Notti notturne

giovedì 21 febbraio 2013

Faber, Barone di Gallura

Il Barone di
Munchausen in Gallura

Quando decisi di aprire questo blog, per vostra sfiga e per mia incoscienza, lo feci per un leit motiv ben preciso. Volevo parlare di Fabrizio De Andrè con stile possibilmente diverso, fuori dai soliti strati e sub-strati. Il Munchausen della Gallura, ha sempre avuto un posto preponderante in queste pagine e nella mia vita e sono certo che se non avessi conosciuto Faber, anche di persona dopo corpose bevute e grande soggezione da parte mia, non avrei vissuto come ho vissuto. Poi venne Uma Thurman a confondere i giochi, e il frontespizio se l'aggiudicò lei senza troppi pignoramenti mentali. Ora c'è Alice, la bambina zingara, e lei rimarrà!



























Come una
troia prudente
di Matteo Tassinari
La musica lo sedusse, un po’ alla volta, come una troia prudente e senza fretta, come piace "fare" ai clienti delle "buttane" (da bottana) come diceva Faber scherzando con Dori Ghezzi. Cominciò con qualche mormorio fioco, una cascata di neve silenziosa ma cospicua. Poi divenne balbuzie e piano piano acquistò la freschezza di un linguaggio che, per quanto elementare, era comunque il suo. Un unicum fantastico, dentro solo magia poetica. Un orgasmo quasi corporeo, senza sporcare. La musica per Fabrizio, fu anche una necessità, non poteva farne a meno della sua paurosa amicizia. Lei e lui arrivavano allo stesso livello, nessuno era più importante dell'altro\a. In famiglia tutti si esprimevano in modo non truccato, in assoluta coerenza con le scelte di ciascuno.
L’avvocatura, il management,
la politica, l’insegnamento. Lui non era capace di esprimersi a quei livelli, con quel misto di vocazione genuina e, si dice oggi, di professionalità. Così scelse la chitarra e la magica fantasia dei versi per mollare definitivamente la toga, in realtà senza averla mai messa. Ma lo vedete Fabrizio De André con la toga? E' esercizio mentale che richiede molta fantasia e soprattutto fervida, una pennellata di grottesco su una tela di burlesque. Fortunatamente, diciamo ora, perché quello che non è riuscito ad altri, ci ha pensato lui. Scoprì che se prendeva una chitarra la suonava meglio di tutti i suoi amici e stupiva gli altri con quella voce profonda, stupendo se stesso, come gli altri lo stessero a sentire. Fabrizio era troppo affascinante. Qualsiasi donna negli anni '70 avrebbe pagato per passare una notte con Faber. Così divenne artista, una volta per tutte, esonerato da sciocchi cerimoniali goliardici universitari. Perché ad un musicista, quindi ad un appunto un artista che ci sa fare con le donne, nessuno gli rimprovera di essere un tipo ruvido, chiuso in se stesso, o di mangiare con le mani o scoparsi troppe fighe. Agli avvocati e agli insegnanti invece si, a loro può capitare.
Fabrizio De André e Dori Ghezzi
 I morsi    della storia 
Il suo canzoniere universale attinge alle fonti piu' disparate: dalle ballate medievali alla tradizione provenzale, dall'"Antologia di Spoon River" ai canti dei pastori sardi, da Cecco Angiolieri ai Vangeli apocrifi, dai "Fiori del male" di Baudelaire al Fellini dei "Vitelloni". Temi che negli anni si sono accompagnati a un'evoluzione musicale intelligente, mai incline alle facili mode e ai compromessi. De Andrè usava il linguaggio di un poeta non allineato, ricorrendo alla forza dissacrante dell'ironia per frantumare ogni convenzione. Nel suo mirino, sono finiti i "benpensanti", i farisei, i boia, i giudici forcaioli, i re cialtroni di ogni tempo. Il suo, in definitiva, è un disperato messaggio di libertà e di riscatto contro "le leggi del branco" e l'arroganza del potere. Di lui, Mario Luzi, uno dei maggiori poeti italiani del Novecento, ha detto: "De André ha una storia e morde davvero". 

