Notti notturne

martedì 22 luglio 2014

Poesia in movimento


Ho sempre pensato che il mistero del calcio,
abbia similitudini col Mistero della vita

Il calcio è l’ultima
rappresentazione sacra
(Pier Paolo Pasolini)

di Matteo Tassinari
Lo so già, tutti a borbottare i sapientoni: "ma quello era un altro calcio, quello di oggi è un'altra cosa". Non m'interessa proprio nulla fare distinguo sul calcio di Pasolini e come lo intendeva e il calcio di Moggi, che poi è il calcio di oggi, di chi ci lucra spasmodicamente miliardi di euro e lo riduce ad un becero business. Il calcio è il calcio della strada, come in America Latina nelle favelas messicane, nelle periferie francesi vicino a Marsiglia. E' quello che ho vissuto io, lasciando da bambino molto sangue sull'asfalto per giocare e buttarmi graffiandomi da tutte le parti. Ah, dimenticavo,  io ero il portiere e dovevo per forza buttarmi, era nelle regole nostre da rispettare con gioia, erano le uniche regole.
Il gol più bello della storia del calcio.
Maradona ha scartato l'Inghilterra tutta e va in gol










La pipì del Portiere

Non importa chi è,
Lheman ex portiere della Germania
Ogni gol è VITA
un'invenzione. E' sempre una sovversione del codice, dove se ne vedono di tutti i colori, anche le sfumature di grigio. L'ultima è quella di un portiere tedesco di prima divisione. Mi sono sempre chiesto che cosa può succedere, quando ci si trova costretti a stare in piedi, davanti a 90mila persone, per tre quarti d’ora di fila e non poter andare in bagno pur avendone bisogno. Alla fine quel giocatore mi ha accontentato. Doveva solamente fare pipi. Ma come regolarsi, quando uno stadio intero è li a guardarti anche il buco del culo, senza contare le decine di telecamere? Si vede che alla fine non ce l’ha fatta, cosi, quatto quatto, non appena è arrivato il momento buono, si è allontanato dalla porta, e li, di fronte a tutti, ma accucciato dietro i tabelloni pubblicitari belli e grandi, il giusto per eclissarsi dalla marmaglia, si è liberato fino all'ultima goccetta. Sembrava un cane. La cosa più impressionante era l’espressione. Concentrata, ma insieme distratta, quasi volesse far finta di niente. Mi ha provocato una profonda simpatia. Simpatia e pena, eppure nel suo gesto c’era anche dell’eroismo, per quanto patetico.
Provate voi a fare la pipì li dentro
Palleggi, Palleggi, Palleggi
Superare l'ostacolo del corpo nella maniera giusta, come un torero con la sua veronica non è da tutti. Palleggi, palleggi e palleggi ancora in un pomeriggio. Quel bambino, solo col suo pallone, passava ore, pur di superare i tocchi che si era prefissato mentalmente di fare. Non allegro, ma assorto, pienamente consacrato al dio pallone, estraneo al mondo. Una buona approssimazione alla felicità, alla disponibilità altrui, all'amicizia nel gioco di gruppo. Per questo cominciai a scrivere per la sfiga di molti. In porta ero sicuramente meglio, la gente era stupefatta, più fatta che stupe, nel vedere un bambino parare come un maggiorenne. Scherzi a parte, in porta ero il migliore, al punto che agli allenamenti non andavo quasi mai, ma la domenica mattina, la mitica maglia numero 1 la indossava il sottoscritto, per la griffa di molti. Eppoi chi di voi mi conosce lo può confermare. 









