Notti notturne

domenica 12 gennaio 2014

15 anni senza De André



A 15 anni    dalla
morte dell'evangelista     laico
        di Matteo Tassinari
L'11 gennaio 1999, moriva a Milano il cantautore genovese e il festival di Sanremo lo celebrerà il 21 febbraio, fatto non gradito a Fabrizio. In questi quindici anni, la mancanza si è sentita, eccome! E' vero, rimangono le sue canzoni, la sua poesia, i suoi versi vivranno sempre. Tutto vero, ma lui dov'è? La sua voce, i suoi occhi, quei capelli lisci e quel modo di parlare che quasi voleva sembrare antipatico. E con molti ci riusciva. Era un modo per capire chi poteva stare con lui e chi no. Era estremamente selettivo nelle amicizie, la concedeva a pochi e penso che non avrebbe sopportato nulla di Facebook. Per chi l’ha conosciuto, anche per poco, penso sia diverso rispetto a chi non c’abbia mai passato una giornata insieme.
Faber da Rosa in Sottoripa insieme al figlio Cristiano

 Mancherà il suo
sguardo sulla vita,
"Nun piagne Maddalena, idDio ci salverà, e presto arriveremo a Durango",
cantava Faber un pezzo di Dylan. Sopra Durango, Messico
    D'intensità verde
    RAMARRA
mancano le sue storie, i sogni, novelle, ballate che intrecciava lentamente con le parole e le visioni tra sogni e sonno, apparizioni amare e visionarie, se credete, colorate. Uno dei tanti "genovesi in esilio volontario", scappato da una città tanto bella quanto feroce. Come tutte, la canta a modo suo, con un ritmo, un'armonia, un flub in note che riporta immediatamente a Boccadasse, antico borgo marinaro dell'angiporto, dove Genova col profumo del mare e del pesce in brodetto o fritto addosso come un cappotto e tutte le centinaia "Crueze de ma" che scendono ripide giù verso mare. Mi viene da sorridere, se penso che una canzone in dialetto genovese ha spiegato al mondo intero un consorzio umano altrimenti neppure immaginato.

Visione Ramarra
C che risaltava di più era il verde, di una intensità "ramarra" come gli occhi smeraldini di Durango. Uno splendore che lo rendeva anarchico nell’anima, nello spirito, nelle “regole”, nel Dna, nell’ABC, nella sostanza dell’essere, per questo gli era così semplice essere Rom. Faber non somigliava ai Rom, “lui era un Rom” a detta di un Rom intervistato in quanto grande amico di Fabrizio. Se ascolto “La buona novella”, “Amico fragile”, “Spoon River”, “L’Indiano”, alla fine sono sempre quelle e sai che nuove non ce ne saranno. Aveva le ali molto grande Fabrizio, ali che coprivano parecchie persone, numerosi disgraziati. Da queste anarchie, quella sua Genova così caotica come i carruggi aveva ereditato lo spirito aperto del mare e delle genti del porto, ma anche la complessità dei carruggi, pensiero fine e gambe forti. Via del Campo come fosse il mondo.
Don Gallo, parlava del "vangelo" secondo Faber

Tanto che Don Gallo
nelle sue omelie, spesso citava “il Vangelo secondo Faber”. A 15 anni dalla sua scomparsa, l'artista genovese viene celebrato come uno dei grandi cantautori dal secondo dopoguerra ad oggi. "Sarebbe necessario che, invece di dire che Fabrizio è il Bob Dylan italiano, si dicesse che Bob Dylan è il Fabrizio americano" ha detto la scrittrice Fernanda Pivano, sua amica, che alla sua morte lo definì "Il più grande poeta che abbiamo mai avuto". Don Gallo lo definiva: "capace di mettere in contatto la terra cielo". Se lo sapessi vivo, oltre che andarlo a trovare "abbastanza spesso" all’Agnata a Tempio Pausania, dove mi aveva invitato, sarei anche più tranquillo, perché vivrei con la speranza che qualche goccia di splendore è in fase di costruzione. L’attesa di sue nuove canzoni era sempre la parte migliore. Ma è morto! Con esso anche l’attesa. E' morta la parte migliore, dove crescono le arance.
"Si, però lasciatemi stare"

