Notti notturne

lunedì 27 agosto 2012

Consorzi umani a perdere

"State attenti: la nave è in mano al cuoco di bordo e le parole che trasmette il megafono del comandante non riguardano più la rotta, ma quel che si mangerà domani".                                              (Soren Kierkegaard)
On      Avenue
"Station"


        di Matteo Tassinari
Per brevità lo chiamavamo il viale della stazione perché era una grossa arteria con numerosi bar e negozi ai lati che fendeva netta Faenza e David Bowie non c'era mai. Il viale era lo spazio che più si addiceva ai volti trasandati ospitati, gratuitamente, giorno e notte, mattino e sera, noi e loro.
Fontane da dove attingere l’acqua per farsi, macchine, panchine in ferro battuto scomodissime dove vanificare ore e ore di obnubilata esaltazione o deperimento artificiale dei sensi, bar frequentati da delinquenti divorati dal gioco d’azzardo con la pistola in macchina e colpo in canna, biscazzieri e protettori, alberi e praticello dove nascondersi per comprare o vendere poltiglia tailandese, rappresentava il luogo di quegli anni e, nella sua dimensione generale, composta da esseri umani e architetture urbanistiche, incarnava l’essenza di tutto il nostro disfacimento esteriore e spirituale. Intanto Iggy aveva le vene gonfie di eroina, mentre il capoccia della "Elektra" (la sua Etichetta musicale) avevano gonfie le palle di lui e dei suoi Stooges. Iggy stramazza sul palco, Dave Alexander a malapena riesce a ricordare di pigiare le corde del basso. Gli Stooges sono al collasso. Noi gli eravamo appresso.
Iggy Pop e gli Stooges
Abbracciati a
Medusa
Il viale era il sito cittadino dove avevamo scelto di abbandonarci e cercare un’esistenza diversa che non fosse altro che la nostra personale e collettiva solitudine. Non sapevamo nulla di questo processo di annientamento che avevamo intrapreso in tutte le sue modalità e aberrazioni possibili, non ne sapvamo nulla, ma noi eravamo i protagonisti. Per questo, a cavallo degli anni ‘70-’80, prese vita un consorzio umano a perdere in un viale anonimo a chiunque, chiuso a tutto il mondo, plumbeo, sommerso nello smog e nei reticolati di fili elettrici che ci passavano sopra alla testa per il filobus. Troppo ingabbiati. Esasperatamente reticolati nelle nostre funzioni, il tempo passava con la stessa cadenza che dava al nostro vivere ogni volta che la morte chiedeva il conto ad un amico o amica. Bene (per modo di dire), iniziamo la lista più triste della mia vita con Merdina (morto di Aids). Un tossico che dalla furia di evadere il destino di morire si era fatto abbracciare presto dai tentacoli di Medusa. Considerato da tutti noi una sorta di veterano, in quanto nella tanto favoleggiata Amsterdam, Merdina, era di casa e questo bastava ad accreditargli di diritto il nostro rispetto di poveri pischelli, che oltre a Ravenna, Bologna e la “generosa” Verona, non eravamo stati capaci di sconfinare. 
Lista amorevole
Rappresentava un totem, una sintesi perfetta dell’incomprensione totale col mondo pur vivendoci fin nei suoi spazi più famigerati e irrisolvibili. Eleonora (morta, non so come), aveva le braccia più massacrate che abbia mai visto. Un calvario di ‘piste’ punzecchiato da aghi sempre irti e spuntati per il troppo uso e consumo. Sandro, soprannominato Pinco (morto di Cirrosi) era carico di metadone. Daniele (morto di Aids) in balìa della feccia del pianeta a forza di prenderlo nel culo e in bocca per comprarsi la polvere degli angeli, era alla ricerca di un limone per prepararsi all’arrivo del ‘tipo’.
Slego (si è disintossicato e sta bene, uno dei pochi) era appena arrivato dall’ennesimo furto in una farmacia. Con sé aveva qualche fiala di Morfina e Codeina. Antonio (non so dove sia ora) strafatto e con la bocca semiaperta e gli occhi chiusi steso su una panchina in ferro. Erio (morto di Aids) con un rivolo di sangue che perdeva fisso dal callo che si era formato sul braccio destro. Manuela (morta di Aids) che boccheggiava qualche sorsata d’acqua alla fontana da dove con le siringhe attingevamo l’h2o per poter vivere l’ennesimo inganno. Radicchio (morto, non so di cosa, anche se non ci vuole la fantasia di Honoré de Balzac per immaginarlo) in completa astinenza a chiedere in giro per Faenza qualche spicciolo per raggiungere il medesimo scopo di tutti noi. Gabriele (morto di Aids) già bollito dal mattino, era alle prese con due ragazzotti alle prime armi, belli belli per fargli un pacco, cioè vendergli del muro grattato per eroina. 
Cita,      non
King       Kong
Il    Lupo (di cui ho perso traccia) parlava da solo o per meglio diree, discettava con la sua pazzia lisergica. Schizzato via nel mondo di Pippo a causa di una fatale e micidiale Micropunta berlinese, un acido potentissimo. Stefania (si è disintossicata e ora sta bene) appena reduce da una pera colossale con il volto incredulo a tutta quella gratificazione chimica. Roberto (morto di Cirrosi), immerso in una nuova epifania dell’orrore perché aveva racimolato, non so come, più di tre grammi di roba. Eugenio (ucciso da un tossico con più di dieci coltellate) arrivava con la sua Lambretta, pronto anche lui come tutti a comprarsi la quantità sufficiente per sbattere la scimmia quotidiana affinché rimanesse delle dimensioni di Cita e non prendesse quelle di King Kong. Barbara (morta non so di cosa, ma vale la stessa osservazione fatta per Radicchio poco sopra) bella come poche, spulciava nella borsa, tirando fuori da essa del materiale strano che non si addiceva ad una ragazza di diciassette anni.
Il messaggio finale di tutte queste parole, è questo!
La     timidezza
di     Pippi
Pippi (anche di lui ho perso traccia) aveva appena affogato la sua timidezza siderale (il tossico più timido e dolce del mondo) in un liquido dal colore marrone. Vanni (mentre scrivo mi dicono che è in stato terminale-Aids, ma adesso si è ripreso, ma gli hanno dovuto amputare una gamba) dal ciuffo biondo e libero, lanciato come una freccia in quella dimensione oppressiva e vuota di colore e forma. Spumino (di cui non so nulla) lo si vedeva arrivare in lontananza e ciondolare un po qua e un po la, sbattendo il muso contro numerosi lampioni. Jackie (morto di Aids) era in uno stato pietoso di astinenza: occhi come due orbite spaziali protesi verso l’esterno, un sudore da congela nonostante fosse estate piena, dita vibranti come le mani di un malato di Parkinson, pieghe che rendevano il volto uno straccio stropicciato e uno sguardo intriso di disperazione. La gente passava di lì, gettava qualche curiosa occhiata per scrutare cosa facessero quegli strani ragazzi.















