è un grande affresco in stile Bruegel: in esso la supposta fine della storia viene smascherata per quello che è: un'altra delle tante menzogne che i poteri utilizzano per celare l'avidità oscena del loro potere protetto dalla legge. De André li vede tutti, non ne perde uno: "i trafficanti di saponette (che mettono) pancia verso est", "la scimmia del quarto Reich che balla la polka sopra il muro", "il ministro dei temporali / in un tripudio di tromboni / che auspica la democrazia / con la tovaglia sulla mani e le mani sui coglioni". La domenica delle salme, non si udirono fucilate e il gas esilarante presidiava le strade.

De André con Mauro Pagani
La     domenica della salme si portò     via tutti i
pensieri e le regine del tua culpa affollarono i parrucchieri. E' un vero collage d'immagini che come il gico del riflesso del vetro, specchia una società malferma, muffosa, incapace a reagire di fronte ai suprusi del potere contro le minoranze. Come non rivedere, quasi fosse un vecchio documentario, le immagini di chi, nei decenni scorsi, guadagnava un applauso in più (con il corrispettivo aumento del conto in banca) recitando solidarietà con saluti a pugno chiuso e che oggi, magari, l'applauso in più e l'ingrossamento del portafoglio lo guadagna con monili tricolori all'occhiello della giacca? Ma come, insieme a loro, non vedere anche tutti coloro i quali applaudivano o si indignavano a comando e che continuano ancora oggi, impotenti comparse, a "gonfiarsi" nelle piazze (il popolo delle piazze) e davanti ai tribunali "in un coro/di vibrante protesta" quando la politica della società dello spettacolo lo richieda, magari, guarda caso, proprio all'ora del Tg?