Andrea Pazienza (San Benedetto del Tronto, 23 maggio 1956
Montepulciano, 16 giugno 1988) fumettista e pittore italiano
Andrea Pazienza |
Andrea, irrazionale,
assoluto, supremo,
assoluto, supremo,
alla sua maniera dogmatico. Non si sa come avesse potuto aggiustarla la razionalità, od ottimizzare il suo Brand come direbbe oggi un pubblicitario del Web o un Copy di una casa editrice qualsiasi che si occupa di Cloud various Chemicals in the Atmosphere the Surface. Ma cos'ho scritto? Come lo stile di Andrea: senza filtri, senza difese, privo di protezione come un pargolo intuitivamente dotato. Anche la droga l'assumeva allo stesso ritmo della Santa Sangre e dell'intuizione, ossia con fragile arrendevolezza e gracile affaticamento vitale. Non cercava, nel suo profondo, quelle risposte che sembrava aver trovato. Lo dimostra la noia che provava per tutti quei collettivi sindacali, davvero pallosi quanto la forfora sul paltò, sull'occupazione di questa o quell'altra sezione del liceo o università. Per lui, questo, come per me, era tutto tempo perso, inutile, errabondo, pleonastico. In lui trovavi la dinamica del rischio, l'esagerazione, l'eccedenza, l'eccesso d'energia, la vitalità in sovrabbondanza da tutti i pori. Uno così, ma come cazzo viveva?! Non bene, non normalmente, almeno. Le cose pratiche non gli appartenevano. Gli sfuggivano come fa la repulsione col fascismo. Aveva quel minimo di praticità per poter sopravvivere, solo che in un mondo come questo, se segui la massima "la giovinezza e questo perenne amare i sensi e non pentirsi", il rischio è proprio quello in cui s'è imbattuto Andrea.
due tratti, un capolavoro |
Attenzione a non essere b/anali
nella lettura. Per lui amare significava cogliere il carpe diem, afferrare tutto finché ce la fai, fino a scrivere le seguenti e ormai parole scolpite nella pietra per i cultori del Paz: "MI CHIAMO Andrea Michele Vincenzo Ciro Pazienza, disegno da quando avevo 18 mesi e so disegnare qualsiasi cosa in qualunque modo. Ho fatto il liceo artistico, una decina di personali e nel '74 sono divenuto socio di una galleria d'arte a Pescara. Dal '75 vivo a Bologna. Sono stato tesserato dal '71 al '73 ai marxisti-leninisti. Io sono il più bravo disegnatore vivente. Morirò il 6 gennaio 1984". Forse qualcosa di Andrea ci è sfuggito, in tutta la sua voracità nel darsi in pasto. In qualsiasi salsa e per qualsiasi viandante attratto dalla curiosità per le sue avventure, da Penthotal a Pompeo, da Zanardi a Fiabeschi, un'epopea mitologica di similitudine traslate.
Pompeo *Il Dandy più at-teso* |
Andrea è sempre stato giovane, dovunque si trovasse, Tango, il Male, Frigidaire, Cannibale, nessuno lo prendeva sul serio, lo tradiva sempre la sua impunita e acerba leggerezza dalla mano felice. Non riusciva a fermarsi. Di notte capitava che s'alzasse per disegnare fino all'alba. Era un atleta della fantasia. Correva tanto con la testa e nelle sue bozze sparse, pur essendo amante della lentezza e delle comodità. Non si può sentenziare con un liquidante "Se l'è cercata" o "Se l'è voluta", a conti fatti sono i grandi che rimangono col piatto piangente.
Fashion victim
Istintivo e
domestico, pronto a farsi attraversare da tutto come a cercar rifugio fra le sue mura di casa, Pazienza viveva la sua gioventù nel segno di Pan. L'eterno ragazzo, un compagno di scuola, il Dandy attentissimo alle mode del tempo (intesa come linguaggio) e alla cura del proprio corpo. Era una "Fashion-victim", sia per come si vestiva, con estro audace, mai banale, sia quando arrivava per disegnare una tela davanti a mille individui in modo snob e sfizioso, consapevole che non stava vedendo arachidi o lupini. Andrea mostrava arte, quell'invenzione avventurosa che ti prende al plesso solare per un "pò". I più bravi e fortunati, sono coloro che riusciranno, umilmente, ad allungare nella propria vita il più possibile quel "pò". Un programma smodato che Paz sintetizzava dicendo "E ringraziate che ci sono io, che sono una moltitudine".