La Mistura

Era l’inizio degli anni ottanta e i tossici d’allora, molto più appariscenti di quelli di oggi, stavano lì in quella gabbia di vetro senza confini alla mercé degli sguardi altrui. Denti marci, deliri pesanti, braccia tumefatte a forza di spingere con l’ago, calli color giallastro sulle vene per formare una sorta di fessura-flebo sempre aperta e pronta all’uso, stitichezze di settimane a causa del limone per sciogliere i caccoli di Brown Sugar, emicranie alla testa e febbri fino a 40 gradi a causa dei tagli che gli spacciatori usavano per aumentare le quantità. Un esempio di gioventù che non voleva essere quello che praticava, una generazione di sconfitti senza aver mai gareggiato. Sconfitti nei sentimenti e nella tenacia di architettare qualcosa di valido, capaci solo di alzarsi dal letto con il pensiero fisso di racimolare qualche decina di migliaia di lire per affondare ulteriormente nella fanghiglia dove ognuno di noi si ritrovava.
Volti macchiati
e rughe che disegnavano le nostre facce bizzarre e destini beffardi, quando non erano crudeli. Nella sua innocente rabbia, il Lando, (morto, si dice di Aids e temo che sia vero) era uno dei figli più rappresentativi di questa parte mondo oggi scomparso e deviato. Una sera ci sconvolse fino al panico a tutto tondo, al sottoscritto e William Cipolletti, quest’ultimo un mezzo gangster gentiluomo dalla chioma bionda e lunga, età avanzata, un certo giro di amici importanti legati al mondo dello spettacolo e tante cazzate varie, molte delle quali lo stesso Cipo pompava a dismisura, quando non erano inventate del tutto. Un vero e proprio smargiasso millantatore. Aveva una gran bella voce, cavernosa, profonda, che gli dava un tono di autorevolezza e che fosse pieno di donne era vero, gli va riconosciuto, nonostante il rodomonte trombone che era. Eravamo nel viale di Faenza, quando l’orologio del centro suonava le quattro del pomeriggio, tutti in attesa della stessa cosa.

