Nato a Johannesburg-13 settembre 1960, morto a Johannesburg-27 luglio 1994.E' stato giornalista, fotografo e membro del "Bang-Bang Club", formato da Kevine altri 4 fotografi che si ritrovavano nelle guerre sparse su questo pianeta
The MISSION of Kevin
E' difficile, anziè , almeno per me, parlare di chi si nega la vita. Lo facciosolo per ricordare chi lo merita. Kevin Carter, fotografo, è fra queste. Imbracciòla sua prima macchina fotografica nel 1983. Era giovane Kevin, un ragazzo.E come tutti i giovani, sognava di salire sulla vetta del mondo. E c'è pure salito in cimaal mondo, ma quando si è ritrovato a contemplare, dal silenzio dell’altezza raggiunta,il baratro che lo circondava, specchio infranto fatto di parole e non dava adito adinterpretazioni e non concedeva nulla ai malintesi, deve aver provato una sensazioned'impotenza globale dentro di se. Kevin Carter è stato un giornalista.Un portatore di realtà orribili, concepite e finalizzate da nostri simili su nostri simili.
Foto di Kevin Carter in Somalia
Ilsupplizio
delpneumatico
Col tempo Kevin aveva iniziato a cedere, l'entusiasmo
inizialesi stava tramutando in tortura. Il lavoro di documentare le atrocità
che la guerradisseminava sul suo feroce cammino, devastazione su saccheggio, dall'abbandonoallo scempio, dalla distruzione alla razzia, in qualsiasi sua manifestazione e in nomedi ideali superiori
riusciva a incombere su milioni di persone, è una cosa moltoseria. Scoprì, a sue spese, cos'era il'necklaced'.
Un metodo di tortura o esecuzione in cui che
consisteva nel cospargere all'interno di un pneumatico riempito di benzinae
appeso al collo del massacrato che era stato legato. Ogni suo movimento eranopezzi di gomma rovente che gli cascavano sul corpo. Ma come riuscire a starefermi in quella situazione? E' un modoraccapricciante di
uccidere e inizialmenteCarteraveva forti riserve sul pubblicare le foto su
questotipo di tortura. Si raccontache Carter udì un sommesso piagnucolio e vide una bambina che tentava di arrivareal centro di alimentazione (secondo alcune versioni, distante un chilometro).La inquadrò per fotografarla e nella inquadratura apparve un avvoltoio.Lentamente, per non disturbare l’uccello, cercò la posizione migliore per scattarela foto. Avrebbe raccontato lui stesso di avere atteso oltre venti minuti, sperando chel’avvoltoio non volasse via. Dopo aver scattato la foto, Carter scacciò l’animale edabbandonò la bimba al proprio destino.
Taylor Kitsch nel film dedicato a Kevin Carter
Uncappioall'Umanità
Se potessimo vederci con gli occhi degli altri,
scompariremmo all'istante.Tanto, anche quando disertano l'inferno, gli uomini lo
ricostruiranno altrove. Le brutalità che si riusciva a commettere, spinti più che da
nuovi ideali da antichi odi, hanno stravolto e lesionato per sempre
l'anima del giovane fotografo.
Nel '94 si ritrovò catapultato per il "Johannesburg
Star" nella brutalità dell'Apartheid per poi saltare da una guerra a all'altra: Sudan, Ruanda,
Liberia, Sudafrica... Carter è stato il primo fotografo a pubblicare l'esecuzione
chiamata "supplizio del pneumatico" in Sudafrica. E' meglio non sapere nel dettaglio cosa sia il
"supplizio del pneumatico". E Kevin allora scoprì che l'uomo era infelice perché era
capace di tutto. Con quello che ha dovuto vedere ci sono solo
argomenti d'elogio e nefandezze più aberranti.
I connotatidella guerra
ed i lercinascondigli della storia
Ammetto che mai post mi fu più difficile scrivere. Non perché sia complicata la storia di Kevin, semmai è vero il
suo contrario, è anche fintroppo precisa nei suoi angoli più chiari e più scuri, come
la tastiera di un pianoforte che suona musica atroce per chi comunica con le immagini.