"L'eleganza
nel chiedere scusa"
Mancano le sue utopie, quella voglia sana che ha sempre avuto nel difendere la libertà delle idee, delle convinzioni personali soprattutto quando queste sono fagocitate da maggioranze rumorosissime, cantava contro tutti i conformismi e tutte le banalità della vita. Mi manca la sua discrezione, la sua dignitosa riservatezza, quel suo parlare in pubblico solo se c’era qualcosa da dire e sempre con parole precise, pensate, ultimative.
Gli amici di sempre
Manca
la sua autentica arroganza d’artista, che si pente dopo averla combinata e macinata per la sua smodata vanità ed un ego pressurizzato che tende all'esplosione o implosione. Era capace a chiedere scusa come pochi. Come era altrettanto capace a provocare, mai a caso, sempre mosso da qualcosa o da qualcuno, non faceva cose gratis, anche se scherzava, doveva esserci un motivo. Altrettanto capace a fare cazzate incredibile, come quella volta, testimone oculare l’amico di sempre Paolo Villaggio, sbronzo marcio, si mise in bocca per scommessa (20 mila lire, siamo a metà anni ‘60 in una bettola dell'angiporto di Genova) che avrebbe mangiato un topo morto vomitato da un gatto piombato da chissà dove.
      Angiporto
    e Mandilan
Le 20 mila lire le sborsò il tombeur de femme Gigi Ricci, Faber non mancò di mantener fede alla sua follia, e ciancicò il topo dicendo: "Io queste 20 mila lire me le sono meritate e me le prendo". "L'impero knouto-germanico" di Bakunin è meno  anarchico di un atto simile. Oppure, più semplicemente, bastavano le sue canzoni per sentirselo vicino, perché riusciva a parlare di storie tragiche, disperate, ironiche, come piene di un sentimento che rendeva l'afflato di consolazione, di “benedizione” che non riesco a ritrovare in qualsiasi altro suo collega. La voce più consolatoria che il mio orecchio abbia mai sentito, per quanto mi riguarda, anche la risata più bella che abbia mai visto. Quelle poche volte che ci siamo visti, mi capitava di ridere solo per la sua risata, magari la battuta non l'avevo capita, ma quel riso così "aprente", ampio, antidogmatico, cordiale e sagace. Chi mi leggerà, penserà: "Ma questo è fuso per De André". Ed è vero. Sono enormemente condizionato dalle sue boutade col fiocco. Come vorrei che passaste un paio d'ore, in semplicità e in compagnia di Faber, per capire cosa voglio dire, consapevole di non riuscirvi. Le sensazioni, potrai descriverle fino ad una percentuale ma poi si ferma, è l'esperienza che ti da la conferma.

Provocatore culturale
"Il più grande rivoluzionario di tutti i tempi". Questo è stato Gesù secondo De André. "Gesù rimane un esempio da imitare – dirà in una delle ultime interviste, al Secolo XIX, il 3 novembre 1997 - Ama il prossimo tuo come te stesso. E' un principio bellissimo al quale non si può rinunciare, ma deve diventare la nostra barra del cammino”. È dunque proprio il comandamento per eccellenza, è la condizione per divenire uomo nella sua completezza umana e spirituale.