L'incontro con Fellini
Sergio Staino, fondatore di "Tango" e di tant'altro, Maestro d'Ascia, è consapevole che il Paz filo viaggiasse su alte frequenze estetiche rispetto alla sensibilità dei già ottimi artisti di allora. Ma lui sempre sopra tutti. Ne intuì anche la fragilità, in qualche maniera, non dico aiutandolo, ma sicuramente favorendolo. Come nel cinema. Disse il Paz: "Fellini, lo incontrai a Cinecittà e dove sennò? Altro che vocina, quella era una vociona. 'Bona lè!'. In un attimo - racconta Andrea dell'incontro con Fellini - caddi nell'ammirazione totale, con un niente, rendendomene pure conto. Inspiegabile per le mie coronarie.
Per il resto, lui voleva un manifesto e mi difendeva con innumerevoli disegni spiegandosi. Io, facevo sempre cenno di si, con la testa, lui come un fiume in piena come un gorgo, continuava a dirmi qualcosa di fantastico per come me lo spiegava, ma capivo che non l'aveva bene in mente neppure lui e sperava in me che scappasse qualcosa di buono. Cercai - conclude il Paz - di non deluderlo in tutti i modi". So che Fellini pianse quando seppe che quel giovane spensierato, allegro e gaio, come il fuori classe Nik 900, morto a 23 anni per malformazione cardiaca mentre girava un film col Maestro. Ragazzi potenti e originali, come piacevano ad Effe Effe. Giovani che consumavano la combustibile per due persone, tanto era la furia interiore da narrare che dovevano domare in qualche misura per non scoppiare di tristezza. Costretti alla gloria, potrei anche scrivere.
Andrea Pazienza da "La Prolisseide - tutti gli uomini importanti
che mi hanno conosciuto", in "Storie brevi". Fandango editore
Rivendico la mia
Rivendicava a pieno titolo, la sua completa inaffidabilità, senza che questo dovesse generare malcontenti. Lui in fondo era onesto, ammetteva, per natura, di non essere molto presente riguardo alla realtà e per non dispiacere agli altri avvertiva chiunque che non poteva prendere seriamente ciò che lui diceva o punteggiava: "Voglio rimarcare la mia assoluta inaffidabilità". Io dico che è molto meglio uno così, di uno\a che t'assicura di telefonarmi e io l'aspetto in ansia, magari stando male, senza alla fine aver ricevuto alcuna telefonata, con la complicità di decine di persone che per non mettersi nei casini dicono, "adesso non c'è", e giù la cornetta, come a chiudere un canale. Ne è nato un monito senza volerlo.
assoluta inaffidabilità
I rivoluzionari del borghetto
Ciò che più
affascina del Paz e che il Movimento politico dell'epoca sbraitava per le piazze, le strade, ma a lui non gliene fregava un beneamato cazzo, pur facendo sempre parte di quel habitat mentale: "erano smargiassi, sembrava sapessero tutto loro", diceva Andrea quasi scocciato, per poi rincarare la dose definendoli: "i rivoluzionari del borghetto". Uno che sentiva un profondo bisogno di affetto, e allo stesso tempo così spavaldo da passare per una persona volutamente antipatica. Ma non voleva, non prendeva distanze da nessuno, neanche dai benpensanti borghesi, non era stronzo in questo senso.
Anzi, se c'era chi bagnava di benzina lo straccetto nella bottiglia, preferiva prenderli per il culo nelle sue tavole. Uno che tremava "come le foglie in autunno" ma non riusciva a non andare controcorrente proprio là, nel suo ambiente, con i suoi amici, Precisava: "Prima di fare fumetti, dipingevo quadri di denuncia. Erano tempi nei quali non potevo prescindere dal fare questo o quello per questioni economiche, nel senso che non potevo scegliermi quale lavoro fare. Per vivere facevo un pò quel che capitava, sempre attingendo dalla mia sorgente. Venni a sapere che i miei quadri venivano comprati da farmacisti, commercianti, dentisti, che se li mettevano in camera da letto, alcuni anche nello studio di lavoro. Il fatto che il quadro continuasse a pulsare in quell'ambiente mi sembrava, oltre che una contraddizione, che però ci stava nel mio percorso. Da qui la necessità infinita di confondermi e nascondermi in essi".