La ruota valoriale
La politica non gli interessa, anche se nel 1971 disse ad un giornale: “Al governo vedrei soprattutto degli economisti, tecnici, piuttosto che dei politici”. Vorrei solo precisare, che i tecnici a cui fa riferimento De Andrè, non erano certo quelli della lobbie bocconiana ed eurocratica che ha governato l’Italia nell’anno di grazia 2012 di nostro Signore, attraverso un suo primissimo uomo, il professor Mario Monti, con nostro enorme supplizio. “Ancora oggi non ho capito cosa sia esattamente la virtù e l’errore. Basta spostarci di latitudine e vediamo che i valori diventano disvalori e viceversa. Non parliamo poi dello spostarci del tempo. C’erano morali nel Rinascimento e nel Medioevo che oggi non sono più riconosciute. Adesso stiamo vivendo questa gran tormento per la perdita dei valori. Bisogna aspettare di storicizzarli. Penso non sia vero che i giovani d’oggi non abbiano nulla in cui credere, come molti sostengono. Hanno dei valori che noi non siamo ancora riusciti a cogliere perché siamo troppo affezionati ai nostri". Ciò per dire che lui non aveva nessuna verità assoluta in cui credere,  non aveva alcuna certezza in tasca e, quindi, non poteva regalare nulla a nessuno e gli andava già molto bene se poteva offrire attraverso le sue canzoni qualche emozione. Un pò come le prostitute di vocazione, quelle che fanno il mestiere con impegno e sono contente solo se guadagnano onestamente le loro palanche.

Human Project Brulesque Tournè Faber
Il tormento delle
interviste

Nei concerti, quando Faber doveva presentare i brani, per lui era un momento di tormenta generale, un frangente a cui avrebbe fatto volentieri a meno: “Una canzone che debba essere spiegata, è una canzone mal riuscita” diceva per difendersi contro platee sempre più folte e chiassose e una stampa sempre più famelica di notizie di questo giovane autore dotto e che parla di puttane e taglia gole d'Angiporto come fossero amici suoi. Quando presentava uno dei suoi capolavori, “La buona novella” era solito introdurre il discorso a questa maniera: “Gesù fu il più grande rivoluzionario della Storia e un rivoluzionario non può che essere laico.
Cristo non    appare mai, ma c’è   sempre.
E’ il profeta dell’amore che dalle quinte determina tutto”. E poi via due ore di musica filata senza neanche un respiro fatto voce, tutta musica e parole cantate. Erano periodi dove i giovani ascoltavano più Marcuse che Cristo, era ovvio: “Ho scritto queste canzoni in pieno ’68, fregandomene delle critiche di tutti che dicevano: ‘Noi andiamo in piazza a lottare e prendere manganellate dai poliziotti e tu ci parli di Cristo?’. Non avevano capito quanto le due cose, Cristo e il ’68, avessero molte cose in comune. Resto convinto che ‘La buona novella’ abbia una forte carica rivoluzionaria non solo materiale, ma per chi è riuscito a capirlo, anche spirituale. Pensare che quello che gli studenti chiedevano, non era poi così lontano dagli insegnamenti di Cristo”. De André, da non credente che si è professato fino alla fine degli anni '70, dopo il sequestro con la moglie Dori Ghezzi, disse: "Ora, ho qualche difficoltà se qualcuno mi bestemmia di fianco. Prima non ci pensavo neppure".


