Notti notturne

venerdì 10 maggio 2013

Un dignitoso morir, la vita onora

"Ch’è la morte s’appressa e ‘l viver fugge"
(Francesco Petrarca)
 Stories in Art, codice di Petrarca al "The Walters Art Gallery" a Baltimora

Il signor    Buon Senso

               di Matteo Tassinari
La vita procede quatta quatta, disperatamente antidrammatica, sminuzza e sbriciola ogni cosa, lasciandola cadere dalla mano a poco a poco in un mondo ormai al crepuscolo e incapace d'inventarsi un calembour originale. La mattina. La notte. In mezzo pomeriggio e sera. Certezze da poco ci guidano, e noi ci lasciamo prendere dagli orari prestabiliti. Ma da chi poi? Mi parlano spesso dal signor Buon Senso, un tizio dal naso secco e gli occhi a mandorla come quelli mongoli. Ma dove abita il signor Buon Senso? Scoreggia ancora forte? Vorrei conoscerlo anch’io, davvero, ne parlano tutti così bene che magari mi aiuta. Signor Buon Senso, lancio un appello, se dovesse leggere questo post, mi chiami tranquillo al numero cabalistico telefonico di casa mia, il 41m58l902dt3, poi aspetta qualche secondo e fa il 23u601bg56ejaer4. Se non mi trova qui, allora provi al 38ty69j835y, qui ci sarò sicuramente perché non manco mai. Oppure lasci detto a Susanna, la mia segretaria muta, ma al telefono se la cava benissimo, una tipa che riesce sempre in ciò che le serve. Ricordate, Susanna Fiabeschi di Bologna, città senza fine e sentimenti intirizziti dall'addiaccio nell'attesa di un cliente che arriverà di notte fuori dal Mercatone oppure al Gros di Rimini o Lido di Classe per i più spudorati?
Cari saluti,   signor Buon     Senso

     Tutti siti umani dove
la prostituzione è un modo di vivere, più che un piacere e in giro c'è tanta gente disperata vittime di mogli incapaci ad andare oltre ad un bacino sul prepuzio. Come le facesse schifo, ipocrita donna dalle virtù spiccate ma dalle voglie di una ravanata coi fiocchi che la riduca come uno straccio felice. Gli metterebbe attorno il tovagliolo, per non sporcarsi troppo. A me leccare la gnocca piace, nel senso che potessi rifarlo lo farei al momento oltre che all'impronta, subito, ma non posso e questi sono davvero cazzi miei. Tanti cari saluti al signor Buon Senso che ancora non ho capito da che parte abiti. Forse ad Arcore? No, lì c'abita il Buon Sesso, questione di una lettera, ma fatale. 
Tra pantofole e scarponi militari
Adesso che rimango a casa spesso e dormo fino alle 11 di mattina, avendo cani, mangiando focacce messicane con Tomato, facendo una vita tra scarponi militari e pantofole, dedicandomi ai divertimenti della natura. Vorrei stare "tranquillo" ancora per un po’. Vorrei evitare il più possibile le polemiche (quasi tutte inutili). Come preferisco passare per inaffidabile, anzi, più volte ho rimarcato la mia totale e assoluta inaffidabilità per questione chimico-biologiche e l'ammissione sbalordiva gli uomini per bene. Non mi piace la gente che per giudicare suoi simili sancisce a tutto tondo: “E’ morte!”, con una violenza inaudita, un atteggiamento ultimativo da Divo (leggi Andreotti).
Un modo di porsi da uomo di mondo, o forse da chi sa affilare perfettamente il suo supposto altruismo, come se lui, dalla Morte!, ne sia esente. Arriverà, per tutt@ e non parlo della morte fisica. Pasolini, oltre ad essere una delle menti più raffinate del secolo scorso, era una persona umile che diventava aggressiva quando andava in Tv e questa lo distruggeva perché alle dieci di sera andava in stazione Termini a Roma per ritrovare la sua dolcezza che abitava e di cui era proprietario di quel corpo maciullato a Lido di Ostia la notte del 2 novembre 1975, ricorrenza di tutti i morti, presagio che invece la dice tutta su PPP e sui Servi segreti dell'epoca? Anche per questa casualità penso che Pasolini vedesse quello che tanti ancora non hanno neppure intuito, neanche un'oncia: il coraggio della verità.
Una storia sbagliata