Il tipo con la roba ci lascia a cuocere in una sfibrante attesa. Le attese più interminabili che abbia mai vissuto, che a confronto, stare sotto il sole per due ore e mezzo sull’autostrada in agosto con una sete da arsura e senza alcun liquido in cui affogarsi, era un’attesa da invidiare. Una fauna umana senza bussola. Una mandria di tossici sempre più mangiucchiati dagli innumerevoli down, secondo dopo secondo, istante dopo istante, singhiozzo dopo singhiozzo. Per questo molto pericolosi. Fisici secchi attraversati da brividi, ossa rotte e l’armamentario sempre pronto in qualche tasca di giacconi pesanti, perché i tossici, si sa, hanno sempre freddo.
E'      arrivato Marco!
L’armamentario era composto da spade quasi sempre usate e da più persone, un coccio di barattolo di Coca cola o un tubetto di Saridon dove poter sciogliere l’ennesima dose di calma piatta e partire per un viaggio di pace della durata di qualche ora per ripiombare in una dimensione che con la sfera dell’umano ha poco da spartire. C’erano anche gli sprovveduti, i più, a cui si doveva prestare tutto questo genere di cose. Roberta aveva appena finito di scopare con un muratore, una marchetta: “Ogni tanto ci vado - raccontava -. Lo conosco bene ed è gentile, anzi timido e so in quale cantiere lavora. Scopiamo sul posto. C’è da guadagnare parecchio lì” dice rivolgendosi a Paola con un volume di voce che l’avrebbe sentita chiunque fosse stato a pochi metri di distanza da lei. “Adesso poi - riprende - si sono aggiunti altri suoi due amici che hanno portato un materasso, così abbiamo anche un posto dove stenderci. Oggi me li sono scopati tutti e tre per cento mila lire”.

Un’insana
trepidazione 
Paola parlava con naturalezza di quanto combinava con i carpentieri, talvolta anche cinquantenni. Una volta l'incontrai nel viale col vestito tutto impolverato di polvere di cemento. Glielo dissi, si guardò e mi ringraziò per poi andarsene con Gemma senza pulirsi. Ma tutti i discorsi che stavamo facendo, improvvisamente saltarono e le occhiate cambiarono direzione all'istante, quando con l’arrivo del pusher scattò un’agitazione mista ad iper-agitazione in ebollizione generale. “Ecco, ecco... Marco! Vai, è arrivato... C’è Marco... c’è Marco, c’è Marco”. “Ma dov’è?”. “La in fondo, sta arrivando con Loretta”, “Dove? Dov’è?”. Un’insana trepidazione aveva acceso i motori delle nostre percezioni soggettive, come si faceva con i cerini di legno. Pareva fosse arrivato il messia e non penso sia errato riflettere che l’eroina, per la psiche deturpata di un tossicodipendente, abbia significati e valenze anche spirituali. Maurizio, recitava un'Ave Maria quando aspettava il pusher affinché non ci mettesse molto tempo. “Allora Marco, tutto a posto? Ce n’è per tutti?”. Marco fa un cenno con la testa invitandoci a seguirlo. Lui, su una vecchia Ami 8 bianca con la sua ragazza davanti a far strada a tutti noi.













Panico nelle vene
Una carovana di disperati in fila indiana, uno dietro l'altro, sulla via Emilia come in cielo, anche se diretti verso l'entro terra forlivese per trovare un posto tranquillo dove poter contrattare. In macchina con me e Cipolletti sale il Lando, senza neppure che ce ne rendessimo conto. E’ la fine e non lo sapevamo. Il Lando esordisce nel suo stile: “Cazzo, non c’ho una lira e sono in down. Che ne dite se gli porto via la roba a quello là? Ci state? Facciamo a metà dopo? Me lo mangio quello lì. E’ un pischello da ridere. Lo so... lo so!!! Lo conosco, sono stato in galera con lui e quando volevo mi faceva sempre il té. Ed era il suo”. Ammesso - e concesso - che quello di rubare la roba ai pusher di turno fosse uno degli sport più praticati nel pianeta dei tossicomani, bisogna far presente, tuttavia, che a quel punto avremmo dovuto non tanto temere solo lo spacciatore, bensì i tossici in branco e in braccio ad un esercito di scimmie in attesa di comprare da Marco il proprio desiderio di sollievo.
Fu allora, mentre Marco stava rovistando il suo sacchettino per dispensare grammi a destra e a sinistra che il Lando, strafatto di psicofarmaci e barbiturici e bevuto di Neuroni, tirò fuori un coltello mai visto. Una lama lunga quanto non si vedeva neppure nei film. Da una parte oltre 30 centimetri di lunghezza, la lama alta 3 dita, la punta smussata in modo da scannare anche uno Gnù africano e sul dorso aveva la classica dentatura da caccia agli squali nei Caraibi. Un “ferro” luccicante come la pazzia del suo tenutario. Il sudore fece ingresso nel nostro sangue.
Uno      schizzo
per      Lando
Io e Cipolletti, oltre che sentire i primi vagiti di una nuova astinenza, cercammo in tutti i modi di dissuadere il Lando dai suoi intenti dissociati, anche se sembrava che non ci sentisse neppure, tale era il livello di subbuglio mentale: “Adesso io scendo - riferisce il Lando biascicando ogni lettera che usciva a fatica da una bocca dalle labbra screpolate -. Voi mi aspettate là, verso quel casolare abbandonato, io gli punto il coltello sotto la gola e mi faccio dare tutta la roba che ha addosso. Corro forte quando mi ci metto, non mi prenderà nessuno”. “Ma cosa cazzo dici!!! Ti sei definitivamente alleggerito del cervello? Non vedi la gente che sta male e sta aspettando come noi? Li avresti tutti contro, diventerebbe un gioco al massacro! Un Apocalypse Now senza precedenti. Stanno tutti male e certuni più di te. Se gli porti via la roba poi ce li hai tutti contro. Lando, lascia stare, non fare cazzate e lascia perdere. Ti daremo uno schizzo della nostra".
Quando un tossico in preda all’astinenza e la testa persa in un ragionamento tutto suo decide di compiere un’azione, logica o illogica non fa differenza, fino a quando non l’ha portata a termine non c’è verso di dissuaderlo dai suoi malati intenti. Infatti il Lando non ne voleva sapere e mentre stava per aprire lo sportello per scendere e rapinare Marco, sempre William, non so con quale coraggio gli urlò in faccia: “Lando, una pera te l'offriamo, non so cosa potremmo fare di più e tu capisci quello che dico, anche se adesso sei cotto. Quello che ti voglio dire, Lando del cazzo, fai quel che vuoi però a noi lasciaci fuori dalle tue rapine, dalle tue storie, dalle tue seghe schizofreniche. Lasciaci perdere!!! Okay!!! Non coinvolgerci in queste storiaccia di merda! Io voglio vivere ancora un altro po’ se mi è permesso e se non ti dispiace”. Poi tirò il Lando dentro la macchina mentre brandiva il coltello. Seduto sul sedile posteriore, ero terrorizzato dalla paranoia che s'incazzasse con Cippo. Intanto il pushers vendeva roba come frutta, ignaro del pericolo che stava correndo.