Plana il giocatore foca 
Nulla a che vedere, comunque, con il cosiddetto giocatore-foca, l’animale ammaestrato capace di palleggiare per ore e ore nei modi più diversi, utilizzando tutte le possibili e immaginabili parti del corpo umano. Lo vedi con la palla dietro la nuca, o immobile sul capo, mentre ti fissa sorridendo, o ancora ipnotizzato in una serie infinita di tocchi tra spalla, coscia, ginocchio. Tutte cose che in genere scompaiono sul campo, quando basta una spallata dell’avversario per far crollare quella scintillante cristalleria di gesti. La brutalità dell’azione serve difatti a ricordare come questo sia uno sport di squadra, in cui lo spazio del puro gorgheggio è forzatamente ridotto. Allora vedi quei poveri virtuosi, quegli estenuati calligrafi del calcio, sedere tristi in panchina, con tutto il loro catalogo di mosse prestigiose, in attesa di entrare verso la fine della partita, magari per piazzare un unico colpo di tacco che ricordi alle folle, almeno un attimo, la gloriosa esistenza del dandysmo.
Pettorali famosi

Analoga alla pratica solitaria e ossessiva
del palleggio oltrechè del cazzeggio, ricordo la consuetudine dei cosiddetti passaggi (giochiamo ai passaggi?). Passione comunitaria, questa, che spezza l’isolamento anacoretico del solipsista, ma senza ancora aprirsi al calcio vero e proprio. Una bella via di mezzo, una simulazione dell’agone, ma tutta amicale e gioiosa. Non c'è alcuna violenza, ma solo la sorridente circolazione della palla, che gira dall’uno all’altro, equamente distribuita. Sono i famosi “due tiretti”. Anche quando c’è il goal, l’esultanza resta neutra, astratta, perché manca del tutto la smania belluina, la frenesia che invece caratterizza ogni partita. Siamo alla pura estetica. Viene apprezzato il gesto, indipendentemente da chi lo compie. E’ un limbo, l'unico limbo ammesso nell’universo del calcio. Ma è anche vero che il calcio è un gioco ma anche un fenomeno sociale. 
C'è piùcalcio in tv
che nella osteoporosi
Smania e frenesia mi fanno venire in mente un lungo tirocinio che svolgevo, anno dopo anno, in un piccolo campetto privato, dove la ressa e la rissa venivano portate all’estremo. Ci ritrovavamo li quasi tutte le domeniche, in dieci, venti, troppi per quel recinto angusto, ricavato accanto a una serie di gabbie per cani (ma forse in origine per polli o galline). Fatto sta che la vegetazione aveva invaso lo spazio, e dagli alberi pendevano lunghi, intricati rami che piombavano, a mo' di baobab, giusto in mezzo al terreno di gioco. Era appunto questa la specialità: vinceva solo chi sapeva orientarsi in quella giungla, chi conosceva i passaggi segreti fra i cespugli, chi prevedeva le traiettorie sghembe dei tiri scagliati alla cieca contro quei viluppi arborescenti. Vinceva la guida, lo scout, il montanaro pratico dei tratturi. Per questo era inutile cercare di attaccare, dato che l’avversario, scaltro come un Sioux, spariva nella macchia, per poi sbucare indisturbato dal nulla, proprio davanti alla porta, e segnare.
Nulla è più ampio della gioia di questo bambino
perché è la persona più libera del mondo


 Bella donna o bella partita 
non ho dubbi: la     seconda
Talmente stupido da farmi immortalare come un portiere in volo. Il fatto di essere stato solo un bambino, non mi discolpa. La mia vanità mi spinse alla simulazione più ridicola. Immaginatemi, a dieci o undici anni, sdraiato sulla spiaggia mentre mimo una parata in tuffo. Non esistevano ancora computer e Photoshop, ognuno si arrangiava a modo suo, ma quello scatto in bianco e nero continua a farmi soffrire. Sarò per sempre disteso sulla rena, col pallone ben saldo fra le mani, e l’espressione di chi sta planando. Perché mi sto buttando, è chiaro: non si vede? Sono un portiere in volo. Il resto è poesia in movimento.
Italia contro Germania, 4 a 3, la partita storica del calcio