Walzer per un amore
Ma molti l'avevano ormai etichettato come un disco anacronistico proprio perché parlava di Cristo nel pieno della rivolta. Veduta corta, del resto è un dolente malessere che si perpetua a quanto vedo. Ma il lato più divertente e paradossale de "La buona Novella", fu che la Rai censurò l'intero disco, mentre Radio Vaticana lo mandava in onda giornalmente senza problemi. Strano poi che dopo l'uscita dell'Lp, molti teologi invitassero Fabrizio ai loro convegni che lui disdiceva in quanto diceva: “Io non ho nulla da spartire con la teologia, ne con l’antropologia, tanto meno con la metafisica” limitandosi a rendere più umani i tanti personaggi che erano vicini al passare di Cristo. Forse, uno dei tanti Unicum storici che i dotti e insipienti non hanno saputo cogliere. Quante chiappe dovrebbero saltare nel mondo dei dotati in cattedra, i più furbi. I più orribili.
Il poeta colombiano Alvàro Mutis e Fabrizio De André
Appunti in un battito d'ali
Come Fabrizio ha sempre cantato, anch’io credo che siano le persone a creare i problemi che non cambiano e rovinano i più indifesi. E' un gioco vecchio e automatico. Se i cosiddetti migliori di noi avessero il coraggio di sottovalutarsi almeno un po’, vivremmo in un mondo infinitamente migliore: “Le vere domande e le vere risposte, non sono fatte di parole. Sono fatte di azioni, di gesti concreti e pochi, non molti”. Su questo punto trovo una forte similitudine. “Un intellettuale non integrato, lo capisco. E’ uno che soffre, legge dentro le righe e capisce quello che sta succedendo prima e molto più degli altri, che lo capiranno dopo 10 anni almeno. Questo è il ruolo dell’intellettuale, un trono dorato solitario. Guardate Pasolini!” Mi stupì Faber quando disse.
“Se si integrano anche
gli artisti, come
sta in gran parte succedendo, c’è l’abbiamo tutti nel culo! Siamo davvero finiti! Perché l’intellettuale non ha bisogno d’integrarsi, non deve farlo proprio. E' il suo modo di vivere, al di fuori di tutte le categorie, per essere più autorevole ed equo nei giudizi. L'integrazione è sinonimo di corruzione, che sia di denaro come di cultura. Se è fottuto lui, l'intellettuale. lo siamo anche noi. L’artista è un anticorpo che la società deve crearsi contro il Potere, le arroganze dei Palazzi. Sono persone rare, molto spesso sconosciute alla massa, ma è da coloro che dobbiamo andare”. Ora, e non è una battuta, se clicchiamo su Google, "da chi andare" (provate?), la prima risposta che vi sarà fornita sarà: "Da uno psichiatra". Segno dei tempi, inconfutabile. Come direbbe Woody Allen: "Non ho paura di morire. E' solo che non vorrei essere lì quando questo succede". L'assenza della sopportazione al dolore, non è requisito odierno.
Frammenti di 800, il brano Burlesque per antonomasia

Serviva l'esempio,
giunse De      André
Come il viandante non si appella al diritto, ma all’esperienza, non gli interessa la fedina penale, ma il passato, il vissuto delle persone che s’incrociano col suo andar per direzione ostinata e contraria. Intuisco come Faber sia stato per moltissimi autori, uno spartiacque per l’innovazione della canzone, passando da “Bandiera gialla” o “Piccolo grande amore” a “Crueza de ma” o “L’antologia di Spoon River”. Potrei fare mille esempi, di personaggi che hanno detto, “se non ci fosse stato De Andrè…”: La Mannoia, Capossela, Vecchioni, Battiato fino ai più giovani come Silvestri e l’ultimo Jovanotti, la postilla su questa dato di fatto inconfutabile la ceruleò con lacca rossa e timbro, il maestro Pietro Piovani che confermò questa figura di esempio, dove la canzone poteva essere anche accostata all’amore, alla guerra, ai diseredati, denunciando il potere fine a se stesso ma poteva essere qualcosa di più. Oggi è semplice cantare di omosessualità, delle carceri che sono orrori di fronte gli occhi di tutti, delle maggioranze e dei loro stermini a scapito delle minoranze. Era impossibile pensarlo di poterlo fare anche quando Gaber cantava della sua “Torpedo blù”. Serviva l’esempio: Fabrizio De André nacque nel 1940 anche per questo, oltre che per bere.
Per     Faber,
la poesia    non è
tanto Dylan che considera comunque uno tra i più grandi esempi della cultura mondiale musicale, ma in Brassens la cultura è un sostrato necessario e Fabrizio trova più facile il territorio della poesia, perché un vecchio è più imbevuto di alcol e di cultura. “In questo Brassens è un giovane, molto più giovane di Bob Dylan” e infatti del narratore di questioni francesizzanti, suonò mezzo repertorio e arrivò a dire quello ho detto all’inizio io di De André, ossia, che se non avesse conosciuto Brassens, De André non saprebbe se avesse vissuto come ha vissuto, facendone la cifra totale della sua esistenza musicale e culturale. Non volle mai incontrarlo di persona, evitandolo appositamente in certe occasioni, per timore di rompere questo idillio che era scoppiato nell'anima del giovane Fabrizio. Un metre-à-pensar, come avrebbe detto Faber. “Con Cohen è stata una specie di infatuazione, non regge il paragone con gli altri, soprattutto con Brassens. Una attrazione quasi mistica, del resto ogni sua canzone, alcune autentici gioielli, sembrano invocazioni da cattedrali. Quando canta sta con le mani conserte e guarda in alto. L’ho visto diverse volte in questa posizione evocativa”. Una delle prime canzoni che scrisse, Il testamento, la fece ascoltare all’amico Gino Paoli, che appena finita disse: “E’ bellissima! Ma dopo una canzone così, cos'altro puoi scrivere?”, per sua definizione rimase come "sciroccato" dalla forza del testo e dalle tonalità oscure della musica che Fabrizio era riuscito a comporre.
Fabrizio De André con Fernanda Pivano
Anche lei in direzione ostinata e contraria, un talento smisurato nel tradurre non solo le parole, ma l’anima e lo spirito di un’epoca. Sulla strada che corre verso l’Ovest del futuro. Libero chi legge, recita il titolo della meravigliosa raccolta di scritti pubblicati ad un anno dalla sua morte, nel 2010.
All'origine,
una goccia splendore
Diceva di andare in “direzione ostinata e contraria” e come lo faceva lui, così chiaramente, non è riuscito a nessuno. Si possono fare dei paralleli, ma nulla è concesso a similitudini. Anche in campo estero, lo evidenzio perché in molti avranno pensato Cohen, Brassens, Brel... Certo, per uno che come lui riteneva brutta ogni sua canzone appena la provava a cantare di fronte ad un pubblico non potrebbe essere diverso. Per lui era certo, anzi autentico, il quid che l’ha spinto a scrivere ogni suo testo, quella canzone, quel libro, quell’articolo. “Una canzone che ha bisogno di essere spiegata è una canzone mal riuscita” come a rinforzare questa ipotesi all’origine di ogni “goccia di splendore” e disfarla appena questa diviene pubblica, un prodotto musicale, un titolo in mezzo ad altri a fare a cazzotti per essere più in alto.
Meglio     Gaber,
per quelle     cose