"Metti via quella pistola!"

Con quel coltello impugnato, due occhi rossi come imbevuti nel cloroformio, una rabbia in corpo da far esplodere un’intera città, il Lando iniziò a piangere. Intervenni anch’io. “Ascolta un pò Lando. Adesso scendo io, compro un pezzo (1 grammo) e ci facciamo tutti e tre gli stessi c.c. d’insulina. Non sarà un perone, però basterà per calmarci un po’”. Fece cenno con la testa che ci stava, mentre piangeva con le lacrime di un bambino. Io e Cipolletti ci guardammo negli occhi come se una prima pera ce la fossimo già fatta. Il rischio che ci scappasse una coltellata o forse più era davvero reale, credetemi. Scesi dalla vettura lasciando Cipo in compagnia del Lando, davvero furioso, affinché controllasse ogni sua mossa.
 
“Ora metti via il ferro” gli dico mentre mi avvio verso Marco per far la spesa. Tornai dopo il trick e track, avvenuto in mezzo a un campo nascosto da una serie di alberi, che il Lando piangeva ancora. Niente di trascendentale, per carità. Però, ancora ad una notevole distanza di tempo (poco più di 33 anni circa) da quell’episodio e da quel pianto, io non so come interpretare quell’angoscia. Certo, sarebbe molto più facile e sbrigativo liquidarlo come un pianto dovuto ad uno stato confusionale, ad un miscuglio di sostanze portentoso, vicino allo shock anafilattico. In realtà credo che in quelle lacrime navigasse una bufera di vento che sommergeva anche il vaso di Pandora, pronto non ad aprirsi, ma a scoppiare, dilaniarsi e spargere tutti i tormenti di un giovane che aveva congelato la propria esistenza e l’aveva messa sotto formalina. Sul Lando l’imperfezione aveva vinto e lui pareva non facesse più resistenze.



















Chiunque    vale più di ogni suo     errore
Tornammo sul viale della cancellazione, tutti e tre cotti per qualche ora. Quel viale tornava ad essere, ciclicamente, il ritrovo di strani mostri. Un punto di confine tra l’ingloriosa umanità degli esseri umani e la nostra indifferenza verso tutto ciò che ci ruotava attorno. Gli sguardi, dopo la pera collettiva, erano ancora più ebeti e fissavano più intensamente il nulla, unico panorama per tutti. Ognuno, nel nulla, s'era ritrovato.
Aveva trovato conforto, aveva staccato la spina per un pò, il tempo di non pensare a niente per poi sprofondare nel vortice del gorgo. Era giunta la fase post-pera quotidiana, quando, chi più chi meno, aveva in circolo nel corpo una quantità di sostanze agognate fino a poco prima. Tutto ciò, avveniva intorno alle cinque del pomeriggio, ci si arrendeva su quelle panchine e si passava quattro o cinque ore in attesa di pischelli da bidonare o, più precisamente, fargli un pacco portandogli via quel pochissimo che avevano, anche dieci mila lire. Ricordo che una volta grattammo in due un pò di muro per 15mila lire, eravamo alla canna del gas. Si procedeva per inerzia, come se il vivere fosse un dovere o un automatismo e il nostro corpo rivelava la sua esistenza solo grazie all’ombra che lo seguiva in silenzio. Nella sua abissale solitudine non si accorge del nulla che lo accerchia, lo attanaglia e frantuma ogni sua opera, non solo propria, ma anche quelle dell’uomo nella storia. Nulla ha più senso, ne dentro di me, ne fuori. E oggi non ho più parole.