Stupito dalla vita altrui

    Compagno di viaggio,
di questa avventura umana che spesso indossa le vesti del disumano, macchì ci fa più caso affossati come siamo nei privilegi che per i più sono troppe sottrazioni? Mi mancherà la sua curiosità, o la sua innato senso provocatorio, come quando disse che "al Sud non c'è disoccupazione grazie alla mafia", che era un modo per dire che lo Stato latitava in quella zona d'Italia. Come dargli torto oggi? All'epoca, Violante, gli si scaraventò addosso con insulti al limite della querela e inaudito rigore militaresco, ma figuriamoci se Faber era il tipo che querelava qualcuno. No, lui pareggiava i conti alla sua maniera, che è sempre quella migliore. Vorrei ancora quella sua insaziabile voglia di farsi sorprendere dalla vita e dall’arte del suono sia in musica che in parola, che lo rendeva imprevedibile ma sempre legato al filo della poesia che lo aiutava a narrare cose terribili nel modo più naturale possibile.
Povertà e splendori
Come quella voglia di vivere il dolore degli altri, condividerne le povertà gli splendori, a cominciare da Princesa fino a Bocca di Rosa. Tutto questo ci mancherà di te, Amico fragile. Mi mancherà il tuo sguardo veramente anarchico sulla vita, quel tuo stare fuori delle leggi pur non essendo un fuori legge, alla costante ricerca di un’umanità che parrebbe perduta, per cantare il marciume che si mescola al nostro piroettare, l’ipocrisia di chi non vuol vedere al di la del proprio naso e la sera chiude bene la porta di casa con una Yale, poi dopo cena a letto senza sprofondare nelle ore notturne gonfio d'alcol e mozziconi di sigaretta. Il mondo rimane chiuso fuori per milioni d’individui a loro volta intrappolati da forme di egotismo, eccessivi compiacimenti con cui ci si guarda, connessi solo con la tendenza a fare di se stessi l'oggetto privilegiato di ogni riflessione, rinchiusi in una prigione senza confini.
Tutti moriremo a stento
"La ballata dei suicidi"


 Chi       revisiona 
i       revisionisti?
Tanti appuntamenti, dunque, per ricordare il cantante di chi vuole la verità. Perché De André è facile da ascoltare, la sua poesia arriva subito. Il suo messaggio non sempre. Così c’è anche chi decide di vederci più chiaro, oppure di tirarlo per quella giacchetta che Faber non ha mai indossato.
Militanti di Casa Pound
È Casa Pound di Viterbo, la quale
organizza una mostra fotografica su “uno dei più grandi cantautori italiani”, “evento preceduto da una breve conversazione”. Forse chiarificatrice. Per i fascisti del Terzo millennio, infatti, sarà l’occasione per parlare di un uomo che ha sempre combattuto la violenza e la guerra, nonché la discriminazione sessuale. Ma lo schema appare chiaro. Dopo essersi appropriati di Rino Gaetano e Francesco Guccini (alcuni versi della Locomotiva sono apparsi in un manifesto inneggiante la Repubblica di Salò), ecco un altro tentativo di mutare il significato alle cose, magari arruolando i libertari del passato. Dopo il revisionismo storico, siamo a quello cantautoriale. Per quanto vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti. Vi è già stato detto da tempo.

Anime salve e gli inganni


Fu un miracolo di incontro fra lingua e musica e oggi quelle parole diventano un menù (su richiesta) presso la trattoria La Lanterna, gestita dalla Comunità di Don Gallo. "La sua spiritualità non è monopolio delle religioni. La sua voce è la possibilità irripetibile, per la canzone, di diventare il più alto e penetrante strumento artistico della cultura popolare. Le sue canzoni sono la scelta mai sbagliata di occuparsi dei poveracci e dei senza voce: vite perdute, ma anime salve".
Le anime      salve, rese     libere
dalla diversità, c’erano tutte a salutarlo quel 13 gennaio a Genova, "un funerale da invidiare" disse il compagno di sempre Paolo Villaggio. La sua poetica smascherava le ipocrisie, indagava l’amore, in fiore o appassito, era un laudate hominem che restituiva dignità a emarginati, "princese", derelitti, mercenari, senza tetto, ubriachi. L’umanità rintanata nei bassifondi dell'angiporto genovese ispirava De André come nessun altra ipotesi, dai pantani della cronaca nera sapeva sollevare fiabe dai toni color papaveri.

Poi si vedrà
A distanza di quindici dalla sua morte, le sue canzoni acquistano sempre più consistenza, quasi fossero scolpite nel marmo degli eterni problemi delle persone e del loro essere e malessere sociale. Sopraffazione dell’uomo sull’uomo, guerra tra pari che non si ricambiano cortesie, prostitute che danno felicità e vigliacchi che non sanno più dare cattivo esempio, relativismo delle circostanze e immutabilità dei valori. Giudici e bombaroli, boia e drogati, Cristo e Cutolo, diamanti e letame, la guerra e i mille papaveri rossi. Tanti emarginati che nelle sue canzoni hanno trovato quella essenza che una società ingannatrice voleva non tanto cancellare, ma semplicemente nascondere. La dignità degli uomini prima di tutto. Poi si vedrà.