Penso che la vita di Kevinper e silenzioso degli innocenti, di chi gli è stato rubato
tutto ancora prima di nascere.suoi simili. Inconsciamente, certo, perché le foto di Kevin
non davano lo spazioper vedere chi ne era l'autore, in quanto la
rappresentazione cruenta era una calamitaCarter, la sua storia per come s'è aggrovigliata, abbia
toccato la vita di molti
L'impressione ha sempre
prevalso su tutto. Il dolore sproporzionato a
tutto, talvolta può essere sintetizzato in un frame. Kevin l’ha visto,
dimostrandoci cosa accadeva da qualche parte del mondo, ciò che cerchiamo di
nasconderci, il massacro consapevoli a tutti l'attenzione di chi guardava
quella foto e sfuggiva il tempo per il fotografo. Le terre dove una lacrima ha
radici più profonde di un sorriso. Non c’è alcuna morale in questa storia.
Non
si può trovare una morale nella cosa più immorale che l’uomo abbia inventato:
la guerra. Cerchiamo solo di introdurre spunti di riflessione sui perché delle
guerre. Sul perché si vada ancora per il mondo a distribuire dolore e morte e
si vogliano spacciare questi crimini contro l’umanità, come “missioni di pace”.
Perché tanta sottile perfidia e tanta sordida ipocrisia? Domande retoriche che riecheggiano nella nostra mente e feriscono il mondo.
Più senso avevano le parole di Kevin stesso: "Ero sconvolto vedendo cosa stavano facendo. Ero spaventato per quello che io stavo facendo. Ma poi le persone hanno iniziato a parlare di quelle immagini... così ho pensato che forse le mie azioni non sono state poi così cattive. Essere stato un testimone di qualcosa di così orribile non fu necessariamente un male". Carter, e il suo carico di miseria nello zainetto, si spostò nel Sudan per rendere consapevole il mondo di quanto stava accadendo lì e come la fame e le malattie stavano eliminando un paese nel quale un governo stava armando la sua gente.
la morte, in certi casi, è uno stato di perfezione
Emil Cioran
Nel libro "Buio profondo" di Andy McNaab, descrive così questa fotografia: "Una minuscola bambina affamata, non più di un mucchietto di ossa, ingobbita, nuda in mezzo alla spazzatura. Alle sue spalle un avvoltoio, immobile, che controllava ogni suo movimento". Kevin Carter ricevette molte pesanti critiche per non essere intervenuto ad aiutare la bambina. In molte interviste gli è stato chiesto che fine avesse fatto la bambina, il perché non l'avesse aiutata, ma lui non ha mai risposto o ha risposto in modo evasivo. Sempre Andy McNaab racconta: "Il problema di Kevin era non poter dire al mondo se quella ragazzina era sopravvissuta o no. Era sincero su questo. Ammetteva di essere rimasto venti minuti in attesa che l'avvoltoio aprisse le ali. Non le aprì e Kevin aveva scattato le foto e poi era rimasto seduto sotto un albero a piangere e a parlare con Dio, a pensare a sua figlia. La ragazzina sudanese, divenne il suo incubo. Non era giusto attaccarlo. Il fatto è che i benpensanti di periferia hanno visto una sola bambina".
Non c’è alcuna morale
umanain questa storia. Non si può trovare una
morale nella cosa più immorale che l’uomo abbia inventato: la guerra. Forse
quella bambina era la normalità, una delle centinaia che Kevin aveva visto morire
quel giorno o quello prima, in un modo o nell'altro. Se non avesse scattato la
foto, molti non avrebbero mai saputo neanche dove si trovasse il Sudan.
L'immagine è diventata un icona mondiale della terribile situazione del Sudan e
dell'Africa in generale, più volte spazzata da carestie, malattie, guerre
civili e non nel mondo. Come per la
fotografia di Nick Ut (in realtà si chiamava Huynh Cong,
fotografo dellaAssociated Press), premio Pulitzer 1972, nella quale ritrae una piccola
vietnamita nuda eustionata in fuga con altri bambini e soldati da un villaggio
raso al suolo dal Napalm.
Il prezzo pagato da Kevin La guerra è il Vulnus
Per
uscire da questoginepraio dove la ripugnanza, l'orrore, l'avversione trionfano senza sosta, ecco le parole di Emil Cioran: "Vago attraverso i giorni come una puttana in un mondo senza
marciapiedi. La morte è uno stato di perfezione in questo orrore alla portata
di un mortale spogliato di ogni sua ombra. All'interno di ogni suo desiderio
lottano un monaco e un macellaio".