domenica 19 agosto 2012

Pussy Riot in Cattedrale (1)

Maria, Ekaterina, Nadezhda


Il Canto    in     cattedrale



 delle Pussy Punk


         di Matteo Tassinari
Colpevole di “teppismo” e "istigazione all'odio religioso". Tutte cazzate. Maria, Ekaterina, Nadezhda, con indosso la sua inseparabile T-shirt “no pasaran” ormai diventata un’icona, dietro le sbarre del tribunale, sorridono tranquille. L’hanno fatta grossa, una Serpica Naro in dimensioni molto più ampie, pericolose e politicamente più produttive. Dopo tre ore di divagazioni procedurali sulla natura del gesto delle tre Pussy Riot, la giudice sentenzia due anni di carcere per tutte e tre, “pena reale, senza alcun beneficio di condizionale”. Fuori del tribunale circa 5mila persone gridano: “Vergogna!” mentre la polizia di Putin ricorre ai lacrimogeni e ai manganelli elettrici per fare caccia dei sostenitori del gruppo con i passamontagna  "arcobalenati" delle Pussy Riot.
Senza cappuccio in testa, le mie eroine

     Parlare di Gulag
sarebbe esagerato. Ma la prigione che potrebbe accogliere le tre giovani Pussy Riot, una delle tante colonie penali femminili del vasto sistema carcerario russo, sicuramente non sarà un cinque stelle. Un dato: le donne detenute in Russia a tutt’oggi sono 72mila. Decine di persone sono state fermate, compreso il campione del mondo di scacchi Gary Kasparov accusato anche di aver dato un morso ad una mano di un’agente. Qualcosa non capisco. Io da una mano come quella del genio scacchistico Kasparov, mi farei fare di tutto, pur non essendo omosessuale.
Tuttavia, gli avvocati delle Pussy Riot hanno chiesto il ricorso, anche se hanno fatto sapere subito che non chiederanno la grazia. Troppo rischioso in effetti, in un Paese governato da Putin. Davanti al tribunale viene suonato il nuovo brano delle Pussy: “Putin accende i fuochi della rivoluzione”. Le 3 ragazze vengono portate via dentro il carcere. Le tre ragazze non vogliono la grazia: “Semmai saremo noi a graziare Putin” spavalde e belle cantano. “Abbiamo già vinto”. Ed è vero. A Mosca ora c’è la fila per diventare Pussy Riot, qua da noi ci sono file di veline ogni sera alle 21. In Russia, invece, le teenager sognano di entrare nella punk band più "scandalosa" dell’anno. Anche dopo la condanna. A costo di ogni intimidazione.

Le Pulzelle di Mosca
Ai miei occhi sembrano tante Pulzelle del Cremlino del 3 millennio. E a quanto pare si dice che tra le fans del gruppo ci siano anche figlie di alti dirigenti del Cremlino. Insomma, un disastro per quanto riguarda l’immagine mondiale del regime dell’uomo amico del nano e cintura nera di Karate e amante del machismo. Ma sembra che dove i muscoli forti dei secretati generali dell’ex Armata Rossa, sembrano essere messi in imbarazzo da tre ventenni che hanno suonato e cantato un brano punk in chiesa, dimostrando come con poco si possa fare moltissimo. Da oggi, il dissenso, in Russia indossa un passamontagna fucsia.
Ridurre la distanza fra Società e Cremlino

Le sorelle materasso
Ma non sono le sole. Il gruppo s’è allargato ad una ventina di giovani donne che promettono altre iniziative a scopo turbativo proprio nei luoghi più sacri e imperiali della tirannia Russa di Putin e tutti gli altri alcolisti del Cremlino. Arrivano anche le cretine. Come la Ciccone dagli Abruzzi, più nota come Madonna, che dice: “Siete state grandi, avete vinto voi!”. Sorprende anche Patty Smith che dice un pò saputellla: “Sono giovani idealiste, non sanno quello che fanno, non si rendono conto di quanto possa essere pericoloso esprimere le proprie opinioni” pur firmando la carta d’appoggio circolata fra i big del Rock tra i quali Paul McCartney, Sting, Bjork e Yoko Ono (ma esiste ancora?).