Amava tutto
imprevedibilmente
Non mi paragono al Maestro del tratto, sarei d'ammazzare al sol pensarlo, ma verifico che la storia si ripete in certe liste web-underground, dove si muore per delle idee ma di morte lenta, quasi impercettibile, dove chi scrive pensa d'essere difronte ad una platea, la più cool, di eterni militanti ripetitivi fino alla noia e fuori strada in direzione ostinata e refrattaria. Spesso le più incredibili stupidaggini, gli scambi distratti di battute negli angoli delle strade, i guizzi luminosi e casuali delle notti di Bologna, te li ritrovavi in una vignetta magnificamente trasformati in serpenti di vita.
Un caos geniale e velocissimo,
un ritmo sfrenato che lasciava tutti indietro. Era il più depresso degli uomini, era il più felice degli uomini. Era un eroe senza macchia, la penna come una durlindana, ed era il più bastardo degli amici. Le distinzioni con Andrea reggevano poco. Ognuno per la sua strada, in fondo è meglio dirci ciao che non esserci mai incontrarti. "Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare un intera via crucis con una semplice stretta di mano o una visita ad un museo e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi e miliardi di parole d'amore", il Paz fa dire ad un Samurai vestito di kimono nero con cappuccio armato di Katana.
DA
SOTTOSCRIVERE!
"At du pal Paz!"
(Francesco Guccini)
Si sentiva unito a quella gente. Innescò un rapporto privilegiato con Francesco Guccini, entrambi grandi affabulatori della parola imprevista e sbalordita dalla sua stessa velocità di risposta, rispettando i tempi d’una commedia shakesperiana già scritta, quasi imparata a memoria all'istante. Anche con Bonvi e De Maria legò particolarmente. Gli piaceva stuzzicare Francesco Guccini, disegnandolo come un omone imponente, ampio e claudicante, chiamandolo “Guccione”. Francesco un giorno si scocciò “che due palle…”. Una volta vennero alle mani, ma poi tornò quasi subito come prima, tutto accadeva dopo il Festival, dopo cena, la sera tardi, quando i fumi dell’alcol e non solo penso, avevano già cominciato a salire insieme ai limiti dello sfottò.
Un Bengala *detonato*
Infiammabile
come un petardo, Paz era capace di show improvvisati a se stesso, ma soprattutto memorabili. Per un senso di giustizia che sentiva o se volete per cavalleria o per puro gusto di teatrante qual'era. E' noto come Andrea si fece marchiare come pazzo piuttosto che fare il soldato e imbracciare un fucile, anche senza sparare a lui non piaceva. Evitò il servizio militare presentandosi alla caserma del Celio facendo il demente, matto. In quel periodo era anche attore, in "Cavalli si nasce" di Sergio Staino. Andò in caserma accompagnato da due suoi amici napoletani psichiatri. L'ufficiale medico gli faceva alcune domande di routine al Paz "demente" e lui rispondeva solamente: "Mammapapàsorellafratello", così per 10 volte. Al chè, l'ufficiale medico disse ai due psichiatri complici di Andrea: "Siate morbidi con quel ragazzo", come se con altri bisognasse essere duri. Certe cose non le capirò mai.
L'innocente monito di chi non accetta di dover cambiare se stessi per piacere agli altri ed essere accettato, dette in lirica "zanardiana"
Intervista al Paz
Sono ciò
che spendo
Come per tutti, il tempo dei trentanni passa, e Paz li rimpiange tutti e con essi una stagione irripetibile del fumetto e pittura italiana. E' venuta meno l'ebbrezza che provava quando era al centro esatto delle esperienze più oltremodo di quel periodo fecondo, dal "Cannibale" a "Frigidaire", autore fra gli autori e soprattutto, il più dotato di una generazione di fumettisti che come padrone avevano solo la loro creatività, neanche il pubblico, il lettore, la loro genialità. Poi a quel livello non s'è più visto nessuno. Ribadisco, nessuno! Ora al "confino a Montepulciano" come lo definiva scherzosamente (ma non troppo, sapendo leggere tra le righe o capire il non detto per pura incapacità) in un'intervista a quel gagio di capelli che in quegli anni te lo ritrovavi dappertutto, saltare da interviste a Roger Waters (bassista dei Pink Floyd) al romagnolo Raul Casadei e la sua "Mazurka di periferia".