   P.P.P.
   Questo
passaggio, preciso, lo capirà solo una persona alquanto interessata a questo arringa draconiana, quindi se vi sfugge qualcosa, non preoccupatevi, vi mancano degli elementi che glisso e quindi non potete capire del tutto l'esposizione delle seguenti parole. Poeta, romanziere, drammaturgo, linguista, giornalista, cineasta, scrittore, poeta, pittore, cosa volete di più da questa vita, cos'altro vi serve, ora che il cielo al centro le ha colpite. "Per il segno che c'e' rimasto non ripeterci quanto ti spiace non ci chiedere più come e' andata tanto lo sai che è una storia sbagliata" suonava Fabrizio De André  in questa canzone
http://www.youtube.com/watch?v=RStwinB7cJw, fatelo per me, che non centro niente.

La complicata concentrazione dei ballerini di tango


Tango?    Mazurka?
Thumbler?    Paso Doble?
Ho sempre ammirato la concentrazione dei ballerini, per l'intensità. Magico e la sensualità, con movenze da paso doble e senza che nessuno stia pensando che stai facendo all'amore con quella cichita e ti lasci allora andare. Tango? Mazurka? Balalaika? Kuduro? Tumbler? Non importa. Ogni movimento si è preso uno spazio dentro di e non lo lascia, perché fare l'amore davanti a tutti senza che nessuno si scandalizzi non riesce a nessuno e a nient'altro. Precisione, eleganza, delicatezza, passione, equilibrio, grinta, amore, fierezza, determinazione, grazia, tecnica zigzagante e via che si vola in due. Il resto è Perù. Mi sarebbe piaciuto, se non fosse stato, ora, troppo tardi. Sarei andato in quella sala da ballo vicino all’Ipermercato "Le Befane" di Rimini. Un colosso di 3 piani, mastodontico da mettere paura al sol vederlo, dove la gente passa i week end ignorando definitivamente i prati. Tutto il dolore dobbiamo consumare, fino all’ultima cavità, all’ultimo territorio praticabile? Che faccio? Scrivo per una mia amica una lettera di bella presenza che vorrebbe spedire al suo ex amante che non la vuole più. Scrivo per riempire questo vuoto dalla pienezza del rimpianto dei bei tempi. Bruna, un trans di Belo Horizonte con casa a Lido di Savio, mi aveva dato arance, come per sdebitarsi della sua tenera amicizia. Provate a sentirvi come Bruna, provate a sentirvi come un moscerino in un occhio, provate a resistere stringendo i denti tanto da spaccarvi le mascelle, allora capirete l'umiliazione. Con la sveglia che ci fa aprire ancora gli occhi, quando è abbastanza giorno per aspettare la notte.




Si lascia poco
quando si parte


Come quando qualcuno muore, è come se morisse tutto il paese. Poi, quando l’ultima palata ha concluso la sequenza, il morto è veramente morto e con egli anche il ricordo per alcuni s'eclissa. Come quando il risultato ad ogni nostro calcolo ci risulta troppo preciso, troppo convincente per essere credibile, rimaniamo poco fidenti. E’ necessaria allora e talvolta, quel pizzico di contraddizione che dona alla disputa un tocco di realismo che la sovranità percepibile ha in se e l'odore non puzza d’inganno. Ciò che si lascia è poco.
Achab contro Moby Dick, secondo Herman Melville


L'arpione di Achab



Parole sospese senza senso, frasi che colmano i vuoti a perdere quali siamo come vele lontane tormentate dal vento, ma Moby Dick era sempre più irto e impaurito dall’arpione del capitano della baleniera Pequod, Achab. Il capitano non sopportavo di dover render conto a tutto il parentado di quel che succedeva. Era un suo segreto il suo silenzio come il vecchio passato, rimane sempre schiavo del futuro: "Io lascio un bianco e torbido solco, acque pallide, volti più pallidi, dovunque io navighi. Flutti gelosi si gonfiano lungo le fiancate per sommergere la mia traccia. Facciano pure, ma prima, io passo". (citato in un album di Andrea Pazienza, "La prima delle tre") ecchèvelodicoaffare, tanto la passione, anche quella più profonda, non richiede un proscenio sfarzoso, monumentale o stupefacente per recitare la sua parte. Un sorriso, molto spesso, è il mezzo scelto per ogni ambiguità.