Quando Pasolini disse che gli italiani erano 54 milioni di fascisti, gli ho dato perfettamente ragione”. Quando una persona si sente frustrata ed è costretta ad ubriacarsi sconciamente ogni giorno per riuscire a superare le proprie frustrazioni. Accade l'impotenza. "Una sera Mina m’invitò a cena con la mia ex moglie Puny per chiedermi se volevo fare una tournè con lei in teatro: mi dice, 'Tu conquisti le platee, io il loggione'” gentilissima" ma Faber le rispose di no. Ero terrorizzato solo all’idea di cantare in pubblico, poi assieme a Mina sarebbe stato una debacle". Così Mina si rivolse a Gaber, che accettò subito. Ecco Gaber è l’esatto opposto di De André, il senso del pubblico gli scorre nelle vene. In questo senso Gaber è un Papa, Faber, nonostante la sua grandezza, neanche un catecumeno.


Stregato     dalla Sardinia
"Rimini, è un disco molto triste, terribile a tratti”. Forse è vero che è un disco di passaggio, ma sbaglieremmo a considerarlo secondario, perché Fabrizio, in Rimini, dove vanno a passare le loro vacanze estive un certo tipo di persone, seguendo certi tipi di clichès e codici di comportamento, scoppia tutta la piccola borghesia, nei suoi lati peggiori, un cancro molto diffuso ed estremamente pericoloso, perché non prende mai posizione. E, in ultima, il sottoscritto, a Rimini, ci ha vissuto per 25 anni. “Non faccio nomi, perché le persone cambiano, i fatti restano e fanno la storia, conformano la fisionomia di una città”. La prima volta che la sentì, quando ascoltai: “Ma voi che siete a Rimini, tra i gelati e le bandiere”, ho capito che ci aveva sgamato e non c’era attenuante o storia a cui appigliarsi per venirne fuori, non vi era giustificazione che reggesse a quel brano. Anche perché Federico Fellini, disse Faber, c’aveva già pensato molti anni prima di lui con “I Vitelloni”. Esiste una sorta di nemesi, che ogni tanto annienta i malfattori, ma non ne annulla le malefatte. Per questo, forse, la Sardegna lo stregò, Rimini non era dolce.
Fabrizio nella sua tenuta a l'Agnata