Andrea sul lungomare di san Menaio
Il suo bronx
Il Paz soffre la mancanza del gruppo, della redazione, l'odore delle matite, della china, lo spirito in qualsiasi gradazione. Gli mancano anche gli sfondi metropolitani giovanili che l'avevano ispirato così felicemente. Gli mancava "il Bronx" che gli sarebbe ancora piaciuto vedere invece dei magnifici colli della Val di Chiana. Due dimensioni opposte. Era tutta questione legata allo spirito, alla quintessenza, al livello della misura dell'esistenza. In realtà, senza che neppure lui, il rabdomante dei mutamenti giovanili, se ne accorgesse, era cambiata un'epoca e non tutti erano pronti ad accettarlo. Continuo a dire che mutò un'epoca con troppa eroina.
C'era paura del terrorismo,
l'eroina inquinò parecchi quartieri e colpì i migliori, fino ad arrivare alle città centrali come Verona e Milano. Ho sempre pensato che un modo per schiacciare, ammaccare e umiliare queste nuove leve dello stato dell'arte ad un'altezza apogea, vertiginosa, non desse poi tanto fastidio una bella ondata d'eroina in tutto il Paese incasinato con i terroristi, per mettere fuori gioco chi rompeva i coglioni con la loro arte o creatività che alimentavano le voci dei movimenti giovanili, dei centri sociali che dettavano il "la" su cui gli artisti poi elaboravano, per dar vita a frasi del genere: "La realtà è sempre nuda, basta questo per capire che razza di zoccola è" oppure: "Il segreto della giovinezza è averci la mente porca", anche "Mai tornare indietro, neppure per prendere la rincorsa". Andrea s'era perso nella normalità e non accettandola, teso com'era a prosciugare il momento per sua natura, il carpe diem Omeriano, un Guest house di persone giuste, si complica tutto senza dar fastidio a nessuno, o a quei pochi che aveva rimasto, del proprio declino senza rompere i coglioni agli altri, in un modo o nell'altro si è superato spesso. |
Un Zanna a 40anni visto da Duilio Cusani
Ogni tanto devo massacrarmi
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Geniale rappresentazione di Luca Enoch
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Paz è davvero sperduto, quasi smarrito tra l'amenità dei colli toscani, seppur fantastici, ma si può piangere anche al carnevale di Rio, ma quasi tutti lo ignorano. Ammogliato, con due cani da portare a spasso. Vita sana, tiro con l'arco, casa, famiglia, una innocente cannetta, ma nell'idillio apparente c'è qualcosa che stona. Lui stesso appare convinto fino ad un certo punto della nuova condizione in cui si ritrovava: "Ora che vivo in campagna come un cretino non sono più depresso, come l'oblio, un ascoltarsi come un parlarsi" scrive nel testo che conclude il mistico "Pompeo" e sfido chiunque neghi che quel testo sia eccessivamente spirituale. C'era lui, solo lui, e lui quando schiattò, lo percepiva, come quando senti una pera salire troppo prepotente.
Betta sullo squalo
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T'accorgi che nulla ti è più in mano,
tutto diventa improvvisamente sfilacciato. Quando capita, per festeggiare un'occasione, si faceva un pò d'eroina come ai primi tempi della feroce frequentazione con madam Medusa. "Ogni tanto mi devo massacrare consapevolmente e fiducia in me stesso e nella mia crudeltà", confida ad un suo caro amico. "Pompeo" straccia ogni squarcio interpretativo per la sua unicità narrativa e semantica, in quei primissimi anni quando si pensava di aver risolto tutti i nostri problemi perché avevamo scoperto l'eroina. Ci si chiudeva anche interi meriggi in casa con 3 grammi di coca in vena per uscire la sera, verso le 20, alla smaniosa ricerca di un pezzo d'eroina per placare il down e i calci e morsi del calo della cocaina, derivato che ti porta per mezz'ora dal sole alla luna, un gioco massacrante, che allora, 1979, ci faceva sentire i più fortunati e coraggio. Un bel traffico da gestire ci ritrovavamo. Anche se il Paz era dedito alle droghe che spegnevano, poca cocaina, molta eroina e cannabis. No, non era per le droghe veloci. A lui servivano calmanti, non eccitanti. Era veloce di natura, troppo "veloce".
