Valerie Solanas
“In questa società la vita, nel migliore dei casi, è una noia sconfinata e nulla riguarda le donne. Dunque, alle donne responsabili, civilmente impegnate e in cerca di emozioni sconvolgenti, non resta che rovesciare il governo, eliminare il sistema monetario, istituire l'automazione globale e distruggere il sesso maschile”.
Firmato SCUM, di Valerie Solanas, la donna che sparò tre
volte ad Andy Warhol.
SCUM, la strategia
La società vista da Valerie
di Matteo Tassinari
Era l'ideale in terra per Valerie Solanas. Niente uomini, solo donne e molto lesbiche, donna dalla tempra, stoffa e ceppo da Cow-girl ancora da venire, sia come idea sia come stile che concetto. Ci penserà, di li a qualche anno dopo, il regista Gus Van Sant a rendere le idee più chiare. Scriveva poesie perché aveva patito senza tappe intermedie più dolore lei che un battaglione di 20mila uomini sul fronte di guerra. Valerie Jean Solanas, è nata proprio per caso il 9 aprile 1936 a Ventnor City ed è morta, meno per caso, a San Francisco il 26 aprile 1988. Scrittrice, attrice, sceneggiatrice teatrale, statunitense, attivista in costante rivolta “ostinata e contraria”, sobillatrice vibrante del vivere passivo e di fronte a tutto ciò metteva la faccia (e anche il culo se necessario, e non in senso sessuale, semmai poetico), un orizzonte poco poetico vedevano le sue fosche pupille e per questo era disperata, ansimante, in attesa di qualcosa che non arrivava mai ma che era giusto giungesse a lei fra le sue mani. E' il riscatto di chi deve dire qualcosa.
Andy Warhol mostra le cicatrici provocate dagli spari di Valerie Solans il 3 giugno 1968, l'autrice del Manifesto SCUM. Sopravvissuto, ma patì effetti fisici per il resto della vita
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Si sbatteva a piedi, da sola, a divulgare le sue idee stampate in ciclostilato nelle strade incrociate e fredde di una splendida New York per 50 centesimi la copia da lei stessa redatta. Suo padre, Louis Solanas, stuprava spesso Valerie. Abusi sessuali profondi sulla bambina per anni. E sua madre Dorothy Biondi? Lei taceva di un silenzio colpevole. I pedofili in carcere, secondo leggi loro, vivono una storia di vero terrore umano, quello dai polsi tremanti. Valerie, dopo anni di abusi sessuali da parte di suo padre diventa un concentrato di rivalsa mai visto al mondo. Criptonite pura. Materiale in grado di fare urlare un chiasso assordante per penetrare ogni fessura.
Andy Warhol e Salvador Dalì, si sbaciucchiano
Una
strega tra gli angelici
Warhol s’innamorò di quella apprendista strega, piovuta come una lacrima dal cielo del New Jersey. Una o uno che voleva uccidere tutti gli uomini è soggetto certamente folle. Ma se si pensa a quello a cui è stata sottomessa Valerie allora compare un angelo che vedi col pensiero e capisci perché voleva ammazzare ogni uccello non in volo, a penzoloni. Gli amabili genitori, per il suo bene, divorziarono negli anni quaranta all'età di 15 anni. Valerie iniziò a vivere per strada, “aiutandosi” con droghe varie. S’iscrisse a psicologia dell'Università del Maryland. Vagabondò per il paese sostenendosi con l'elemosina e prostituendosi, anche con le mestruazioni urlò in un seminario di cattedrati sul sesso. Girovagava la Factory (anche se chi la frequentava in quegli anni la chiamava “la fabbrica”) per proporre i suoi lavori artistici pornografici ad Andy Warhol. Andy aveva su Valerie un potere da incantatore di serpenti, un vero ipnotico seducente con svarioni lisergici, un irresistibile essere umano, un illusionista pifferaio magico per non poca gente.
Troppo potere umano, aveva il "grigio" (Warhol) su di lei. Valerie lo avvertiva e non lo sopportava, anche perché Andy, pur essendo frocio, era un uomo, ma il suo magnetismo su di lei, non scemava. E’ mostruoso quello che incrocia, intreccia la storia umana, grande materia per narrare altre storie. La persona sottomessa (Valerie Solinas) ne uscirà distrutta, l’altra (Warhol) scorticata gravemente, costretto a portare un busto per i tre colpi che lo colpirono alla schiena e all’anca sparati da tre metri di distanza da Valerie. Un’immagine molto filmica. Per certi aspetti ricorda Spike Jonze, come tratto e plot registico. Purtroppo ci pensò il mediocre Mary Harron con una non brillante Lili Taylor insuperabile in opacità. In poche parole evitate di guardarlo, me ne sarete grati. Il Warhol di David Bowie nel film di Julian Schnabel era 20 volte più realistico di quello che si può vedere in “Ho sparato a Andy Warhol”.
Valerie Solanas
Guerra senza
confini
Tornando alla scena madre, lei si avvicinò allo studio della Factory. Si fecero le quattro e ancora una volta le disserro che Andy non s’era visto. Così alle cinque di mattina se n'è andò. Mentre esce dalla Factory ecco l’incontro troppo atteso con Warhol. Lo stato d’animo di Valerie, comprensibilmente, era furente, un vulcano in piena eruzione e aveva una pistola in tasca, le tasche dei jeans le fumavano e i polsi tremavano, perché quello che doveva fare, era eccessivo anche per lei. Mai dimenticarlo questo, cioè che una può sempre avere una pistola in tasca. Andy, infatti non lo calcolò e si becco tre botti di pistola in pieno corpo. Per un buco del culo gargantuesco, il mecenate flasshato bianco e slavo se ne uscì vivo e dovette portare un busto correttivo tutor alla schiena per tutta la vita. Era la firma di Valerie. L’arte, se è forte e sentita, può farti commettere scelte oltre il confine. Alle droghe, affido, lo stato dell’arte finale e totale della situazione. Uno spazio dove regna un ordine preciso, leggero e fluente. L'odio è la cosa più malata che in natura umana si possa trovare, mentre l'amore, la vera forza trainante, è celeste. E l'anima di Valerie, nella sua disperazione folle metropolitana, era cilestrina. Bang, bang, bang! Warhol non morì, lo Scum si.