Momenti di
GLORIA



















Era una sera d'estatequando giocavano Italia contro Germania (4 a 3) e che contrasto vissi, durante quella partita! Chissà perché, mi ritrovai a vederla con mio padre, in modo tale che feci esperienza dell’epica in cucina. Quel lungo altalenarsi di risultati mi parve elettrizzante, insostenibile emotivamente, ma a lui dovette sembrare intollerabile. Ecco perché ricordo soprattutto i supplementari. Dopo il secondo pareggio, infatti, non ce la fece più e se ne andò via, lasciandomi da solo davanti alla televisione. Si rinchiuse nel bagno. Cosi, per tutto il primo tempo supplementare dopo che Schnellinger segnò il pareggio all’ultimo minuto. Lo chiamavo e lui chiamava me per sapere come andava, per sapere cosa si stava perdendo o vincendo. Tuttavia non poteva, non poteva guardare. Temeva per il cuore. Finché me lo ritrovai di fronte, proprio dietro lo stipite della porta, come un’anima in pena, chiamato dalle immagini, ma insieme dalle immagini respinto, come un lupo mannaro, come una fiera che vaga intorno al fuoco, impedita dal fuoco. Solo alla fine corse ad abbracciarmi, sciolto dal suo incantesimo, felice perché libero: più felice di me.
Orgasmi sotto al
sole

Quando   una donna ti fa cambiare vita e rotta, è roba da ridere, ma quando ti fa cambiare la squadra di calcio del cuore, la situazione, allora, assume sembianze mai previste per evenienze del genere, è, come si dice, una questione seria. Tutti questi giochini mi divertono, ma quanto sono lontani dal vero calcio! Basta prendere un pallone di cuoio, magari di quelli vecchi, che si gonfiavano conficcandoci dentro un ago gigantesco. Una via di mezzo tra l’iniezione di Buscopan antidolorifica e il palo di frassino usato per inchiodare i vampiri. Ecco, con un oggetto simile, addirittura bagnato, pesante e ortopedico, proviamo adesso a giocare contro un muro, da soli, per una metodica seduta di allenamento. In cortile non c’è più nessuno, è pomeriggio, ha appena smesso di piovere e si sentono solo i colpi lenti della sfera che batte e rimbalza, echeggiando fin nella tromba delle scale. Rimbombi profondi, cardiaci e il rimbalzo. La mia infanzia è segnata da questo metronomo. È cosi che ho imparato il controllo di palla.
Ricorda che:
Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa
per la strada, lì ricomincia la storia del calcio

L'Epopea       dei palloni 
 persi o bucati
Sono le briciole di Pollicino che dovrei ritrovare per risalire il sentiero di casa. Quanti palloni! E ovunque. Nei fiumi, innanzitutto, che appena toccata l’acqua, scappano via veloci. Nei laghi, più pacifici, ma non meno insidiosi. Qualcuno al mare, molti sopra gli alberi, incastrati sui rami più alti a formare un groviglio inestricabile, una specie di simbolo araldico. E quanti finiti bucati! Quelli di plastica leggera, che volavano via alla prima brezza (“a vento”, si diceva, guardando le inverosimili parabole tracciate quando li si colpiva con violenza), ma anche gli altri, via via divorati dai cespugli, dai vetri, dalle spine. In definitiva, non c’è pallone che non si sia perso o forato. E forse tutto questo vorrà dire qualcosa.






