In arrivo, è l'incombenza
Il fatto d'uscire indenne dai ritmi disastrosi in Bologna, e dai ripetuti collassi per overdose, procurati volontariamente o meno, più che un senso d'immortalità, finisce per alimentare un senso d'impunità. Sulle alture di Montepulciano cova lo spleen, la mancanza e il bisogno, regna l'indolimento. Andrea era sempre più instabile, e i suoi sentimenti di uomo, divennero ancora più fluidi se fosse ancora possibile, i suoi stati d'animo, lasciandosi toccare da tutto, facendosi piovere addosso e senza cercare riparo. Io, non ho mai avuto la fortuna di conoscere il Paz e per me è una grande mancanza, tuttavia, facevo le sue stesse cose, non artisticamente, ma nel privè, per cui come potevo scoprire il genio in contemporanea. Non ero molto attento alle avanguardie all'epoca. Offuscato com'ero, come potevo? L'eroina non ti ruba tutto, ti porta via l'anima e fai quello che vuole lei, banalmente detta.
Una pernacchia
a Focault? Massì
Non l’ho mai visto nei panni di una persona che aveva un progetto o un’utopia politica. Nel cuore e nella mente, aveva canali interrotti e che non li avrebbero certamente ricongiunti ne Michel Focault, tanto meno Ezra Pound. Anzi che stessero pure alla larga entrambi, lui li lasciava a fare a pugni sulla torre di comando, ridendo di loro assieme ai suonatori di Calipso mentre il cielo si sta allontanando. Tra le tante definizioni, è stato anche il "poeta dei tossici". Allora mi domando: come può uno che disegna poesia e che poi finisce che piacciono ai tossici, ridurre ad un'analisi politica o concettuale un lavoro così difficile e orizzontale a tutto? E' evidente come un lampione acceso che è una contraddizione. Ora se c'è una cosa amara, desolante è proprio quella di capire all'ultimo momento che l'ipotesi giusta forse era un'altra. Lasciando sperare a chiunque di trovarla in ogni luogo questa ipotesi, senza affilare alcun sapere di cui si è in fallace o parziale possesso.
Le opere del Paz, sulle note di "Summertime", Janis Joplin
I miei amici,
quelli veri
A trovare nuovi mezzi conoscitivi ed esplorativi attraverso le opere disegnato, era il migliore. Fino ad inventare forse solo ciò che la nostra, forse troppo fervida fantasia, ci porta a vedere nelle opere di Pazienza, quello che avveniva a tutto tondo, negli '70-'80. In chiusura penso alle molte altre vittime e interpreti di quegli anni, scomparsi uno ad una. C'era qualcosa che non non funzionava, l'apoteosi dell'autodistruzione ha sgasato, certo, ma è limitante all'atto "spiegativo". Tuttavia, qualcuno ne è saltato fuori indenne, altri no, altri ancora non si riesce a capire, barcollano. Non so, fra le quattro eventualità, chi abbia sofferto di più. Cesare Pavese scriveva: "Ogni vita è quella che doveva essere". Con questo vento che mi soffia sulla faccia dalla finestra appena dopo mezzanotte, rendo lode a chi ci ha preceduti in cielo a chi come pochi hanno rappresentato l’inquietudine e lo spirito che cavalcava gli anni ’70 e ’80. Paz, non ti sei perso gran che.
Tanta bella gente: Pazienza con Giovannini,
Napoli e Roda. Foto Coppitz, 1983
Il tempo degli occhiali
Il Paz era alla ricerca di un riparo dalle tensioni e da storiacce sfuggitegli di mano a Bologna. Per questi motivi era inseguito da se stesso, dall'ombra della morte dell'amico "gemello tossico" Stefano Tamburini, dalla percezione di non poter più sfidare se stesso divorandosi carne e creatività come ai tempi dei vent'anni, quando con Penthotal divenne la "rock" star del fumetto italiano, una stella rivoluzionaria. Era finito il tempo del giusto, di colui che il buon Dio perdona. Iniziava la stagione degli occhiali, il ritmo pesante delle malattie e degli acciacchi. Iniziava forse il ciclo della pesantezza delle vita, che ad alcuni può pesare, certamente, più che ad altri. E penso che Andrea fosse tra queste persone con le antenne irte. |
Sciapò, Paz
Paz muore il 16 giugno del 1988, a 32 anni e il cielo si rabbuiò. Qualcuno d'irripetibile, ch'era riuscito - per davvero - a raccontare l'Italia dei giovani irrequieti e sognatori, quelli del Movimento del '77 e del terrorismo, del Dams, dell'università, dei mercatini all'aperto, di chi per strada ci viveva, illusi idealmente quanto utopisti per mestiere, disincantati per vocazione ed eroinomani per necessità. La ribellione di una generazione che, come scrisse Pier Vittorio Tondelli, non era stata capace di credere veramente in nulla "se non nella propria disperazione".