Cazzo centra Al Bano?
E Al Bano? Come poteva mancare il Patriarca di Cellino san Marco che ha pontificato l'episodio così: "Hanno sbagliato il luogo della loro protesta, perché nella casa di Dio non si va a cantare contro il Primo ministro”. Ha ragione Charles Bukowski quando scriveva: “Per poco che abbia un uomo, s’accorge che potrebbe avere ancora di meno”. E il devoto tradizionalista pugliese dev’essersi accorto di questo rischio, staccando improvvisamente tutti i microfoni. Qualche buon’anima l’avrà avvertito che non è il suo campo ed è meglio che se ne stia zitto. Come se Raul Casadei andasse a suonare “Romagna mia” a Woodstock al posto di Hendrix con la sua Purple Haze. Sting invece è stato immediatamente sputtanato via Twitter quando si è saputo che nei giorni scorsi si è esibito, dietro ricco cachet, alla festa di compleanno della sorella di Putin in Costa Smeralda. Pecunia non olet. Infine il Vasco che di rock ha rimasto solo gli occhiali, su Fesbuc ha espresso solidarietà alle tre “devotche” che ridono da dietro le sbarre di divisione, come separare la realtà e il contagio possibile. Subito recluse e isolate. Troppo alto il rischio di identificazione. Troppo pericolose Maria, Ekaterina, Nadezhda.
Magia ad alto potenziale
Ma la cosa che più stupisce, è come nessuno abbia cercato di capire il testo della canzone cantata dalle tre attiviste e non le bla bla bla. Il titolo della punk-preghiera infatti non aveva nulla di blasfemo come invece aveva sostenuto il palloso e incontinente Patriarca Kirill. Basta leggere il titolo del brano. Magia ad alto potenziale, altro che Fender Strato. Il  brano s’intitola “Putin accende il fuoco della rivoluzione” e contiene versi come “il Paese prende la strada con coraggio, il Paese dice addio al regime. La lotta continua”, si legge in un messaggio del gruppo, delle tre punk ai lavori forzati per aver cantato e suonato incappucciate una preghiera punk dal titolo "Madre di Dio, liberaci da Putin!" nella cattedrale del Cristo Salvatore di Mosca.

Arte sulle barricate alte
Obiettivo: allargare il raggio d’azione delle proteste. Due delle sei partecipanti al blitz nella cattedrale, sfuggite all’arresto, si nascondono da febbraio e un’altra all’estero. In realtà i Servizi segreti russi sanno perfettamente chi sono, come conoscono le affiliate ultime al gruppo in espansione. “Ci controllano i cellulari, leggono la nostra posa elettronica, un sistema classico del Kgb". Non vogliono arrestarle tutte per non montare un caso, con tutti i problemi che l’amministrazione Putin ha riguardo alla salvaguardia dei diritti umani. Cinque ragazze belle in gamba e in gabbia sarebbero davvero tante. Nel frattempo la questione si è diffusa a livello internazionale, con imitatori dalla Finlandia a New York. Intanto una galleria moscovita apre una mostra dal titolo: “Arte sulle barricate” dove le Pussy vi fanno la parte del leone. “Sono artiste attiviste, e devono essere pronte a tutto” dice Piotr Verzilov, marito di una giovane Pussy Riot, "nemmeno una lacrima per la moglie in gabbia, la performance nella cattedrale è stato un successo”. E ormai anche le nonne di provincia conoscono le Pussy Riot. Chi era che diceva che la rivoluzione passa per il rock? Forse i Ramones, movimento punk del ’77, forte sfumatura di una rivoluzione adolescenziale ed energia totale espressa da chi la vita la sente saltare da un poro della pelle all’altro.

Ora, non lasciamole sole
Ora diventa vincolante non lasciarle sole, scrivere di loro, parlarne, affinché non subiscano i vari tipi di maltrattamenti. Ora sono in un carcere di massima sicurezza. Posti dove entrare è quasi impossibile e le torture del Kgb sono le più note al mondo dei Servizi segreti dopo quelli israeliani e cinesi. Posti dove mettono il peperoncino negli occhi, ti schiacciano i testicoli nei cassetti, il panno bagnato sempre in bocca a testa in giù in modo di scatenare l'istinto panico di annegare e le torture più disumane che non conosciamo. Per ora, le tre giovani attiviste hanno conquistato la scena internazionale e sono diventate in tutti i paesi dell’occidente democratico il simbolo della protesta contro un regime, quello di Vladimir Putin. Amnesty International ritiene che la condanna a due anni di reclusione senza la condizionale sia stata un duro colpo alla libertà d’espressione in Russia. Le organizzazioni internazionali in prima linea per i diritti umani ritengono che il ”procedimento sia stato motivato politicamente e che le tre Pussy Riot siano state ingiustamente processate per quella che è stata una legittima, per quanto offensiva, azione di protesta”. Ma è bene che il gesto rimanga politico, che non assuma connotati adolescenziali, come hanno già cercato di depistare in tal senso.
Maria Luisa Ciccone dagli Abruzzi, ossia il nemico n.1 dello Stato dell'Arte,
non perde occasione per farsi pubblicità. Chiappa floscia