Tanto vale ammetterlo
Anch'io sono    tifoso, mio malgrado. Da piccolo, come tutti i miei compagni, menavo a memoria la formazione della Juventus e dell’Inter, come quella del Cesena, finché scelsi la squadra del cuore, la Juve. Solo che, ad un certo punto, le delusioni diventarono troppe e fu allora che, da un giorno all’altro, decisi di smettere. La scelta si abbatté drasticamente su queste mie abitudini di vita. Basta con i goal, basta con le pagine sportive. Le giornate si dilatarono immediatamente. Da allora non sono più tornato indietro. Tuttavia, sin dal sabato senza dare nell’occhio, inizio a informarmi e la domenica la selezione dei canali appare molto più irrequieta del solito. Perché, pur evitando di confessarlo apertamente, io voglio, voglio sapere il risultato e questo risultato mi cattura come un osso di seppia. E’ un sentimento strano, che mi spinge a aggirarmi per casa come un rabdomante con la sua forcella. Voglio sapere e insieme non sapere. E cosi, dopo cinquantenni tondi come un bel culo di signora, quel morbo lontano continua a possedermi, senza che abbia trovato alcun antidoto.
Si preparavano gli schemi col Mister, figura mitica, al pari di un Totem















Nello sci e nel cavallo
non si segna
“A me io lo   sport che preferisco e il calcio. Perche si segnano molti gols, mentre nello sci e nel cavallo non si segna neanche un gols”, da “Io speriamo che me la cavo” di Marcello D'Orta. Questo allontanamento dal calcio mi fa venire in mente una particolare fase del gioco relativa al recupero dei palloni finiti fuori dal campo. Anche in quel caso, si trattava di fermarsi e uscire dal vivo della partita. Chi aveva spedito la palla lontano dal terreno, aveva ovviamente l’obbligo di andarla a riprendere. Ricordo in particolare un periodo in cui mi incontravo sempre con lo stesso gruppo, nella casa di un amico situata in aperta campagna. Dietro una delle porte si stendeva un muro di recinzione e ogni tanto avveniva che un tiro lo superasse. Il designato, allora, si dirigeva all’uscita, per cominciare la ricerca del pallone.
Mio babbo al circolo velico di Ravenna di cui faceva
orgogliosamente parte essendo stato pure nelle Truppe San Marco, uno sburò! Pensare che a me ogni divisa mi fa schifo
Amore respirato

Che strana sensazione!
C’era un momento preciso in cui io e mio padre ci dimenticavamo di tutto, delle nostre piccole tragedie. Dalle paranoie all’incomunicabilità, dalle assenze alle mancanza d’affetto reciproca, dalla freddezza all'indifferenza. Questo strano fenomeno avveniva la domenica pomeriggio, quando alle 12 partivamo dalla stazione di Forlì per andare a vedere il Cesena che all’epoca militava in serie A. Avevo 13 anni e col babbo, ch’era stato scelto dal battaglione san Marco per la sua stazza corporea non indifferente, mi sentivo sicuro anche quando la curva esplodeva per un gol o c’erano delle risse fra tifosi. Una volta mi sono infilato sotto il suo cappotto e ricordo ancora che ha gridato a voce alta alla gente che premeva: "Oh, chelma, i que cu'ie un bambi" cioè io. La ressa a quell'età fa paura davvero, che paura in tutto il corpo, però con mio babbo sapevo che non poteva succedermi nulla di brutto. Eravamo noi i più forti, perché da bambino ragioni così, semplicemente.
Io e mio babbo alla ricerca di un campetto per tirarmi pallonate e volare per prenderle e dimostrare quanto ero bravo tra i pali


Per questo i bambini sono santi. Solo per il fatto d'essere bambini e vivere. Mentre ci si avviava, le urla e il chiasso cessavano pian piano. Poi, di colpo, non appena superato il cancello, ci si ritrovava in mezzo ai prati, in una distesa che correva a perdita d’occhio. Il verso di un uccello, il freddo improvviso, il vento, in una natura estranea e vicinissima. A volte, dopo aver visto la palla, fingevo di non averla ancora trovata, per rimanere un altro po' nel nulla, estasiato, sospeso nel silenzio. Poi, dopo qualche istante, tornavo alla partita, dimenticando quello spazio muto che ci avvolgeva, al di là del muretto. Alcuni pensano che il calcio sia una questione di vita o di morte. Non sono d'accordo. Posso assicurarvi che è molto, molto di più. E poi, cosa sarebbe il calcio senza di me?