Simboli vani


Un significato 
si nasconde di sicuro in tutte le cose, altrimenti tutte le cose varrebbero ben poco e il globo stesso del mondo non sarebbe che un simbolo vano, buono soltanto a vendersi a carrettate per colmare qualche palude della via Lattea. Achab ragionava così, per questo non ha mai preso una penna in mano, ma arpioni di ferro laccato (il più arcigno e tagliente) per cacciare Capidogli. Per questo mi è a cuore le fatiche letterarie e aborro le poesie fatte in cinque minuti da bottegai. Produrre un grande libro, bisogna scegliere un grande argomento e la cosa è assai complessa quando si tratta di svilupparlo. Non che io lo sappia fare, ma almeno lo riconosco! Nessun'opera grande e duratura potrà mai venire scritta sulla pulce, benché molti abbiano tentato. Soltanto, attraverso innumerevoli pericoli, a quello stesso punto dove si è partiti, dove quelli che abbiamo lasciato al sicuro sono stati avanti a noi tutto il tempo.

 
Octavio Paz, premio Nobel 1990 per la Letteratura

L'altro Paz
L’altro giorno leggevo un’intervista al poeta Octavio Paz, premio Nobel 1990 per la letteratura, dove sosteneva che: “la nostra società ha elevato i numeri al ruolo di idoli”. Forse, “per questo, per paura, s’inventò un volto e dietro ad esso, molte volte visse, morì e ritornò. Oggi il suo volto ha le rughe di quel volto e le sue rughe non hanno volto”, scriveva amaramente Paz, considerato il poeta sud americano più raffinato della seconda parte del secolo scorso. Capita di voler sparire, sopratutto a chi l'esistenza, dai 14 anni in poi (prima non ricordo, troppo complicato fare equazioni) l'ha lentissimamente portato all'angolo del limite. A 17 anni non è convenzionale rinchiudersi all'Hotel Marta in centro a Forlì con 10 grammi di eroina e uscire un'oretta per buttare già un capuccino 2 bomboloni e tre brioches in un sacchetto da portarmi nella mia bella camera d'albergo in totale solitudine. Mi trattavo bene, almeno cercavo di farlo, visto che la deriva non era così lontana. Ma questa può sembrare un'esperienza estrema (e lo è). Lo è meno la maschera perbenista che prendiamo per il prolungamento di se stessi, al punto di non riconoscere più chi siamo e senza saperlo facciamo uso dell’immagine posticcia, quella autentica, disorientati come siete, ormai l'avete persa.
Ci adagiamo all’altro di noi, a ciò che si è deciso sia opportuno dare agli altri anche se non lo si è, perdendoci porzioni del nostro autentico essere, lasciato solo, forse per sempre. L’apparenza può ingannare in modo così “veritiero”, a tal punto di non riconoscere il proprio io dalla sua proiezione da noi programmata per il gusto altrui per dirla con Francois Ozon, giovane regista francese. Chi è pertanto l’altro? Il nostro s'è trasformato nel mondo della parvenza, dell'apparenza e ci sguazziamo non valutando le conseguenze, credendo che il presente sia eterno. Ineluttabilmente arriverà il momento in cui dovremo fare i conti, tutt@. “Le sue rughe non hanno un più volto”. Così la vita di molti si divide in modo diseguale in due bucce, che col tempo sono diventati impossibili collegare. Chi è in grado di rimanere se stesso non si perderà, si guarderà allo specchio sicuro di riconoscersi senza fine. Le rughe che noterai, saranno le tue, non un'invenzione, non per celia. Tanto la morte è un'usanza che tutti, prima o poi, dobbiamo rispettare. I fatti sono cocciuti e la morte è il più cocciuto dei fatti, per una desolazione che può diventare il palcoscenico della felicità e l'alba di una nuova aurora sconosciuta.