Wladimiro e Anna
L’hanno definito un atto di disturbo del culto religioso. E come definirebbero l’assassinio di Anna Stepanovna Politkovskaja, giornalista della Novaja Gazeta, quotidiano russo di ispirazione liberale, la quale condannava l'Esercito russo e il Governo russo guidato da Putin per lo scarso rispetto dimostrato dei diritti civili e dello stato di diritto, sia in Russia che in Cecenia? E come definirebbero quanto accadde il 1º settembre 2004 quando la Scuola SNO di Beslan fu occupata da forza ancora non identificate che presero in ostaggio circa 1200 persone? L'occupazione finì il 3 settembre con un blitz delle forze speciali in cui morirono 331 persone, tra cui almeno 172 bambini.
Vladimir Putin di san Pietroburgo, ex Agente segreto del Kgb, poi Primo ministro della Federazione Russa dall'8 agosto 1999 al maggio del 2000, su nomina di Boris Eltsin, è stato eletto per la terza volta Presidente della Federazione Russa succedendo a Dmitrij Medvedev, il cui mandato è scaduto il 7 maggio 2012, fa e ha paura. Vorrei sapere cosa c'ha di così attraente Putin, visto che Berlusconi passa metà dei suoi giorni assieme al monarca possidente di Gazprom, una delle tante galline dalle uova d'oro dell'impero sovietico in mano a questi nuovi ricconi russi.  

martedì 14 agosto 2012

Alex, amico mio mai incontrato

Alex Langer (1946-1995)
Impiccato     ad un
mondo      avvelenato



         di Matteo Tassinari
Non un ricordo, un elogio funebre tristemente conclusivo e volgarmente liquidatorio, ma una parola "aprente", per la morte voluta e cercata di Alex Langer, sudtirolese di più patrie. Un amico, che considero tale, pur non avendolo mai incontrato e all'inizio ignoravo perfino la sua elezione ad Europarlamentare. C'era un'affinità spirituale che me lo rendeva, nella lontananza, presenza viva. Un'empatia che cogli al volo, ma che spesso delude, ma non è questo il caso.
Verde atipico Alex,
con due occhi aperti come finestre spalancate sulla miseria umana. Un politico che del politico non aveva nulla, paragonandolo al cliché Medio del politico medio italiano. Era un uomo d'azione. Dove mancava il latte in polvere, lui prendeva con un convoglio umanitario, e lo portava dove serviva. Molto spesso comprava spese da esercito da regalare alle popolazioni martoriate del Kosovo. E nessuno lo sapeva, nel silenzio, senza mai dirlo durante le numerose interviste. Una volta, al confine, rischiò di essere fucilato perché non trovava i documenti che testimoniavano la sua appartenenza al Parlamento Europeo per il partito dei Verdi. Voi, riuscite a vedere un Formigoni che di notte prende da solo o in compagnia del suo amico come Daccò su un Ducato alla volta di Sarajevo? Io non mi pronuncio, immagino che sappiate già la risposta.



La sua stessa figura fisica, rivelava un'estrema vulnerabilità per la magrezza e un'eccessiva permeabilità o attrazione ai veleni e ai chiodi del dolore anonimo, ignoto a quelli che per vivere meglio la loro vita al Campari verso le 21 di sera. Incatenato ai destini dell'umanità, chi all'improvviso si ritrova ad essere tappeto di bombardamenti a grappoli, aveva deciso di non lasciarli soli. Anche Alex veniva da Lotta Continua e lo stesso Adriano Sofri, suo grande amico per anni, mi confermò che ad ucciderlo, come per altri, è stato l'aver visto in faccia lo strazio della guerra senza più riuscire a cancellarlo.
Questione di sensibilità troppo prorompenti, gentili, nobili, generose. Questioni di umanità. La guerra, massimizzò Arthur Schopenhauer filosofo tedesco che faceva tesoro del pensiero orientale: "Siamo forti ad affrontare il dolore altrui. Ma col proprio non si scherza mai. Con quello altrui s'ipotizza pure". Solo Georges Bernanos dimostrò maggiore lucidità di pensiero: "La guerra totale è la società moderna stessa, al suo più alto grado di efficienza". E pensare che le parole hanno un senso. Nessuno è innocente!
Srebrenica 1995, fossa comune ordinata da Ratko Mladic,
soprannominato la "Tigre dei Balcani"




I Kalashnikov di Srebrenica
Fosse stato un mercante di Kalashnikov o Plutonio, meritevole di mille morti, non si sarebbe certo ucciso Alex. Sarebbe stato, seppur fuori legge, nella corrente normale, quella quando guardiamo in tv il quiz vincente di turno. Chi volesse evitare queste tonnare sparse nel calar delle sera nei palazzi bucati da S-72, lanciamissili terra-aria, che un da solo ribalta un campo di calcio, per entrare in uno stato infinito di voragini carsiche prive di ritorno. La trappola che ha forgiato le manette mentali che ottundono la plebaglia, quelli a cui non frega dell'urlo eterno, sia per la pelle e per quella colpevole innocenza. Chissà che ore sono, adesso in Siria. Il poeta greco Giorgos Seferis, scrisse: "Questa fogna di paura non ha tempo, è infinita". Niente Onu, niente Fao, niente Oms. Sporadiche quanto meritorie iniziative stile "Emergency", "Amref", "Medici senza frontiere" o Vittorio Arrigoni ed Enzo Baldoni.