21mila
mortiin 5 mesi
perl'apartheid
Secondo le statistiche della HRC (Human
Rights Compaign), 21.000 persone sono morte nelle violenze politiche
in Sudafrica durante l’apartheid, delle quali 14.000 durante i sei anni del
processo di transizione dal 1990 al 1994. Di queste morti, il 92%, sono dovute
ad africani che hanno ucciso altri africani, ad esempio in battaglie tribali
per il controllo del territorio per conto del dominio inglese o occidentale.
Per lasciare, a tutt'oggi, gli ospedali sudafricani luoghi di morte. Kevin, che suo malgrado aveva
documentato già tutto, lasciò scritto quanto segue, in uno dei suoi tanti
appunti dispersi nel mondo:
Il punto
estremo
"Il lato peggiore della
guerra
è quello del ricordo. Quando hai visto coi tuoi occhi la
guerra, in tutto il suo orrore, cambi personalità, diventi più forte o ne puoi
rimanere oppresso. E' successo a molti. Contate i suicidi avvenuti fra i
veterani del Vietnam, non so quanti siano, ma sono migliaia. Perché la guerra,
non puoi cancellarla come fai con lo sporco sulla pelle attraverso una doccia.
No! Lei ti rimane impressa per sempre, e se sai fare il salto lo fai,
altrimenti o ti aiutano oppure il buio ti riserverà qualcosa. Credetemi, i
propri occhi non mentono alla propria anima, perché dopo si ha a che fare con
essa. Mentre a vederla al cinema o leggerla su di un libro, si riesce sempre
sfuggire ai suoi brividi brutali e strazianti, gioca un ruolo determinante se
non assoluto nella percezione dello sconquasso collettivo, nel deturpamento.
Non sei più quello di prima. Vederla in tg o in un giornale, equivale, in
un'ipotetica brutale scala da 1 a 100, ad 1".
Carter,Johannesburg 1993-HRC Human Rights Campaign)
"Il
mormorio del ricordo
è undramma"
Due mesi dopo aver ricevuto il suo Pulitzer, Carter sarebbe
morto di avvelenamento da monossido di carbonio a Johannesburg, un suicidio. Il
suo camioncino rosso era parcheggiato nei pressi di un piccolo fiume, dove
aveva l'abitudine di giocare da
bambino. Un tubo da giardino verde collegato al gas di scarico del veicolo
incanalato i fumi all'interno. "Sono molto, molto dispiaciuto", ha
spiegato in una nota lasciata sul sedile del passeggero sotto uno zaino.
"Il dolore della vita prevale la gioia al punto che la gioia non
esiste". Vorrei che queste parole si trasformassero in un boato mentale
per tutti i guerrafondai, dai soldati ai Presidenti e anche a chi sceglie di
non volere vedere la spietatezza delle atrocità, a cominciare da tu che leggi
queste parole. Un incessante brontolio mentale, unfragore, un muggito, un rimbombo, un rugghio,
un ruggito, un tuono. Come se ti avessero appena detto che tuo figlio è morto
perché un machete gli ha tagliato la testa. Ma non furono queste immagini
“urlanti” a determinare la sua fine, bensì un’immagine “silenziosa”. Non con
uno schianto finirà il mondo, ma con un lamento, ci ricorda il poeta ed è con
un sommesso lamento che è finito il mondo per Kevin Carter.
Spesso, la diplomazia è la continuazione
della guerra con altri mezzi
La nota di
suicidio che ha lasciato, è una litania di incubi e visioni scure, un tentativo
di auto analisi, una spiegazione, un modo per chiedersi scusa. Dopo essere
tornato da New York, Kevin scrisse ormai allo stremo: "Sono dilaniato in
questa stanza anonima d'albergo, senza telefono, soldi per l'affitto, ci
penserà il giornale. Sono ossessionato dai ricordi di omicidi improvvisi e dai
cadaveri, dalla rabbia, dal dolore di bambini che muoiono di fame o di feriti,
di grilletto facile, come la polizia, autentici carnefici".
Kevin Carter in Sudan
*La frase*
"Sono perseguitato dai ricordi vividi di corpi dilaniati e
cadaveri, la rabbia, il dolore, la fame. Bambini feriti, dal grilletto facile, polizia assassina e carnefice. Sono massacrato dai ricordi
dei corpi i volti, le urla. Non riesco a dimenticarli".