Kraus, Lenin, poi Bakunin

Vladimir Ul'janov Lenin diceva che l’etica è l’estetica del futuro. Grazie al cazzo, preferisco Karl Kraus che ribadisce che l’etica è l’estetica sono una sola cosa già ora e da sempre! Come sono convinto che la giustizia può diventare arte se coltivata con passione personale, come possa divenire la tortura di chi non ha difese alla stessa sua altezza. E non trovo nulla di più etico ed estetico di un disco incentrato, basato sui Vangeli apocrifi. Ma Bakunin fece ingresso nel pensiero dell’ancora giovane De Andrè: “Capì che gli anarchici sono dei santi senza Dio, dei miserabili che aiutano chi è più miserabile di loro”. Partendo da questa scoperta si è concesso il lusso di parlare anche di Gesù, prima in "Si chiamava Gesù" e poi ne “La buona novella” e oggi mi viene il dubbio che anche lui non fosse che un anarchico convinto di essere Dio. O forse questa convinzione gliela hanno attribuita altri. Da Bakunin passò a Stirner, e da una visione collettivista ne scoprì una molto più profonda, quella individualista. Dopo tutto ci vuole troppo tempo a trovare gente con la quale vivere quelle idee dai più ignorate, così se le viveva da solo. Più semplicemente, ricordo che in tv gli chiesero come immaginava la società del Duemila. E lui, in modo estremamente distaccato, rispose più o meno così: una società per lo più nomade, separata da due diverse fruizioni dell'economia. Da una parte coloro che riusciranno ancora a scambiare denaro contro merce e dall'altra un'economia che si potrebbe definire del dono, se non addirittura del mutuo soccorso. Penso che gli individui che utilizzeranno questa seconda forma di scambio saranno più numerosi degli altri e probabilmente migliori, più ricchi da un punto di vista spirituale.
Un murales ad Orgosolo in Sardegna dedicato a De André

Un borghese che tradì
le sue origini
Ad un certo punto lo definirono proletario. “Proletario io? Ne si ne no. E’ pur sempre un’etichetta, sicchè la rifiuterei, come rifiuterei tutte le etichette che nel corso degli anni hanno cercato di appiopparmi addosso”. Comunista, democristiano, socialista, borghese, ecologista, persino fascista. “Se sono più modestamente un anarchico, è perché l’anarchia prima ancora che un’appartenenza, un catechismo, un decalogo, tanto meno un dogma, è un modo di essere dello spirito, uno stato d’animo, una categoria dell’anima”. Tutti lati del suo carattere che lo accompagnavano da quando era bambino, quando preferiva giocare a biglie e scommetterci sopra e inventare parolacce per strada con una bande di compagni, piuttosto che stare in casa a fare il signorino di buona famiglia, quale comunque era e quale è rimasto per molto tempo, fino ai 17 anni, vivendo sulla sua pelle la drammatica schizofrenia di chi abita contemporaneamente da entrambi i lati della barricata. Un magnifico borghese che tradì le sue origini sociali per cantare in chiave trobadorica medievale di prostitute, disertori di guerra, amici fragili, barboni, indiani uccisi da un "generale di 20 anni con occhi turchini e giacca uguale e figlio del temporale".



Ministri di temporali
La domenica delle salme è un grande affresco in stile Bruegel: in esso la supposta fine della storia viene smascherata per quello che è: un'altra delle tante menzogne che i poteri utilizzano per celare l'avidità oscena del loro potere protetto dalla legge. De André li vede tutti, non ne perde uno: "i trafficanti di saponette (che mettono) pancia verso est", "la scimmia del quarto Reich che balla la polka sopra il muro", "il ministro dei temporali / in un tripudio di tromboni / che auspica la democrazia / con la tovaglia sulla mani e le mani sui coglioni". La domenica delle salme, non si udirono fucilate e il gas esilarante presidiava le strade.

De André con Mauro Pagani
La     domenica della salme si portò     via tutti i
pensieri e le regine del tua culpa affollarono i parrucchieri. E' un vero collage d'immagini che come il gico del riflesso del vetro, specchia una società malferma, muffosa, incapace a reagire di fronte ai suprusi del potere contro le minoranze. Come non rivedere, quasi fosse un vecchio documentario, le immagini di chi, nei decenni scorsi, guadagnava un applauso in più (con il corrispettivo aumento del conto in banca) recitando solidarietà con saluti a pugno chiuso e che oggi, magari, l'applauso in più e l'ingrossamento del portafoglio lo guadagna con monili tricolori all'occhiello della giacca? Ma come, insieme a loro, non vedere anche tutti coloro i quali applaudivano o si indignavano a comando e che continuano ancora oggi, impotenti comparse, a "gonfiarsi" nelle piazze (il popolo delle piazze) e davanti ai tribunali "in un coro/di vibrante protesta" quando la politica della società dello spettacolo lo richieda, magari, guarda caso, proprio all'ora del Tg?