Alex Langer
"Tuttoosceno"
Uomo che aveva intravisto la marea dell’odio etnico, del fondamentalismo armato. Presto avrebbe travolto tutto, se non si fosse fatto niente. Quella volta il mondo non fece nulla. E ci fu la guerra nell’ex Jugoslavia, la spaventosa mattanza nel cortile dietro casa. Dormiva pochissimo. Sempre pronto a ripartire, di notte, di giorno, a qualsiasi ora, al di la di quel lembo di mare che ci separava dalla tonnara umana slava. Il tempo per lui erano vite salvate. Aveva raggiunto questo punto e non so quanti sarebbero stati capaci a tornare indietro, da quel punto troppo lontano oramai, troppo irraggiungibil

Ossachebucanolapelle

Nulla di strano nel suicidio di questo giovane e vulcanico amico biofilo, di questo umanista che, per un attimo, ha pensato di aver fallito. Sono passioni d'infinito che la muraglia del finito disperde o frantuma al volo, come un aereo privo di coordinate per lo scalo. Il dolore altrui è reso più insopportabile dall'essere fatti sempre per qualcos'altro, come una valvola giustificatrice, scagionatrice da un senso di colpa reale, tangibile, concreto, ma rifiutato in ogni subdola maniera. Trovo un che di osceno in questo, nel nostro rifiuto di sapere cosa succede a qualche migliaio di chilometri, col pretesto che ognuno ha le radici che gli capitano. Ma il merito chi lo stabilisce? E in base a cosa? Alex nasce nel '46, s'impicca nel '95 a Firenze il 3 luglio ad un albero. Pensate la mente che strani scherzi può tirarci. Lui, Alex, si sentiva responsabile per le sofferenze e i mali di cui veniva a conoscenza.
La storia siamo noi
Il fotoreporter Kevin Carter
           Come il
reporter Kevin Carter, anch'esso suicidatosi dopo aver passato dieci anni a fotografare le guerre cosparse nel pianeta a nostra insaputa in una domenica delle Palme qualsiasi tentando la fuga in tram verso le sei del mattino non si udirono fucilate. Solo voli di strani uccelli senza ali che volano basso perché in alto non sanno andare. 
Stessa passione e rispetto, stesse vittime di un allucinante ingranaggio impregnato di freddezza nazista. Langer, nome tedesco ma cittadino del mondo, permeabile e insofferente alle divisioni perfino nella sua città, Bolzano. Ha sempre patito ogni tipo di distacco provocato da pregiudizi di origine razziali o etniche. In pratica difendeva la libertà di chi ce l'ha più minacciata.
Deputato europeo - un pianeta di distanza da quasi tutti i deputati europei che abbiamo avuto modo di vedere in questi ultimi anni - e traduttore naturale tra paesi e 5 lingue diverse. Un intellettuale che piaceva mettere in pratica la sua conoscenza. Non gli bastava la tolleranza teorizzata, voleva viverla, toccarla, e farla toccare, se gli riusciva. E gli sarà riuscito in uno dei tanti convogli a cui partecipava verso Belgrado per trovare soluzioni a qualsiasi livello, dagli aiuti umanitari all'azione diplomatica in quanto europarlamentare. Non avrà accettato che l'Italia bombardasse l'ex Jugoslavia, e gli sembrava assurdo che il suo Paese lanciasse bombe su popoli come in una vasto programma di oscenità. Un grande Talk Show delle mattanze, dove i rapaci predatori incapaci di volare Quel Moloch che la guerra gli aveva scatenato nel cuore s'impadronì dell'atrocità di mille agonie, racchiuse nel pianto di un padre che col bambino in mano gli chiedeva aiuto, come si vede in un frame andato in onda in un documentario Rai in una miscellanea della serie "La storia siamo noi".
Sarajevo durante la guerra


Spacciatori di identità
Pare che l'assedio di Sarajevo e il massacro dei ragazzi riuniti per un concerto a Tuzla, nella primavera 1995, siano stati il colpo finale. L'idrovora che gli ha prosciugato ogni energia vitale.  Prese tanti treni verso il mondo in subbuglio e da lì ha preso il via anche il sentimento di fallimento politico che ha chiuso definitivamente la sua lotta. Alex si impiccò ad un albero di albicocche, sulle colline di Firenze. Una settimana dopo ci fu la strage di Srebenica, una fossa con 3 mila corpi. Come il pane, abbiamo bisogno di persone come Alex, capaci di sentirsi responsabili di cose lontane da lui, ma così intime per la consapevolezza che il sangue di ognuno di noi ha sempre lo stesso colore. Il bello di sapersi e di restare bastardi in un’Europa dove si aggirano pericolosi spacciatori di identità, non la sopportava. Quando sembrerà impossibile vedere qualsiasi luce, stamperemo il tuo viso, serio e genti, nel nostro cuore e raccogliendo l’auspicio di un tuo caro amico andremo incontro agli altri con il tuo passo leggero e voglia il cielo che non perdiamo la speranza.
L'uomo è la fogna dell'universo